Bocciata in tutte le materie. È la valutazione espressa dal rapporto pubblicato a metà settembre dalle Nazioni Unite sull’impegno della comunità internazionale per fermare la perdita della biodiversità e degli ecosistemi. Sui venti obiettivi che i paesi dell’Onu si erano dati per il 2020, non ne è stato raggiunto neanche uno. Secondo un rapporto recente del World wide fund for nature (Wwf) e della Zoological society di Londra il numero di mammiferi, uccelli, rettili e pesci è sceso del 68 per cento dal 1970. Due anni fa il calo rispetto al 1970 era “solo” del 60 per cento. Come specie dominante del pianeta abbiamo la responsabilità morale di lasciare posto anche agli altri. Secondo le Nazioni Unite almeno un milione di specie di piante e animali sono in grave pericolo. Ma abbiamo l’energia per combattere una battaglia seria per difendere la biodiversità? Non bisogna dare la precedenza all’emergenza climatica? La risposta è no. Non solo perché entrambe sono questioni importanti, ma anche perché in prospettiva parliamo della stessa battaglia.

Il rapporto dell’Onu ci ricorda che per un terzo, l’impegno a ridurre le emissioni di CO2, necessario per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi, è affidato alla natura. Aumentare la superficie delle foreste e migliorare le condizioni di quelle esistenti porta un beneficio diretto alla natura.

In Danimarca un ottimo punto di partenza sarebbe il graduale abbandono delle coltivazioni sui terreni poco fertili strappati alle paludi. Non siamo un paese all’avanguardia nella difesa della biodiversità, ma da qualche parte dobbiamo cominciare. ◆ fc, pb

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Questo articolo è uscito sul numero 1377 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati