Le sanzioni a Israele annunciate dal governo spagnolo l’8 settembre arrivano dopo ventitré mesi di genocidio e dopo molti anni di occupazione illegale dei territori palestinesi e di apartheid contro la loro popolazione. Arrivano mentre l’Unione europea continua a mantenere relazioni, accordi commerciali e alleanze con Tel Aviv e solo la Slovenia ha vietato il commercio di armi. L’Unione è uno dei maggiori partner commerciali e diplomatici di Israele nel mondo, e questo significa che i suoi paesi hanno gli strumenti per fare pressione sullo stato ebraico. Ma per lo più continuano a non usarli.

Finora, la Spagna ha mantenuto le relazioni commerciali, diplomatiche e nel settore degli armamenti nonostante lo sterminio di massa compiuto da Israele. L’opinione pubblica spagnola, secondo i sondaggi, e le proteste di gruppi importanti della società civile sono state strumenti convincenti per spingere il governo spagnolo a prendere in considerazione dei cambiamenti.

Le misure approvate sono necessarie, ma potevano arrivare molto prima.

L’embargo

Tra i provvedimenti annunciati spicca “il divieto legale e permanente di comprare e vendere armi, munizioni ed equipaggiamento militare”. Non è chiaro però se saranno vietati anche il commercio di prodotti e tecnologie che possono essere usati tanto in campo civile quanto in campo militare e l’acquisto di pezzi di ricambio per il mantenimento degli equipaggiamenti militari israeliani usati dalle forze armate spagnole.

Nei primi mesi del 2024 il ministro degli esteri spagnolo aveva detto che c’era già un embargo sulle armi con Israele. Ma stando ai dati ufficiali delle dogane israeliane raccolti dal Centro di studi per la pace J.M. Delàs l’anno scorso – e anche nel 2025 – la Spagna ha esportato materiale militare verso Israele.

Inoltre, tra ottobre del 2023 e la primavera del 2025, Madrid ha aggiudicato a imprese israeliane o alle loro filiali spagnole almeno quaranta contratti per la fornitura di materiale militare. In alcuni casi, i contratti sono stati formalizzati quando già c’erano decine di migliaia di vittime a Gaza.

Tra febbraio e maggio del 2025, la Spagna ha poi aumentato le importazioni di “armi e munizioni” da Israele, come riportato da elDiario.es a luglio.

La Campagna per la fine del commercio di armi con Israele – che riunisce più di cinquecento organizzazioni – chiede l’aggiunta di disposizioni per garantire “un embargo integrale, retroattivo, che riguardi tutti gli appalti pubblici e con garanzie di trasparenza per sapere se viene applicato”. Su questo ruoteranno le negoziazioni nei prossimi giorni.

La questione delle esercitazioni militari congiunte con l’esercito israeliano, come quelle avvenute ad aprile, non è stata affrontata.

Il transito

Il governo ha annunciato anche il divieto di transito nei porti spagnoli di navi con combustibili destinati all’esercito israeliano, ma non ha parlato di un embargo formale al transito di armi verso Israele. Si è giustificato assicurando che esiste un veto di fatto in questo senso dal novembre 2024, ma senza un embargo formale che stabilisca protocolli di ispezione coordinati dalle autorità, non c’è modo di garantire la fine di questi transiti.

Come ha rivelato un’inchiesta internazionale nel novembre 2024, il porto di Algeciras, nell’estremo sud della Spagna, ha fatto da scalo per navi provenienti dagli Stati Uniti con materiale militare per Israele, e ci sono ancora navi che fanno scalo in porti spagnoli sulle rotte marittime di rifornimento a Israele. Senza dei meccanismi di ispezione, su queste rotte potrebbero passare carichi di materiale militare non dichiarato.

Un’altra inchiesta, pubblicata da elDiario.es nel dicembre 2024, segnalava l’uso della base statunitense di Rota, vicino a Cadice, per l’invio di armi a Israele. L’accordo di cooperazione per la difesa con gli Stati Uniti permette a Washington di non rivelare la destinazione finale del carico che trasporta attraverso le basi militari di Rota e Morón, anche se queste sono in territorio spagnolo.

Riconoscere la Palestina non cambia niente
È solo un alibi e un modo per sviare l’attenzione dalla vera soluzione: denunciare il regime di apartheid d’Israele, agire per sanzionarlo e dare spazio alla volontà dei palestinesi.

Da tempo Francesca Albanese, relatrice delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, chiede ai paesi di sospendere ogni tipo di relazione con Israele. Inoltre, la Corte internazionale di giustizia ha chiesto nel luglio 2024 di impedire “relazioni commerciali e investimenti” che contribuiscano all’occupazione israeliana, un invito condiviso anche dall’assemblea generale delle Nazioni Unite.

La Spagna annuncia ora il divieto d’importare prodotti provenienti dagli “insediamenti illegali” a Gaza e in Cisgiordania, ma non il transito di quei prodotti. E non propone neanche di sospendere del tutto le relazioni commerciali con Israele.

Le sanzioni

La Spagna approverà “il divieto di accesso al territorio spagnolo a tutte le persone che partecipano in modo diretto al genocidio, alla violazione dei diritti umani e ai crimini di guerra nella Striscia di Gaza”, ma non ha specificato chi sono oggi quelle persone.

Ha anche annunciato la limitazione dei servizi consolari per gli spagnoli residenti negli insediamenti illegali israeliani, ma non ha previsto sanzioni per quelli che aiutano a mantenere l’occupazione, come chiede la risoluzione dell’assemblea dell’Onu approvata un anno fa.

A livello diplomatico, non è stata annunciata la sospensione delle relazioni tra Spagna e Israele. Dopo l’accusa di “antisemitismo” lanciata l’8 settembre dal governo israeliano, la Spagna ha richiamato la propria ambasciatrice per delle consultazioni.

La Piattaforma dei giuristi per la Palestina ha chiesto di “rompere le relazioni diplomatiche con Israele ed estendere l’embargo a tutte le relazioni commerciali”, oltre a sostenere la causa per genocidio all’Aja e altre misure che costringano Israele a rendere conto dei suoi crimini.

Un altro dei temi che hanno generato proteste e mobilitazioni è la presenza di una squadra israeliana alla Vuelta ciclistica, il giro di Spagna. La partecipazione di Israele a competizioni sportive europee, eventi culturali o accordi commerciali, dopo ventitré mesi di genocidio, trasmette un messaggio di normalizzazione insostenibile.

Il governo spagnolo non ha previsto sanzioni per casi simili, anzi sono state arrestate delle persone che avevano partecipato alle proteste contro la Vuelta.

Gli obblighi internazionali

Il genocidio a Gaza era prevedibile già a metà ottobre del 2023, ma non sono state prese misure per impedirlo né per punirlo, come esige la convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio. È un aspetto importante per valutare la posizione dell’Unione europea. Dobbiamo chiederci cosa sarebbe successo se si fosse reagito ventidue mesi fa e cosa può succedere se non si fa di più adesso.

Come indica la convenzione sul genocidio, bisogna “sanzionare”, ma anche “prevenire”. L’ordine logico per l’applicazione di un embargo è la sua approvazione prima che siano commessi crimini gravi. Non è stato così.

Il diritto internazionale offre ai governi gli strumenti giuridici per fare pressione su Israele. Oggi, con decine di migliaia di persone uccise, centinaia di migliaia ferite o ammalate a causa del genocidio, con una carestia provocata di proposito, con 132mila bambini sotto i cinque anni a rischio di morire per denutrizione (in base alla scala della Integrated food security phase classification), gli spagnoli dovranno vigilare su cosa deciderà il governo, come lo metterà in pratica e cosa mancherà.

Il minimo è esigere tutte le azioni di pressione necessarie che non sono ancora state adottate. Come ricordava quest’estate una chirurga britannica appena tornata da Gaza: “Dobbiamo guardarci allo specchio e chiederci ogni giorno se stiamo facendo tutto il possibile per fermare quello che sta succedendo”.

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