Durante l’estate sono cominciate le audizioni parlamentari su alcuni progetti di legge che hanno come oggetto il “consenso informato preventivo”, provvedimenti con i quali il governo e la maggioranza vuole mettere sotto il controllo dei genitori ogni iniziativa di educazione sessuale e affettiva nelle scuole secondarie.
Il cosiddetto disegno di legge (ddl) Valditara, dal nome del ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, esclude che queste attività possano essere proposte nelle scuole primarie e dell’infanzia. Secondo il testo, le istituzioni scolastiche devono chiedere il “consenso informato preventivo” per tutte le attività che si occupano di “tematiche relative alla sessualità”. Inoltre, il “materiale didattico che si intende utilizzare” dev’essere valutato in anticipo.
Cosa significa tutto questo per le lezioni? L’insegnante di scienze la settimana prima di affrontare l’apparato riproduttivo dovrà chiedere ai genitori se può farlo? Lascia sgomenti questa insensata voglia di controllo su un argomento che da almeno sessant’anni sappiamo essere sfuggito completamente al magistero dell’autorità familiare.
Scrivo “da almeno sessant’anni” perché è dalla metà degli anni sessanta che ci si interroga in modo esplicito su chi dovrebbe parlare di educazione sessuale ai ragazzi e alle ragazze. Quando Ada Gobetti nel 1959 fonda Il giornale dei genitori, non ha dubbi: le famiglie. Ma presto lei stessa si accorgerà di essere in ritardo: accadrà quando nel 1966 le ragazze del liceo Parini di Milano prenderanno la parola per pubblicare sul giornale scolastico La zanzara un’inchiesta dal titolo Cosa pensano le ragazze d’oggi nel quale sarà scritto, nero su bianco, che non può più essere solo la famiglia a dare ai figli istruzioni sul tema, perché prima e in modo più efficace lo fanno tutti i mezzi d’informazione a disposizione.
Non a caso negli stessi anni Gabriella Parca, giornalista le cui opere ancora oggi sono attualissime per i temi che sollevano, noterà come l’ignoranza sulle questioni sessuali della maggioranza delle famiglie, ma allo stesso tempo la paura delle scuole di affrontare il tema, portino la popolazione italiana a essere tra le più arretrate d’Europa in tema di gravidanze indesiderate, figli illegittimi e via dicendo.
Sarà grazie all’alleanza tra scuole e famiglie che molto cambierà negli anni a venire: non quella di cui parla il ddl Valditara (come si può definire alleanza il controllo dei genitori su quello che accadde in classe?) ma una fondata sul dialogo aperto. C’è una puntata dell’inchiesta di Luigi Comencini L’amore in Italia prodotta dalla Rai nel 1978 che si intitola A cosa serve l’educazione sessuale? Sono passati quasi cinquant’anni dalla sua messa in onda, eppure racconta perfettamente cos’è possibile fare a scuola e in famiglia insieme, fin dall’infanzia.
Nel documentario una maestra dice: “Quando un bambino fa una domanda vuol dire che è maturo per ricevere una risposta adeguata”. Per questo da quel momento in poi molte insegnanti non si tireranno indietro nel dare risposte “adeguate” a questioni che riguardano il sesso, anche se, malgrado diverse proposte nessun governo si deciderà mai a varare un provvedimento che inserisca l’educazione sessuale nel percorso scolastico in modo formale.
Completamente disattese saranno le direttive europee del 2013, Policies for sexuality education in European Union, perché a partire dagli anni dieci di questo millennio un nuovo spettro comincerà a travagliare i sonni della destra: quello del gender.
Il genere, non si capisce perché chi lo attacca non riesce a pronunciare questa parola in italiano, altro non è che il modo in cui ogni società disegna i caratteri del “maschile” e del “femminile”. Caratteri culturali che niente hanno a che vedere con il sesso biologico, ammesso che questo conti qualcosa in ambito scolastico.
Ce lo ha insegnato Elena Gianini Bellotti nel lontanissimo 1973 quando in Dalla parte delle bambine (Feltrinelli) ha scritto che, per esempio, a scuola, dividere il mondo in maschi e femmine è frutto di uno stereotipo profondamente discriminante: “I maschi sono più vivaci, ecc. Le bambine sono più docili, ecc. Il modo corretto di rispondere, se si fosse liberi da pregiudizi o si tentasse di liberarsene, sarebbe di distinguere nel gruppo gli individui più aggressivi, più ordinati, più dipendenti, ecc. senza riferirsi al sesso, perché ci sono bambine più aggressive di certi bambini o bambini più ordinati di certe bambine. Può darsi che la biologia c’entri, ma non potremo saperlo se non quando i condizionamenti secondo il sesso saranno scomparsi”. L’educazione sessuale serve anche a questo: a far scomparire questi condizionamenti.
Ma il ddl Valditara su questi condizionamenti si fonda. Anzi sembra proprio che voglia ribadirli, in tutta la loro eterna pericolosità.
Dice Massimo Prearo, studioso di scienze politiche ed esperto di questi temi, che il consenso informato serve al governo per dire alle famiglie: vi stiamo difendendo dal gender. “La letteratura scientifica è chiara su questo punto: non si diventa gay, lesbica o trans per mimetismo e nemmeno per contagio sociale. L’identità gay, lesbica, trans o altro è una costruzione interiore, talvolta una scoperta che può essere accettata da un ambiente accogliente che fornisce gli strumenti per accettarsi ed essere rispettati dalle persone che frequentano quegli stessi ambienti”. Oppure, continua Prearo, “come faranno queste leggi se saranno adottate, possono ostacolare l’accettazione di sé e degli altri, e far esistere dunque un’atmosfera di censura oppressiva in cui essere lgbt+ diventa un problema o addirittura un pericolo”.
Ma forse è proprio questo l’obiettivo di questi provvedimenti. Come antidoto, due consigli di lettura, uno per le persone più giovani e uno per chi si occupa di educazione: la collana Teen spirit della casa editrice Faros, che racconta il sesso in modo esplicito e interessante per gli adolescenti; e il libro collettivo Senza legge. Perché l’educazione sessuo-affettiva a scuola è una questione politica (Tlon).
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