Il 15 luglio 2025 è uscito il bando “per la concessione di contributi ad attività e iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva” del ministero della cultura. È un bando molto atteso dagli addetti ai lavori perché oggi fare cultura è molto complicato, e avere la possibilità di accedere ai finanziamenti pubblici può fare la differenza, soprattutto per le realtà indipendenti, tra riuscire o meno a fare un film. Certo, c’è chi pensa che anche la cultura debba essere soggetta alle leggi del mercato. Ma persino nella patria del liberismo e del capitalismo incontrastato, gli Stati Uniti, è apparso un articolo firmato dal comitato editoriale del New York Times che spiega perché, a proposito di prodotti culturali, è importante avere giornali finanziati da fondi pubblici, a proposito di prodotti culturali.
Comunque, il bando in questione esiste e deve distribuire quasi 36 milioni di euro di fondi pubblici che verranno divisi fra progetti diversi – ciascun progetto può ottenere fino all’80 per cento dei costi – per lo sviluppo di film, serie tv, serie per il web, per gli esordi e le seconde opere cinematografiche di giovani autori, per progetti di animazione, documentari e cortometraggi. Le parole “intelligenza artificiale” appaiono quindici volte nel documento ufficiale. Una delle prime cose che si nota è il fatto che i costi per le licenze di strumenti di intelligenza artificiale non rientrano fra i costi ammissibili.
L’articolo sette, invece, elenca i casi in cui i progetti verranno esclusi. Il comma sei recita, testualmente: “Sono altresì esclusi i progetti di scrittura di sceneggiature realizzati utilizzando sistemi di intelligenza artificiale”.
Questo criterio di esclusione fa parte di una visione politica e normativa che riguarda le intelligenze artificiali molto comune, che si riflette anche nella legge in discussione al senato. È una visione che viene accolta spesso con consenso anche da ambienti presuntamente progressisti. L’idea di fondo che la accompagna è questa: se vuoi creare, devi farlo con l’intelligenza e la creatività umane. Se hai bisogno dell’aiutino, allora non stai davvero creando. Figuriamoci, poi, se vuoi attingere a fondi pubblici.
È una visione miope, purtroppo, che, fra l’altro, rivela un grosso equivoco: le intelligenze artificiali, per varie ragioni – fra cui l’infelice nomenclatura che le accompagna – non sono considerate strumenti. Per molte persone, creare con l’ia non è come creare col computer, con gli effetti speciali, con la computer grafica. È altro, perché si presume che ci sia una sorta di delega alla macchina.
Questo atteggiamento ricorda un po’ quello che accadde quando Umberto Eco scrisse Il pendolo di Foucault usando il personal computer: era il 1988 ed era una vera rarità. Il critico letterario Alberto Asor Rosa non la prese bene e scrisse, fra l’altro, che “tutte le ultime pagine del romanzo non sono scritte al computer […], hanno un vago, e inaspettato, sapore pavesiano o fenogliano, non so quanto siano congiunte narrativamente al resto, se non nel senso che danno finalmente aria e spazio alla narrazione chiusa e soffocante dei truci misteri del fondo, ma sono bellissime”. Il resto, invece, è macchinoso, nel senso che è stato concepito e scritto con una macchina.
Oggi a nessuno verrebbe in mente di criticare il fatto che un libro sia stato scritto al computer. Anzi, ci sembrerebbe strano il contrario e se ci imbattessimo in una critica simile faremmo fatica persino a capirne il senso. Eppure le dinamiche si replicano e si amplificano, quando parliamo di intelligenze artificiali.
Strumenti di servizio
Chi crea con le ia sa che non c’è davvero una delega alle macchine. Io lo faccio spesso per sperimentare, per divertirmi, per imparare. Penso che valga la pena raccontare il procedimento che ho usato per l’ultimo video sperimentale che ho fatto, al di là del giudizio di merito sul risultato finale.
Prima di tutto, ho creato le immagini statiche di partenza con Midjourney, facendo per ciascuna decine di prove, modificandole più e più volte. Ho scelto quelle che mi piacevano di più e le ho immaginate in sequenza. Poi le ho animate usando Runway, cercando di controllare bene i movimenti dei soggetti e i movimenti di macchina. Anche la canzone è generata, con Suno. È sicuramente la parte meno interessante, più dilettantistica e più deludente del progetto, perché è quella a cui ho dedicato meno tempo e su cui ho fatto meno interventi. Poi, sempre con Runway, ho creato il labiale delle parti cantate facendo in modo che uno dei personaggi animati muovesse le labbra seguendo il testo della canzone. Infine ho montato il tutto con un altro software.
In tutto questo procedimento ho usato anche ChatGpt come assistente generale, per sistemare il testo della canzone e per scrivere meglio alcuni prompt che poi ho usato nelle altre intelligenze artificiali. Insomma: ho usato le macchine che ho nominato come strumenti al servizio di quello che volevo creare.
I divieti impediscono le sperimentazioni come questa e, paradossalmente, soffocano quella stessa creatività che si vorrebbe difendere.
Ma c’è un altro equivoco. È contenuto in una domanda che ho fatto al ministero via mail, senza aver ancora ricevuto risposta. La domanda è questa: “Quali strumenti, software e/o criteri userete per individuare eventuali progetti di scrittura di sceneggiature realizzati con sistemi di intelligenza artificiale?”.
Non è una polemica, è una domanda necessaria. Se si usano le ia in maniera banale è possibile che si ottengano testi che verranno rilevati dai vari software in circolazione, come ZeroGpt. E dunque si potranno eventualmente escludere dal bando. Ma se si usano le intelligenze artificiali per migliorare un’idea, per controllare i refusi, per scrivere in maniera più efficace un progetto, cioè, se si usano in maniera evoluta e consapevole, allora è semplicemente impossibile rilevare se un testo sia stato scritto o meno con un’ia come assistente.
E poi ci sono i falsi positivi. Se inseriamo il testo dell’articolo sette del bando dentro ZeroGpt, lo strumento lo indica come “scritto da un’ia” all’86,8 per cento. Perché accade? Potremmo pensare che sia stata davvero usata un’intelligenza artificiale per scriverlo: non ci sarebbe nulla di male. Oppure, più semplicemente, accade perché i testi di un bando hanno schemi molto prevedibili, sono macchinosi e quindi possono sembrare, anche a un software, scritti da una macchina.
Questo vale per tutte le cose un po’ troppo schematiche e piatte. Quindi, persino un dialogo banale o la struttura in tre atti di un film o il classico schema intro-strofa-ritornello-strofa-ponte-ritornello-ritornello di una canzone pop potrebbe risultare “scritto da un’ia”. Tutto questo rende i divieti ancora più inutili. Forse addirittura dannosi.
Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.
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Cosa succede nel mondo dell’intelligenza artificiale. Ogni venerdì, a cura di Alberto Puliafito.
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