Se pensavate che tutti i predatori sessuali fossero stati denunciati dal #MeToo, vi sbagliavate. Il pozzo è profondo. Nei giorni scorsi l’attrice Evan Rachel Wood su Instagram ha accusato il suo ex fidanzato, la rockstar Marilyn Manson, di aver abusato di lei durante la loro relazione alla fine degli anni duemila, facendole “il lavaggio del cervello” e manipolandola “fino alla sottomissione”. Manson, che oggi ha 52 anni, nega. La sua casa discografica l’ha scaricato. In seguito alle dichiarazioni di Wood altre donne sono uscite allo scoperto: le accuse includono abusi verbali, violenza e stupro. Le loro storie risulteranno tristemente familiari a chiunque abbia lavorato nel mondo della musica. La violenza e la depravazione sono state sempre centrali nella produzione artistica di Manson, ma tutti pensavano che il suo aspetto macabro fosse un costume da cattivo sotto il quale viveva un uomo tranquillo, Brian Warner. Invece forse Manson si stava semplicemente nascondendo in bella vista. Il fatto che fosse anche impegnato in una lotta per difendere la libertà artistica lo rese una figura quasi simpatica. Sapeva essere anche un osservatore sociale e politico perspicace, e sembrava vittima dell’ipocrisia dell’estrema destra. Se le dichiarazioni di Wood si riveleranno vere, emergerà un’altra immagine: quella di un uomo che usava il suo status di celebrità per abusare e mettere a tacere le donne. E usava l’arte come cortina fumogena per

una crudeltà inaccettabile.
F. Sturges, Independent

Marilyn Manson, 2020 (k. Winter, Getty Images)
Marilyn Manson, 2020 (k. Winter, Getty Images)

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati