Dopo sei anni di governo militare scialbo e corrotto, arrivato al potere con un colpo di stato nel 2014, e in un clima di crescente disincanto nei confronti di un re dissoluto e inaffidabile che ha scelto di risiedere in Germania invece che a Bang­kok, il fervore monarchico che aveva aperto la strada al regime autoritario sembra svanito. Le proteste studentesche che da settimane scuotono le città tailandesi sono diventate un fenomeno sempre più importante. Le imponenti manifestazioni del 20 settembre davanti all’università di Thammasat e alla spianata di Sanam Luang, vicino al palazzo reale, dimostrano la forza del movimento contro il governo del primo ministro Prayuth Chan-ocha e contro Maha Vajiralongkorn, un sovrano impopolare che non ha dimostrato alcun interesse per il benessere della popolazione né prima della pandemia né oggi, con la crisi economica in corso.

Tra i sessantamila manifestanti radunati a Sanam Luang c’erano per la prima volta molti militanti del movimento delle camicie rosse, seguaci dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, oggi in esilio. Le camicie rosse hanno rispolverato striscioni e indumenti rossi per sostenere gli studenti, facendo prevedere la nascita di un più ampio movimento di base che i giovani hanno invocato più volte e che il governo teme molto.

Le autorità hanno peccato di eccessiva sicurezza a febbraio, quando la corte costituzionale ha usato un pretesto per ordinare lo scioglimento di Futuro nuovo, un partito d’opposizione diventato molto popolare, guidato dal giovane e carismatico aristocratico Thanathorn Juangroongruangkit. Il partito, nato solo qualche mese prima delle elezioni politiche del 2019, ha conquistato il 17 per cento dei voti, arrivando terzo. Il governo di Prayuth, temendo che Futuro nuovo potesse allearsi con il Pheu Thai, il partito sostenuto da Thaksin che ha conquistato molti seggi alla camera dei rappresentanti, ha fatto di tutto per farlo sciogliere. Questa mossa ha provocato il malcontento degli studenti, che si erano identificati nel partito e nella sua guerra dichiarata alla corruzione. Di pari passo è cresciuta anche l’insoddisfazione nei confronti del re e la convinzione che il suo status non sia meritato.

Le proteste contro Vajiralongkorn sono senza precedenti e dimostrano che il tentativo dell’esercito di conferirgli un carattere semidivino per legittimare il colpo di stato è fallito. Lo stesso sovrano ha contribuito a questo insuccesso con azioni e comportamenti bizzarri: la serie di matrimoni, divorzi e relazioni con “persone qualunque”, come bariste e assistenti di volo, e le foto con capi d’abbigliamento discutibili, come le canottiere corte che gli sono valse il soprannome di Justin (come il cantante Justin Bieber), sono circolate sui social network intaccandone l’aura regale. Di recente, con l’economia in gravi difficoltà a causa della pandemia e il malgoverno dei militari, si è diffusa la notizia che il re avrebbe comprato una flotta di 38 aerei ed elicotteri per sé e la sua famiglia. Nel frattempo la Banca mondiale ha previsto una contrazione del 5 per cento per l’economia tailandese, uno dei risultati peggiori nella regione dell’Asia orientale e pacifica.

Previsioni fosche

Si prevede una drammatica perdita di posti di lavoro, soprattutto nel settore turistico, anche se nel paese si sono registrati solo 3.500 casi di covid-19 e 59 morti, cifre tra le più basse della regione. Ma, sottolinea la Banca mondiale, “è probabile che le conseguenze sul benessere delle famiglie saranno molto pesanti. Il numero di persone che vivono con meno di 5,5 dollari al giorno dovrebbe raddoppiare, passando dai 4,7 milioni del primo trimestre del 2020 ai 9,7 milioni nel secondo trimestre, per poi scendere a 7,8 milioni nel terzo trimestre”.

Il governo sa che molte persone stanno soffrendo per la crisi economica e teme la mobilitazione di massa di un fronte comune guidato dagli studenti, che agli occhi dell’opinione pubblica sono puri e immacolati e quindi più legittimati di altri movimenti politici a rivendicare una nuova costituzione e un nuovo governo. Il problema è che il governo di Bangkok non è autosufficiente, ma deve rispondere a un sovrano sempre più assolutista. Nessuno sa cosa farà Vajiralongkorn con i miliardi di dollari sottratti all’ufficio per le proprietà della corona, una guardia pretoriana di soldati e poliziotti e un carcere costruito nel palazzo di Thaweewatana, nella provincia di Nakhon Pathom. Nessuno dubita del fatto che le forze a lui fedeli siano in grado di attaccare gli studenti e i loro alleati o di far sparire persone, com’è già successo a nove attivisti antimonarchici tailandesi rapiti, e probabilmente uccisi, in Laos, Cambogia e Vietnam.

La domanda è quanto ancora Vajiralongkorn sopporterà queste proteste e quale sarà la goccia che farà traboccare il vaso. Tenuto conto dell’orientamento ultramonarchico dei comandanti delle forze armate tailandesi e del primo ministro Prayuth, di sicuro non saranno loro a ostacolarlo.

I leader studenteschi hanno chiarito che il movimento è pacifico e chiede solo riforme e trasparenza, perciò qualsiasi violenza, se ci sarà, sarà provocata dal potere. Prayuth è preso tra due fuochi perché sa di non essere nelle grazie del re – probabilmente Vajiralongkorn non gli ha mai perdonato il fatto di essere il favorito della regina madre quando lei era in carica – e sta lottando per la sua stessa sopravvivenza.

L’ex generale sa che potrebbe essere facilmente accusato di qualsiasi violenza dovesse esplodere ed estromesso per poi essere sostituito da un premier ancora più accondiscendente scelto direttamente dal re.

Da sapere
Le forze dietro il movimento

Thailandia

◆ Le proteste guidate dagli studenti in Thailandia sono cominciate a febbraio del 2020, dopo che la corte costituzionale ha ordinato lo scioglimento del partito d’opposizione Futuro nuovo, nato solo pochi mesi prima. Il 19 settembre i manifestanti hanno presentato dieci richieste di riforma della monarchia, tra cui una divisione più chiara tra le proprietà reali e statali, la riduzione del budget nazionale destinato al re, l’abolizione di vari uffici reali e la revoca delle leggi che vietano e puniscono le critiche al re. È evidente ormai che dietro agli studenti diverse forze politiche e istituzionali si preparano ad approfittare del momento e a riempire il vuoto lasciato da un eventuale ridimensionamento del potere del re. A partire dai fedeli dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra **fino a **Thanathorn Juangroongruangkit, leader di Futuro nuovo, al presidente della corte costituzionale che ha sciolto il partito.

Asia Times


Il popolo tailandese ha messo a fuoco chi è veramente Vajiralongkorn e, ritenendolo inadeguato, non lo teme più. Il problema è che il sovrano appare patologicamente ossessionato dalla necessità di soddisfare ogni suo capriccio e ostenta un anacronistico atteggiamento da re ottocentesco, secondo cui il popolo esiste solo perché lui possa usarlo e abusarne a suo piacimento. Questa protesta dimostra che un numero crescente di tailandesi non ha più intenzione di tollerare questo comportamento.

Per anni la spianata di Sanam Luang, dove si sono radunati i manifestanti il 19 e 20 settembre, è stata chiusa al pubblico e i leader della protesta hanno chiarito di volersene riappropriare per conto del popolo. Un obiettivo reso ancora più esplicito da una targa deposta durante la manifestazione con la scritta: “Questo paese appartiene al popolo e non al re, ci hanno ingannato”. Il corteo, diretto verso la sede del Consiglio privato del re per presentare le richieste di riforma della monarchia in dieci punti, ha dimostrato che la sfida a Vajiralong­korn ha raggiunto un nuovo livello. Resta da vedere come e quando il regno reagirà.

È una domanda insidiosa. Nel maggio del 1992, passato alla storia come il maggio di sangue o il maggio nero, circa 200mila persone scesero in piazza a Bang­kok contro il governo del generale Suchina Kraprayoon, che aveva preso il potere l’anno prima con un colpo di stato. L’esercito scatenò una repressione violenta provocando ufficialmente la morte di 52 manifestanti, ma si stima che il numero reale sia molto più alto. Centinaia di persone furono ferite e migliaia arrestate. La violenza però non placò le proteste.

Con il deteriorarsi della situazione il re Bhumibol convocò a palazzo sia Suchinda sia Chamlong Srimuang, uno dei leader della rivolta. I due furono ripresi dalle telecamere nell’atto di prostrarsi ai piedi del re mentre lui gli impartiva una lezione, chiedendo la fine delle violenze. In effetti le violenze cessarono e tornò al potere un governo civile. Sembra molto improbabile che stavolta il re interverrà per calmare le acque, mentre aumentano pericolosamente le probabilità che la violenza esploda. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati