In occasione delle celebrazioni del 2 giugno io e i miei musicisti siamo stati invitati dal consolato italiano a tenere un concerto al teatro Coliseo di Buenos Aires. Italia e Argentina sono un po’ come il rio della Plata, non si sa dov’è il fiume che avanza o il mare che indietreggia. Tra le infinite storie che si mescolano, però, c’è n’è una che dovremmo conoscere, quella di Enrico Calamai, console italiano a Buenos Aires dal 1972 al 1977. Prima a Santiago del Cile nei giorni dopo il colpo di stato, e poi durante la dittatura di Videla in Argentina, riuscì a salvare centinaia di persone da torture, detenzione e sparizione. La sua vicenda la racconta nel libro Niente asilo politico : “È stata un’esperienza professionale che mi ha portato a contatto della violenza di stato in una società da definirsi in tutti i sensi occidentale e cristiana. Una violenza notturna, incomprensibile e terrorizzante”. Calamai ha più recentemente definito migranticidio le morti nel Mediterraneo e ha chiesto giustizia per i nuovi desaparecidos. Tra le persone sparite in quegli anni anche la figlia di un’italiana d’Argentina che ha passato il resto della vita nella militanza della memoria: Vera Vigevani Jarach. Due militanze che ci dicono che ricordare le cose successe tanti anni fa deve servirci a leggere la realtà attuale. L’orrore, dice Calamai, non era solo in quello che accadeva, ma nella normalità in cui la vita di tutti continuava.

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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati