In questi tempi in cui le operazioni militari prendono il nome da episodi biblici, come i carri di Gedeone a Gaza, ecco una canzone che dal vecchio testamento prende immagini fortemente evocative per annunciare l’arrivo di una nave di salvezza, che possa attraccare in un mondo nuovo.

Bob Dylan scrisse When the ship comes in nel 1964, nel pieno dei grandi movimenti di protesta che scuotevano gli Stati Uniti. La nave sta arrivando, e ha gli occhi del mondo puntati addosso. È una nave di speranza, che viaggia sulla schiuma festante, alla quale i pesci sorridono, e divide il mare sull’onda della certezza della vittoria. “Oh, gli empi si alzeranno / con gli occhi sporchi di sonno / intorpiditi, penseranno di sognare / e il mare si richiuderà sul faraone e le sue genti / essi, come Golia saranno vinti”. La nave è stata spesso un simbolo di salvezza nella storia dell’umanità, a partire dall’arca. Da una decina d’anni chi prova a salvare esseri umani in mare viene bollato di accuse infamanti e inquisito. Non ultima la minaccia di Itamar Ben-Gvir di rinchiudere in carcere con l’accusa di terrorismo gli attivisti che a bordo di decine di imbarcazioni stanno arrivando per portare aiuti alla popolazione stremata di Gaza. Le chiglie della Global sumud flotilla rappresentano quella nave di speranza davanti alla quale il mare dovrà aprirsi, per farla passare.

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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati