Il giorno prima del voto sulla riforma sanitaria, il presidente Obama ha parlato ai deputati democratici. Verso la fine ha spiegato perché avrebbero dovuto approvare la riforma: “A volte, ci si presenta l’occasione di realizzare le speranze che abbiamo coltivato per noi stessi e per il nostro paese, di mantenere le promesse che abbiamo fatto. Questo è il momento di mantenere la nostra promessa. Non è detto che vinceremo, ma dobbiamo essere onesti. Non è detto che ci riusciremo, ma dobbiamo fare tutto il possibile”.

Sull’altro fronte, ecco cos’ha detto Newt Gingrich, l’ex presidente repubblicano della camera, ritenuto un grande intellettuale da molti dirigenti del suo partito: se i democratici approveranno la riforma “distruggeranno il loro partito come Lyndon Johnson l’ha rovinato per quarant’anni” approvando le leggi sui diritti civili.

Gingrich ha torto: le proposte di legge per garantire l’assistenza sanitaria a un maggior numero di persone inizialmente spesso sono contestate, ma poi vengono apprezzate. Forse qualcuno ricorda che secondo Ronald Reagan il programma Medicare avrebbe segnato la fine della libertà nel nostro paese.

Ma al di là di questo, vale la pena di notare il contrasto tra i due personaggi. Obama ha fatto appello alla parte migliore dei suoi colleghi di partito, invitandoli a prendere la decisione giusta anche a rischio di danneggiare la propria carriera politica. Gingrich invece ha lanciato un messaggio di freddo cinismo.

Che senso ha criticare la riforma sanitaria paragonandola alla legge sui diritti civili? Chi mai nell’America di oggi direbbe che Johnson ha sbagliato a battersi per l’uguaglianza razziale? (In realtà, sappiamo benissimo chi: quelli del movimento dei Tea party che, alla vigilia del voto sulla riforma sanitaria, hanno manifestato a Washington lanciando insulti razzisti contro i democratici). Questo cinismo ha caratterizzato tutta la campagna contro la riforma.

Alcuni intellettuali conservatori, dopo aver riflettuto a lungo sul problema, hanno dichiarato di essere preoccupati per le conseguenze fiscali della riforma, oppure hanno chiesto un ridimensionamento dei costi (anche se questa legge promette di contenere i costi della sanità più di qualsiasi altra riforma precedente).

Ma per la maggior parte, gli oppositori della riforma non hanno neanche fatto finta di studiare con attenzione né l’attuale sistema sanitario né il piano centrista e moderato dei democratici, molto simile alla riforma introdotta dal governatore repubblicano Mitt Romney nel Massachusetts. Hanno puntato solo sull’emotività e sull’allarmismo, senza pudore e senza tenere conto dei fatti.

Non si sono limitati ad accusare la legge di favorire l’eutanasia. Hanno fomentato l’odio razziale, come nell’articolo dell’Investor’s Business Daily secondo cui la riforma sanitaria sarebbe stata “una specie di affirmative action al cubo per decidere tutto, da chi può fare il medico a chi può essere curato, in base al colore della pelle”.

L’hanno accusata di finanziare l’aborto. Hanno insistito nel dire che è puro populismo promettere ai lavoratori più giovani che potranno contare sulla sanità pubblica, visto che questa garanzia gli americani più vecchi ce l’hanno da quando Lyndon Johnson – che Gingrich considera un presidente fallito – riuscì a far approvare il programma Medicare nonostante le proteste dei conservatori.

E, parliamoci chiaro, questa campagna allarmistica non è stata condotta solo dalle frange più radicali del partito, slegate dall’establishment repubblicano. Al contrario, la classe dirigente ha partecipato a tutta l’operazione e l’ha approvata. Anche personaggi come Sarah Palin – che è stata candidata alla vicepresidenza – hanno contribuito a diffondere l’equivoco sull’eutanasia, e politici apparentemente ragionevoli e moderati come il senatore Chuck Grassley non li hanno smentiti.

Alla vigilia del voto, i deputati e i senatori repubblicani hanno dichiarato che “oggi è morta un po’ della nostra libertà” e hanno accusato i democratici di usare “metodi totalitari”, probabilmente riferendosi a quelle che noi chiamiamo “votazioni”.

In un certo senso, la campagna allarmistica ha funzionato: la riforma sanitaria, inizialmente abbastanza popolare, ha cominciato a essere disapprovata da gran parte dei cittadini, anche se negli ultimi tempi le cifre nei sondaggi erano leggermente migliorate. Ma la domanda più importante per varie settimane è stata: questa campagna riuscirà a bloccare la riforma? La risposta è no.

I democratici l’hanno proposta. La camera ha approvato la versione modificata dal senato, e dalla procedura della reconciliation ne uscirà una versione ancora migliore. Naturalmente, questa è stata una vittoria politica per il presidente Obama, e un trionfo per la presidente della camera Nancy Pelosi. Ma è stata anche una vittoria per l’America. Alla fine, la campagna allarmistica feroce e senza scrupoli dei repubblicani non è riuscita a bloccare la riforma. Questa volta la strategia del terrore ha fatto fiasco.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 839, 26 marzo 2010*

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