Per qualcuno il riconoscimento della Palestina da parte della Francia e di un gruppo di altri paesi non basta: non fermerà immediatamente la tragedia dei palestinesi a Gaza e dovrebbe essere accompagnato da sanzioni contro Israele. Per altri, invece, è una decisione scandalosa perché premia Hamas, che detiene ancora degli ostaggi israeliani, e sa perfino di antisemitismo.
Tra queste due posizioni estreme c’è la realtà, che si può descrivere in tre punti.
Primo: la soluzione dei due stati è da tempo la posizione dominante all’interno della comunità internazionale, ed è anche quella della Francia da quando François Mitterrand chiese la nascita di uno stato palestinese nel suo storico discorso alla Knesset, il parlamento israeliano a Gerusalemme, più di quarant’anni fa, nel 1982. Dopo il fallimento degli accordi di Oslo di venticinque anni fa non è stato fatto nulla per realizzarlo, ma non c’è da sorprendersi se Parigi sostiene il principio dei due stati, che è l’unica soluzione ragionevole nonostante tutte le difficoltà.
Secondo punto: riconoscere uno stato palestinese nel quadro della soluzione dei due stati non significa sostenere Hamas, che è contraria all’idea dei due stati. L’organizzazione islamista, come d’altronde gli estremisti israeliani, vorrebbe infatti un unico stato, dal Mediterraneo al Giordano.
Dopo l’attacco del 7 ottobre, Hamas è diventato uno strumento per screditare qualsiasi tentativo di ottenere la pace, ma così si ignora la storia. Da corrispondente a Gerusalemme ho vissuto il periodo degli accordi di Oslo, quando Hamas riprese gli attentati suicidi per far fallire il processo e far eleggere Benjamin Netanyahu nel 1996 contro Shimon Peres, che aveva raccolto il testimone da Yitzhak Rabin. Quegli attentati fecero pendere una parte dell’opinione pubblica verso Netanyahu, e lui ha favorito Hamas a Gaza per dividere meglio i palestinesi. Tutto questo è documentato: mettere insieme Hamas e la soluzione dei due stati è una contraddizione.
Terzo punto: insieme all’Arabia Saudita, il presidente francese Emmanuel Macron ha scelto di lanciare la sua iniziativa (che si concretizzerà il 22 settembre alla sede delle Nazioni Unite) in un momento decisivo, in cui l’offensiva israeliana a Gaza e i progetti di colonizzazione della Cisgiordania minacciano di assestare il colpo di grazia a qualsiasi speranza politica palestinese e forse anche alla possibilità per i palestinesi di rimanere sulla loro terra, come sostengono i ministri israeliani più estremisti.
Cosa succederà dopo
È chiaro che il riconoscimento, da solo, non basterà a fermarli. Ma almeno paesi importanti come la Francia, il Regno Unito e il Canada diranno a gran voce che l’espulsione dei palestinesi è inaccettabile e che la soluzione deve arrivare attraverso un compromesso.
Se l’iniziativa franco-saudita si fermasse qui, sarà servita solo a salvare la faccia in un momento di disonore collettivo. La vera sfida è cosa succederà dopo, dato che Israele e gli Stati Uniti sono fortemente contrari a quest’idea. Anche se la grande maggioranza degli stati del mondo all’assemblea generale dell’Onu ha approvato l’iniziativa franco-saudita, la chiave della soluzione si trova a Washington.
Oggi due immagini si sovrappongono, quella del grattacielo di vetro delle Nazioni Unite e quella delle strade dell’esodo dei palestinesi, in fuga da Gaza sotto le bombe. La prima ha la fragilità della speranza, la seconda ha la fatalità della disperazione. A New York, un gruppo di paesi avrà almeno il merito di affermare con forza il proprio “no” alla legge del più forte.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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