Durante il dibattito sul regolamento europeo sul ripristino della natura (che fa parte del green deal europeo), avvenuto all’inizio del 2024, l’eurodeputato olandese Bert-Jan Ruissen, del partito dei conservatori e riformisti europei (Ecr, estrema destra) ha affermato che “troppi terreni erano stati riservati al ripristino della natura”. Come altri esponenti della destra, ha sostenuto che le politiche di protezione della natura minacciano la stabilità economica. Anche la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni ha detto più volte che il green deal è stato il frutto di un “approccio ideologico”, “un approccio autodistruttivo”, definendolo anche “una débâcle” economica.

Il regolamento europeo sul ripristino della natura rappresenta un pilastro del green deal europeo, il piano che vuole contrastare la perdita di biodiversità e attenuare le conseguenze del cambiamento climatico. Inizialmente prevedeva il ripristino di almeno il 30 per cento delle terre e dei mari dell’Unione europea considerati degradati, con il divieto di ulteriori danni agli ecosistemi.

La Commissione ha presentato la proposta nel 2022, fissando un obiettivo del 20 per cento entro il 2030 e il ripristino completo degli ecosistemi degradati entro il 2050. L’estrema destra non è stata la sola a opporsi al provvedimento: anche il Partito popolare europeo (Ppe), preoccupato del consenso politico, ha sollevato timori su politiche ambientali ritenute dannose per gli agricoltori, l’approvvigionamento dei prodotti alimentari e la stabilità economica. Con l’avvicinarsi delle elezioni parlamentari del 2024 e il conseguente inasprimento del dibattito, dichiarazioni come quella di Ruissen o di Meloni sono diventate cavalli di battaglia delle destre europee, nel tentativo di screditare il green deal e conquistare consensi.

Nel 2019 le elezioni europee avevano espresso un parlamento relativamente progressista, con i verdi in una posizione di rilievo, grazie anche alla spinta di movimenti come Fridays for future. Ma nel 2024 si è registrata un’inversione di tendenza. Il deputato europeo di estrema destra olandese Bert-Jan Ruissen e i suoi colleghi hanno avviato una serie di azioni volte, se non a smantellare il green deal, almeno a rallentarne l’attuazione. E molti leader come Meloni hanno continuato a esprimere critiche. Il pretesto? Rappresenterebbe una minaccia per la giustizia sociale e la stabilità economica.

In questo dibattito la destra e l’estrema destra giocano la carta del realismo: poiché la transizione verde è costosa e rischia di lasciare indietro i cittadini i cui posti di lavoro e l’intera vita dipendono ancora dai metodi di produzione tradizionali, dev’essere rivista e resa più “pragmatica”.

Secondo Marlene Mortler, ex eurodeputata del Ppe, “il green deal non deve mettere a repentaglio la sicurezza alimentare”. Mortler sostiene che la difesa della natura comporta un rischio potenziale, quello di rendere inutilizzabili i terreni a causa delle misure di protezione.

Chiedendo il rifiuto totale della proposta della Commissione, nel 2023 il leader del Ppe Manfred Weber ha dichiarato che questa legge “sfida le autorità locali e regionali a fare l’impossibile: invertire settant’anni di cambiamenti avvenuti nella natura in circa venticinque anni”.

Cosa contiene il testo

Coloro che si oppongono alla legge hanno affermato che vaste aree di terreno agricolo sarebbero state rinaturalizzate. In realtà, il testo non espropria i terreni agricoli, poiché dà priorità agli ecosistemi degradati e riconosce esplicitamente la necessità di bilanciare la conservazione e l’attività economica. Il testo comprende anche meccanismi di flessibilità che garantiscono che gli sforzi di ripristino siano compatibili con la produzione alimentare e i mezzi di sussistenza rurali.

Sebbene gli oppositori della legge abbiano reso difficile l’iter legislativo, è stato possibile raggiungere un accordo. Il testo è stato infine firmato nel giugno 2024, poco prima delle elezioni europee. E prevede l’obbligo per gli stati membri dell’Unione di ripristinare almeno il 20 per cento degli habitat entro il 2030, dando priorità ai siti protetti nell’ambito della rete Natura 2000. I 27 paesi hanno ora tempo fino al 1 settembre 2026 per presentare alla Commissione i loro progetti di piani nazionali di ripristino.

Le parole di Ruissen, prive di sostegno scientifico, sono state fondamentali per rovinare la reputazione del green deal. Ancora oggi l’elaborazione delle politiche su questo tema sta pagando il prezzo di questa retorica, cosa che è stata evidente durante le proteste degli agricoltori che hanno toccato tutta Europa.

“Man mano che le proteste si diffondevano, le lobby agricole e la destra conservatrice hanno cominciato a strumentalizzarle”, spiega l’organizzazione ambientalista Associazione Terra!.

Con un certo successo: nel 2024 diversi testi legislativi europei sono stati vittime di queste preoccupazioni. Per esempio, la politica agricola comune (Pac) è stata modificata per consentire agli agricoltori di ricevere sovvenzioni europee anche se non rispettano le norme agricole e ambientali dell’Unione.

Il parlamento europeo ha respinto una proposta per limitare l’uso dei pesticidi. Il regolamento sui prodotti derivati dalla deforestazione è stato rinviato, a seguito delle pressioni dei partiti conservatori.

Le emissioni dell’agricoltura intensiva non sono state equiparate alle emissioni industriali negli obiettivi climatici dell’Unione per il 2040. La strategia Farm to fork dovrebbe essere dichiarata clinicamente morta.

Politiche agricole neoliberiste

Un esame più approfondito delle proteste degli agricoltori, spesso presentate come una reazione diretta alle politiche del green deal, rivela che le loro preoccupazioni principali risiedono altrove.

Per esempio nell’accordo commerciale tra l’Unione europea e il Mercosur, che potrebbe consentire a prodotti agricoli meno costosi provenienti dall’America Latina di entrare nel mercato europeo. Una paura sottolineata dal movimento La via campesina, che nel 2024 ha ricordato che gli agricoltori erano stanchi “di passare la vita a lavorare senza sosta senza mai ottenere un reddito dignitoso”.

“Siamo arrivati a questo punto dopo decenni di politiche agricole neoliberiste e accordi di libero scambio. Negli ultimi anni i costi di produzione hanno continuato ad aumentare, mentre i prezzi pagati agli agricoltori sono rimasti gli stessi o sono addirittura diminuiti”, precisa La via campesina.

“Dagli anni ottanta le diverse normative che garantivano prezzi equi agli agricoltori europei sono state smantellate. L’Unione europea ha puntato tutto sugli accordi di libero scambio, che hanno messo in concorrenza tutti gli agricoltori del mondo, spingendoli a produrre al prezzo più basso possibile, a scapito dei loro redditi e del loro indebitamento. La produzione ecologica ha enormi vantaggi per la salute e il pianeta, ma costa di più agli agricoltori, quindi per realizzare la transizione agroecologica è necessario proteggere i mercati agricoli. Purtroppo, non siamo stati ascoltati”.

La protezione della natura ha un valore economico

Contrariamente alle affermazioni secondo cui la protezione dell’ambiente danneggia la stabilità economica, le ricerche dimostrano che il mancato ripristino degli ecosistemi degradati comporta un rischio finanziario molto più alto.

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) sottolinea che il degrado degli ecosistemi minaccia direttamente la produttività agricola e la sicurezza alimentare: “Il cambiamento climatico osservato sta già influenzando la sicurezza alimentare a causa dell’aumento delle temperature e degli eventi estremi, e della modifica dei regimi delle precipitazioni”. E aggiunge che “la sicurezza alimentare sarà sempre più influenzata dai cambiamenti climatici”. Inoltre, prosegue l’Ipcc, “circa il 21-37 per cento delle emissioni totali di gas serra è attribuibile alla produzione alimentare”.

Questo sistema è spesso dato per scontato. Tuttavia, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) stima che entro il 2050 sarà necessario produrre circa il 50 per cento in più di cibo per sfamare la popolazione mondiale in crescita. “Questo comporterebbe un aumento significativo delle emissioni di gas serra e avrebbe conseguenze sull’ambiente, tra cui la perdita di biodiversità”, afferma l’Ipcc.

Con due miliardi di abitanti in più sul pianeta Terra non potremo permetterci di continuare a vivere come abbiamo fatto finora. Non si tratta solo di distribuire lo spazio in modo diverso. Solo forme di agricoltura nuove e sostenibili possono rispondere ai problemi che quella industriale ha creato negli ultimi decenni.

“La combinazione di azioni sulla produzione e i trasporti e sulle scelte alimentari e la riduzione delle perdite e degli sprechi consente di ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la resistenza del sistema alimentare”, aggiunge l’Ipcc.

La società di consulenza Pwc stima che più del 50 per cento del pil mondiale è minacciato dalla perdita di biodiversità. La protezione della natura è quindi un imperativo economico, non un ostacolo. Secondo il World resources institute (Wri), gli investimenti nel ripristino della natura hanno inoltre un effetto sostanziale sull’economia e creano posti di lavoro.

Se da un lato è necessaria una visione in materia di politica ambientale, dall’altro è innegabilmente difficile proporla in un periodo segnato da guerre e paura. Diverse misure sul clima incontrano una forte resistenza in nome dello status quo. Non è un caso che la stessa retorica alla base dell’offensiva contro la legge sul ripristino della natura si ritrovi sulle politiche energetiche.

Mentre la direttiva europea sulle energie rinnovabili ha introdotto l’obiettivo di portare la quota di energia prodotta da fonti alternative almeno al 42,5 per cento (e idealmente al 45 per cento) dei consumi entro il 2030, alcuni commentatori hanno espresso preoccupazione per il fatto che la produzione agricola potesse risentirne, poiché le energie rinnovabili possono incidere sui terreni disponibili.

Uno studio dell’ufficio europeo dell’ambiente e un rapporto pubblicato dall’associazione europea per l’energia Eurelectric affermano che la biodiversità e le reti elettriche possono coesistere senza compromettere la natura o la produzione alimentare.

Di fronte all’aumento dei rischi climatici gli scienziati non considerano il ripristino della natura un lusso, ma una necessità. La conservazione e il ripristino degli ecosistemi non costituiscono una minaccia per la stabilità economica, ma piuttosto una protezione contro un futuro collasso.

Questo articolo è stato realizzato con il sostegno dello European media and information fund (Emif). Non riflette necessariamente le posizioni dell’Emif, né dei suoi partner, la Calouste Gulbenkian foundation e lo European university institute.

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