“Dov’è Basma Mustafa?”. I mezzi d’informazione se lo chiedevano angosciati il 4 ottobre, quando si sono perse le tracce della giornalista egiziana, avvistata l’ultima volta nei pressi della stazione di Luxor. Secondo il sito Al Manassa, Mustafa aveva telefonato in redazione il giorno prima, dichiarando di essere stata fermata e identificata da un poliziotto, che continuava a pedinarla. È stata rilasciata il 6 ottobre dopo essere stata arrestata e interrogata.
In Egitto la repressione colpisce in modo particolarmente duro i giornalisti. Mustafa, che lavora per Al Manassa, in passato ha collaborato con il sito Mada Masr. Le due testate sono tra le ultime roccaforti del giornalismo indipendente egiziano, in un panorama in cui i mezzi d’informazione sono controllati dallo stato. Negli ultimi anni entrambi i giornali sono stati bersaglio dei ripetuti attacchi delle autorità.
Il 2020 è stato un anno doloroso per la libertà d’espressione in Egitto, soprattutto a causa di un emendamento alla legge “antiterrorismo” adottato ad aprile, che amplia i motivi per l’arresto, moltiplicandoli nel caso dei giornalisti, ma anche di studiosi, intellettuali e oppositori politici.
Massima allerta
La sparizione di Mustafa ha coinciso con un ritorno del dissenso verso il regime di Abdel Fattah al Sisi. Il clima repressivo instaurato con il suo arrivo al potere, nel 2013, aveva reso le manifestazioni molto rare, ma il peggioramento delle condizioni di vita ha spinto alcune persone a non curarsi dei rischi e a tornare in strada.
Da settimane in Egitto si moltiplicano manifestazioni di media grandezza. Il 20 settembre ce n’è stata una in occasione dell’anniversario delle proteste del 2019, dopo gli appelli dell’imprenditore Mohammed Ali, figura dell’opposizione in esilio. In sedici città si sono sentiti slogan come “il popolo vuole la caduta del regime” e “abbasso Al Sisi”. Le mobilitazioni si sono diffuse nelle città minori e nei villaggi. “La differenza principale rispetto al 2019 è la mobilitazione delle persone anche fuori del Cairo”, osserva Gasser Abdel Razek, direttore dell’ong Egyptian initiative for personal rights.
◆ Secondo l’ong Human rights watch, in Egitto ci sono più di 60mila prigionieri politici, tra cui attivisti, giornalisti, avvocati, intellettuali e islamisti. Centinaia e forse migliaia di persone sono tenute in detenzione preventiva. Il tribunale del Cairo il 7 ottobre ha rinnovato per altri 45 giorni la detenzione di Patrick Zaki, attivista e studente dell’università di Bologna arrestato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio.
Ci sono stati diversi scontri con le forze dell’ordine. “Il livello di allerta è massimo e gli arresti arbitrari sono cominciati almeno da metà settembre”, sottolinea Abdel Razek. Le autorità hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni, manganelli e colpi d’arma da fuoco e centinaia di manifestanti sono stati arrestati “in casa o per strada”, precisa Abdel Razek. Secondo Amnesty international 496 persone sono in carcere, per lo più con accuse di “terrorismo”.
“Molte sono state fermate durante le proteste contro una recente legge che autorizza a demolire alcune abitazioni se non viene pagata una certa somma”, spiega Abdel Razek. Questo metodo, che combina repressione e arresti, ha l’obiettivo di “inviare un messaggio chiaro: nessuna forma di dissenso sarà tollerata”, ha scritto Amnesty international il 2 ottobre.
Le forze dell’ordine hanno anche ucciso due persone. Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, Ewais Abdel Hamid al Rawi, che veniva dal villaggio di Awamiyah e lavorava all’ospedale di Luxor, è stato ucciso davanti a casa sua. Basma Mustafa era andata a Luxor per indagare sulla sua morte. Da giorni Awamiyah è sotto l’assedio delle forze dell’ordine. Le tensioni si sono inasprite dopo la morte di Al Rawi. L’indignazione ha colpito un’opinione pubblica sempre più critica e meno timorosa di manifestare il dissenso. “Il movimento esiste, ma è difficile prevedere quali saranno gli sviluppi futuri. Una cosa è certa: la rabbia è tanta”, conclude Abdel Razek. ◆ fdl
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati