L’India, il terzo paese al mondo per emissioni di gas serra, non è un modello nella lotta contro il cambiamento climatico, nonostante il governo di New Delhi si sforzi di apparire come un campione delle energie rinnovabili. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), tra il 2023 e il 2024 il paese più popoloso del mondo ha registrato il maggiore aumento in termini assoluti (3,6 per cento, pari a 165 milioni di tonnellate in più) delle emissioni totali di gas serra a livello mondiale.

Se da un lato le emissioni dell’India per abitante sono inferiori alla media mondiale – il paese è ancora in maggioranza povero, con un pil pro capite di 2.500 euro contro i 12.300 euro della Cina – la sua impronta carbonica globale continua a crescere insieme all’attività industriale e alla domanda di energia. La sua dipendenza dal carbone non è diminuita. Questo combustibile continua a dominare il settore energetico indiano e fornisce il 70 per cento dell’elettricità del paese, da cui dipendono anche i trasporti e la produzione di cemento, molto inquinanti, in costante aumento a causa della forte espansione urbanistica.

Nel 2025 potrebbe esserci un rallentamento. L’India rappresenta l’8 per cento delle emissioni mondiali, e secondo le proiezioni del Global carbon project ha registrato un incremento dell’1,4 per cento delle emissioni di carbonio, ben al di sotto delle tendenze recenti. Il calo però è determinato soprattutto dalle condizioni meteorologiche, con un monsone precoce e prolungato i cui eccessi di pioggia hanno ridotto la necessità di climatizzazione, e dalla forte crescita dell’energia solare.

Il 14 luglio il governo di Narendra Modi ha annunciato di aver raggiunto il suo obiettivo del 50 per cento della capacità elettrica installata a partire da fonti di energia non fossili (solare, eolico, biomasse, idroelettrico e nucleare), cinque anni prima della scadenza fissata in occasione della Conferenza sul clima del 2021. L’India si è impegnata a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra per unità di pil (intensità delle emissioni) del 45 per cento rispetto ai livelli del 2005, ad aumentare del 50 per cento nello stesso arco di tempo la quota di energie non fossili nella capacità elettrica totale e a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070, un orizzonte molto lontano.

La crescita delle rinnovabili è stata rapida: nel 2014 rappresentavano circa il 30 per cento della capacità energetica. Come la Cina, il governo ha privilegiato il gigantismo, con parchi solari come quello di Khavda, costituito da 60 milioni di pannelli solari nel deserto del Kutch, nel Gujarat, su una superficie cinque volte quella di Parigi. È una tappa importante, ma va relativizzata, perché il tema è la capacità totale installata. Nella produzione reale le rinnovabili rappresentano ancora solo il 28 per cento.

L’assenza di Modi a Belém

New Delhi ha mandato due segnali negativi alla Conferenza sul clima (Cop30) che si chiude il 21 novembre a Belém, in Brasile. Narendra Modi non ci è andato, preferendo concentrarsi sulle elezioni regionali nel Bihar, e l’India non ha sottoposto all’Onu, entro il termine ultimo del 30 settembre, il suo piano nazionale di adattamento e il suo contributo determinato a livello nazionale aggiornato, che dettaglia le misure da prendere per ridurre le emissioni da combustibili fossili entro il 2035. A Belém la rappresentante indiana ha insistito sull’adattamento, la questione più importante per New Delhi, chiedendo una partecipazione maggiore dei paesi ricchi. Ha dichiarato che i finanziamenti per le azioni di adattamento devono essere moltiplicati per 15 per rispondere ai bisogni dei miliardi di persone vulnerabili che hanno contribuito meno al riscaldamento climatico. New Delhi ha sempre sostenuto che le economie sviluppate non hanno mantenuto la promessa di fornire un finanziamento annuo di cento miliardi di dollari.

In realtà il governo indiano non spende i fondi destinati all’ambiente. Secondo un rapporto presentato al parlamento dal ministero dell’ambiente, delle foreste e del cambiamento climatico, non ha usato nemmeno l’1 per cento del bilancio nazionale destinato alla lotta contro l’inquinamento dell’aria per l’anno fiscale 2024-2025. Nel complesso il ministero ha speso poco più della metà dei fondi di cui dispone. Secondo le stime del Niti Aayog, il centro studi del governo, l’investimento necessario per la transizione energetica dovrebbe essere di 250 miliardi di dollari all’anno fino al 2047. Una somma necessaria per sviluppare le energie rinnovabili, accelerare la riduzione progressiva del carbone, elettrificare i trasporti, migliorare l’efficacia energetica e realizzare controlli delle emissioni di metano e di quelle industriali.

Soluzioni urgenti

Il governo continua a incoraggiare la distruzione degli spazi naturali, in particolare delle foreste, con la moltiplicazione di progetti minerari, strade e infrastrutture. Si appresta a trasformare, contro il parere di tutti gli scienziati, una delle isole nel mare delle Andamane, quasi interamente vergine e ricca di una straordinaria biodiversità, in un porto di trasbordo delle merci da navi di grandi dimensioni ad altre più piccole dirette a scali intermedi . L’estremo inquinamento dell’aria a New Delhi testimonia inoltre dell’indifferenza delle autorità rispetto al deterioramento dell’ambiente.

Servono soluzioni urgenti: secondo l’ultima edizione dell’Indice dei rischi climatici, creato dall’organizzazione Germanwatch, l’India si colloca al nono posto tra i paesi più colpiti negli ultimi trent’anni dagli effetti del riscaldamento globale, con inondazioni, esondazioni improvvise, tifoni, siccità e ondate di caldo estremo. Dal 1995 ha subìto 430 fenomeni climatici estremi che hanno provocato la morte di più di 80mila persone.

I bisogni energetici del paese continueranno a crescere parallelamente all’aumento della popolazione, che secondo le previsioni arriverà a 1,7 miliardi di abitanti entro il 2060. Ciò imporrà di costruire città e nuove infrastrutture, di incrementare la produzione agricola per nutrire tutta la popolazione. A meno di ripensare in toto il suo modello, difficilmente l’India potrà gestire i bisogni legati al suo sviluppo senza contribuire alla distruzione del pianeta. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati