06 giugno 2018 16:03

Siamo nel 1981 e il giovane fotografo Gilles Favier legge nella rivista Reporter-Objectif una serie di consigli pratici su come diventare corrispondente di guerra. Secondo l’articolo, il conflitto più accessibile per un apprendista è quello in Irlanda del Nord: tanto basta a Favier per partire.

Comincia così una storia lunga quarant’anni tra il fotografo e Belfast, nell’anno in cui muore l’attivista repubblicano Bobby Sands e in un decennio dove lo scontro fra protestanti e cattolici non trova ancora una strada pacifica. Nelle sue immagini Favier lascia spazio all’architettura di una città divisa, costruita sui muri che celebrano martiri, pugili e santi, e sulle strade, a volte desolate e altre popolate dai funerali e dalle parate militari.

Nonostante abbia seguito anche altri argomenti come collaboratore del quotidiano Libération e nell’agenzia fotografica Vu, Favier ha continuato a documentare Belfast fino alla più recente Brexit, attraverso gli anni novanta e la pacificazione. Come afferma Christian Caujolle, conosciuto a Libération, “è il suo grande difetto, non riesce a mollare le sue storie”.

La galleria parigina Clementine de la Feronnière celebra la Belfast di Favier con una mostra, aperta fino al 13 luglio 2018, e un libro.

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