La rapida crescita delle energie rinnovabili è il progresso scientifico dell’anno secondo la rivista statunitense Science.

Nel 2025 l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, ha annunciato il centro studi Ember, ha superato per la prima volta quella ottenuta dal carbone e, nei primi sei mesi dell’anno, il solare e l’eolico sono cresciuti abbastanza rapidamente da coprire per intero l’aumento della domanda globale di elettricità.

Questo risultato è in massima parte dovuto all’impressionante sviluppo dell’industria delle rinnovabili in Cina, che grazie ad anni di sussidi e investimenti pubblici è arrivata a dominare il mercato mondiale dei pannelli solari, delle turbine eoliche e delle batterie con percentuali comprese tra l’80 e il 70 per cento.

L’aumento vertiginoso della produzione e il progresso tecnologico hanno portato a un drastico calo dei prezzi, che ha sua volta ha permesso una forte espansione della domanda, innescando un circolo virtuoso. Considerando anche l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili dovuto alla guerra in Ucraina, oggi in gran parte del mondo le rinnovabili sono le fonti di energia meno costose, in particolare il solare, che sta rapidamente prendendo piede in regioni a basso reddito come il Pakistan e l’Africa subsahariana.

I benefici sono già tangibili: secondo alcune stime le emissioni di gas serra della Cina potrebbero aver già raggiunto o superato il picco, e quelle globali potrebbero fare lo stesso nel giro di pochi anni, e cominciare quindi a calare. Di fronte alla riduzione dell’impegno internazionale contro il cambiamento climatico dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il fatto che i vantaggi economici stiano diventando il principale motore della transizione energetica globale potrebbe essere la svolta più importante, conclude Science.

Il nuovo impero del sole
La supremazia globale della Cina nelle energie rinnovabili è frutto di una strategia che ha saputo coniugare gli interessi economici, geopolitici e ambientali del paese.
 

La prima terapia di editing genetico personalizzata
Nel 2025 un bambino statunitense affetto da un disturbo potenzialmente mortale del metabolismo è diventato la prima persona a ricevere un trattamento di editing genico personalizzato.

Poco dopo la nascita, un gruppo di ricercatori ha cominciato a sviluppare uno strumento di editing, basato sulla tecnica Crispr, capace di correggere una mutazione in un gene che rendeva il suo fegato incapace di smaltire l’ammoniaca. A febbraio, quando aveva sei mesi, il bambino ha ricevuto la prima dose del trattamento, e a maggio, dopo altre due dosi, ha potuto cominciare a seguire un’alimentazione più normale e ad assumere meno farmaci. I ricercatori sperano di ottenere presto l’autorizzazione a sperimentare la stessa tecnica su altri pazienti con disturbi simili.

Le terapie geniche personalizzate offrono la possibilità di trattare malattie che finora erano considerate incurabili perché dovute a mutazioni uniche o estremamente rare, ma sono ancora molto costose e restano dei dubbi sulla loro sicurezza.

I nuovi antibiotici contro la gonorrea
La Food and drug administration statunitense ha approvato i primi due nuovi antibiotici contro la gonorrea da decenni, la gepotidacina e la zoliflodacina. Il batterio responsabile della gonorrea, un’infezione trasmessa per via sessuale che colpisce 80 milioni di persone all’anno e può provocare infertilità e altri disturbi, sta diventando resistente a quasi tutti i farmaci attualmente in uso, e gli scienziati sperano che le nuove molecole possano contribuire ad arginare la diffusione della malattia almeno per qualche anno.

Come i neuroni aiutano le cellule tumorali
Per crescere e diffondersi, i tumori sfruttano diverse tipologie di cellule dell’organismo, neuroni compresi. Quest’anno i ricercatori hanno scoperto in che modo le cellule tumorali si fanno aiutare da quelle nervose: usando i loro mitocondri, gli organelli che forniscono la maggior parte dell’energia chimica alle cellule.

Osservando al microscopio cellule tumorali e nervose coltivate insieme, i ricercatori hanno visto i mitocondri passare dai neuroni ai loro vicini patogeni attraverso minuscole strutture simili a ponti. Il risultato, come hanno spiegato su Nature, sono cellule tumorali potenziate che, grazie al surplus di energia ricevono una spinta metabolica che gli permette di diffondersi più facilmente in altre parti del corpo.

Conoscere meglio questo meccanismo di trasferimento in futuro potrebbe aiutare a sviluppare trattamenti che costringano le cellule nervose a tenere per sé i propri mitocondri, rallentando così la formazione di metastasi.

L’Osservatorio Vera C. Rubin, Cile. (P.J. Assuncao Lago, NSF–DOE Rubin Observatory)

L’occhio di Rubin puntato sul cielo australe
L’Osservatorio Vera C. Rubin, costruito sul Cerro Pachón, una montagna di 2.682 metri nel nord del Cile, segna una svolta nella ricerca astronomica. Invece di concentrarsi su singoli oggetti celesti, come fanno la maggior parte dei telescopi, il Rubin passerà al setaccio ogni tre giorni, per dieci anni, l’intero cielo australe, con un livello di dettaglio senza precedenti, rilevando così ogni cambiamento: un oggetto che si è spostato, è cambiato o è apparso all’improvviso. In un solo anno, Rubin raccoglierà più dati ottici di tutti gli altri telescopi della storia messi insieme e costruirà gradualmente la mappa tridimensionale più dettagliata del cosmo mai realizzata.

Questa valanga di informazioni toccherà tutti i settori dell’astronomia. Permetterà di individuare nuovi oggetti celesti e ogni tipo di esplosione cosmica, aiuterà a capire come le galassie si formano, crescono, si fondono ed evolvono, e fornirà nuovi strumenti d’indagine sull’energia e sulla materia oscura, la cui esistenza fu confermata proprio dall’astronoma statunitense a cui è intitolato il telescopio.

Il volto dei denisoviani
Quest’anno è stato finalmente possibile dare un volto all’Homo di Denisova, grazie alle analisi genetiche compiute sulla placca dell’unico dente rimasto al cosiddetto “Dragon man” o “Harbin cranium”, il fossile del cranio di un ominine rinvenuto negli anni trenta del novecento a Harbin, nella Cina sudorientale.

Tutto è cominciato nel 2008 nella grotta di Denisova, in Siberia, dove fu rinvenuto un piccolo frammento di falange di una giovane femmina. Nel 2010 i genetisti annunciarono che quel reperto apparteneva a un nuovo ominine, strettamente imparentato con i neandertal e con gli esseri umani moderni. Negli anni successivi, però, in assenza di individui completi o anche solo di crani, i denisoviani sono rimasti senza volto.

La situazione è cambiata quest’anno, quando ricercatori cinesi sono riusciti ad analizzare il materiale genetico della saliva e di altri fluidi della bocca intrappolato nella placca dentale del cranio di Harbin, scoprendo che era ricollegabile a quello di altri reperti denisoviani già noti.

Ora che l’identità di Dragon man è stata chiarita, per i ricercatori sarà più facile riconoscere altri denisoviani in base alla forma delle ossa e dei denti. Inoltre la scoperta aiuterà a capire se questi ominini erano una sottospecie di Homo sapiens o una specie distinta.

L’anomalia del muone non basta
I ricercatori speravano che l’esperimento Muon g-2 avrebbe aperto la strada a una nuova fisica, ma non è stato così. Il modello standard, l’attuale teoria che descrive le particelle elementari, rimane ancora la migliore che abbiamo. A giugno si è visto che, contrariamente a quanto sostenuto in precedenza, una particella chiamata muone (simile a un elettrone ma con una massa duecento volte più grande) non è più magnetica di quanto prevede il nostro modello standard, lasciando ancora una volta i fisici senza nuovi indizi su come andare oltre un quadro teorico che sanno essere incompleto.

Dietro la delusione, si nasconde comunque un importante risultato: i teorici sono finalmente riusciti a calcolare il magnetismo del muone con grande precisione, partendo da zero, usando una tecnica chiamata teoria di gauge su reticolo.

Ricercatori artificiali
Che l’intelligenza artificiale potesse aiutare il progresso scientifico era noto dal 2020, quando Google DeepMind ha presentato il programma AlphaFold2, capace di prevedere la struttura delle proteine. Ma all’epoca nessuno si aspettava che cinque anni dopo i modelli linguistici di grandi dimensioni (Llm), programmi ideati per generare testi e rispondere alle richieste degli utenti generici, avrebbero potuto assumere un ruolo di primo piano in molti settori di ricerca.

Quest’anno una versione avanzata di Gemini, il modello linguistico di DeepMind, ha vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi internazionali della matematica, un risultato considerato impensabile fino a poco tempo fa. Il modello Gpt5 della OpenAi ha suggerito soluzioni originali per problemi che affliggevano i matematici da anni. Altri programmi hanno ottenuto in pochi giorni risultati nel campo della biologia e della chimica che avrebbero richiesto ai ricercatori mesi o anni di esperimenti.

Sull’affidabilità e sul rigore degli Llm restano vari dubbi, ma i progressi recenti hanno suscitato la speranza che l’uso di questi strumenti possa accelerare in modo esponenziale la ricerca, attirando centinaia di milioni di dollari di investimenti nelle aziende del settore.

Organi dai maiali
Gli xenotrapianti, che prevedono l’impianto di organi prelevati da animali in pazienti umani, hanno fatto passi avanti significativi nel 2025. Un rene proveniente da un maiale geneticamente modificato ha funzionato per quasi nove mesi in un uomo statunitense, stabilendo un nuovo record per un trapianto di questo tipo. Un altro intervento simile ha avuto risultati simili in Cina.

Perché questa tecnica possa davvero sostituire i trapianti da persona a persona bisognerà aumentare la sopravvivenza degli organi suini introducendo altre modifiche genetiche ancora da identificare, e trovare il modo di impedire le crisi di rigetto con farmaci più efficaci o con altre soluzioni.

Dopo decenni di tentativi falliti, la speranza che questa tecnica possa offrire un giorno una soluzione alla scarsità di donatori umani appare più concreta.

Riso a prova di caldo
L’aumento delle temperature notturne può avere gravi conseguenze per la coltivazione del riso, riducendo la resa dei raccolti e la qualità dei chicchi. Ma un gruppo di ricercatori cinesi ha individuato un gene che potrebbe proteggere le piante da questi effetti.

Coltivando 533 tipi di riso, hanno trovato una variante del gene responsabile di questi problemi che non si attiva con la temperatura, e impiantandola nelle varietà commerciali hanno ottenuto un resa maggiore del 78 per cento e una minore quantità di chicchi rovinati in condizioni di caldo notturno.

I ricercatori sperano che sia possibile ottenere un risultato simile con altri cereali, come il grano o il mais, in modo da ridurre gli effetti del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare globale.

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