Secondo la logica per cui, potendo vivere con un rene solo, dare l’altro per salvare una vita è un atto di carità e quindi nelle donazioni ci guadagnano tutti, il contrabbando di organi è spesso percepito, a torto, come un crimine senza vittime. Gli intermediari e i trafficanti usano spesso questo argomento per convincere i poveri a vendere un rene. Nel 2023 la polizia indonesiana ha arrestato i trafficanti che avevano convinto con l’inganno 122 persone a vendere un rene in Cambogia.

Non è la prima volta che emergono notizie del genere. Nel 2012 e nel 2017 i mezzi d’informazione hanno parlato di casi sospetti in cui i cadaveri di migranti indonesiani che lavoravano in Malaysia e in Medio Oriente erano stati restituiti alle famiglie con tagli su tutto il corpo. Vicende simili rientrano in una rete di contrabbando alimentata dalla scarsità di donatori legali. La maggior parte dei paesi adotta un sistema di donazione basato sul consenso esplicito, secondo cui organi come reni, cornee e fegato possono essere espiantati solo dal corpo di chi prima di morire si è registrato per la donazione. Il prelievo senza consenso è severamente vietato.

Data la scarsità di donatori, la domanda è in forte aumento. Nel 2024 negli Stati Uniti c’erano più di 103mila persone in lista d’attesa, in Europa più di 13mila. In Indonesia sono 70mila e di queste solo 234 hanno ricevuto un trapianto, grazie esclusivamente a donazioni intrafamiliari. La situazione sta facendo crescere il traffico di esseri umani per l’espianto e il contrabbando di organi. I trafficanti attirano le persone povere convincendole in cambio di piccole somme di denaro. Perfino alcuni governi, come quello cinese, sono coinvolti nell’espianto illecito di organi di prigionieri politici o di dissidenti.

Come altre forme di traffico di esseri umani, quello finalizzato all’espianto di organi è molto redditizio. Secondo l’ong The exodus road, il settore frutta 1,7 miliardi di dollari. Circa il 10 per cento degli organi trapiantati nel mondo è stato ottenuto in modo illegale. Al processo della prima condanna negli Stati Uniti per traffico di persone a scopo di espianto, Levy Izhak Rosenbaum ha ammesso di aver ricevuto fino a 150mila dollari da ogni paziente che cercava una donazione illegale. Il caso di Rosenbaum non svela solo l’entità del profitto, ma anche una nuova forma di “colonialismo del corpo” esercitata dai ricchi dei paesi sviluppati a danno dei poveri dei paesi in via di sviluppo.

Nelle baraccopoli

I trafficanti si aggirano nelle baraccopoli e nei villaggi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e dell’Europa orientale per adescare persone e indurle a vendere i loro organi. L’Asia, in particolare paesi come India, Iran, Nepal, Bangladesh, Filippine, Sri Lanka, Vietnam e Indonesia, è oggi il mercato illegale di organi più attivo ed esteso. Una comunità in Nepal è stata addirittura soprannominata “kidney valley” (valle dei reni) perché nota come bacino di organi illegali. Paesi come India e Cina sono mete del “turismo dei trapianti”, dove persone ricche vanno a sottoporsi a trapianti illegali partecipando a viaggi organizzati da reti di trafficanti.

Per prevenire questo tipo di crimine sono in vigore norme internazionali come il protocollo di Palermo, la convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani e la dichiarazione di Istanbul sul traffico di organi e il turismo dei trapianti. A livello regionale, la convenzione dell’Asean contro la tratta di esseri umani, definisce sfruttamento l’espianto non consensuale, che in Indonesia è vietato dal 2007. In realtà, però, spesso la legge rimane lettera morta. A differenza dello sfruttamento sessuale e del lavoro forzato, il traffico di organi è un crimine sofisticato che coinvolge professionisti del settore sanitario. I trafficanti sfruttano scappatoie e coprono le loro tracce servendosi di medici insospettabili, spesso con la connivenza di funzionari corrotti.

Ma vista la domanda di organi, oltre a combattere il traffico, è essenziale che i paesi adottino sistemi di donazione basati sul consenso presunto. E l’Indonesia, che è molto a rischio di trapianti illeciti, dovrebbe aprire un dibattito sul tema. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati