_Il silenzio _è ambientato nel 2022, e anche se non è chiaro se il presidente statunitense sia Trump, Biden o qualcun altro, almeno la pandemia è sotto controllo. I viaggi aerei internazionali sono ricominciati e anche gli sport sono tornati più o meno alla normalità: nel Super bowl si scontrano Seahawks e Titans. Jim Kripps, perito assicurativo, e la sua compagna poeta Tessa Berens, stanno tornando a casa da quella che sembra essere la loro prima vacanza dopo il covid-19, a Parigi. Il loro piano è quello di dirigersi direttamente dall’aeroporto di Newark all’appartamento dei loro amici per guardare la partita, ma poi luci e schermi si spengono e l’aereo comincia a precipitare. In un ricco appartamento di Manhattan tre personaggi aspettano i loro ospiti e l’inizio della partita: Max, un ispettore edile con l’abitudine al gioco d’azzardo, ha scommesso una bella cifra sulla partita; la sua compagna Diane, una professoressa di fisica in pensione, è interessata meno al football o a suo marito e più al terzo ospite, il suo ex studente Martin, che insegna fisica in una scuola privata nel Bronx e ha un’ossessione per Einstein. Al calcio d’inizio, il mondo cambia. Una metafora, un’aporia, un cliché fantascientifico: lo schermo della tv si oscura, telefoni e portatili non danno segni di vita. La tecnologia non funziona più. Gli scrittori del nostro tempo sono spesso apocalittici, ed è privilegio di ogni generazione pensare di essere l’ultima. I romanzieri della generazione di DeLillo si aspettavano il disastro nucleare, ma solo pochi di loro sono sopravvissuti per osservare il cambiamento: vale a dire, le maggiori possibilità che il mondo finisca non con uno schianto, ma in silenzio. Lo scioglimento silenzioso dei ghiacci, l’innalzamento silenzioso delle maree, il ribollire silenzioso di un’epidemia che soffoca il respiro o, in questo romanzo, il silenzio che segue l’oscuramento del nostro cervello esterno, quei dispositivi a cui abbiamo affidato la traccia dei nostri giorni, le cartelle mediche e legali, le nostre sequenze genetiche, i nostri nudi, i nostri romanzi, il nostro passato. È la fine del mondo per mancanza di accesso, ma anche per atrofia umana, debolezza, abbandono della funzione critica. Joshua Cohen, **
**The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati