Fino a non molto tempo fa vivevamo in una delle epoche più pacifiche della storia moderna. Secondo l’Uppsala conflict data program, nel 2005 si registrava il minor numero di morti in conflitti armati dalla seconda guerra mondiale. Come cambiano i tempi. Nel 2024 ci sono stati 61 “conflitti con il coinvolgimento di stati”, il numero più alto dal 1946 secondo i dati del Peace research institute di Oslo. Perché ci sono così tante guerre?

C’è una sola cosa peggiore di una forza di polizia faziosa e brutale, ed è la totale assenza di polizia. Nel nostro secolo il mondo l’ha sperimentato. Gli anni novanta sono stati l’epoca d’oro dei due poliziotti globali, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite. Dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990 una risoluzione delle Nazioni Unite autorizzò gli stati che facevano parte dell’Onu a contrastarla. In quel decennio il mondo era pattugliato dal poliziotto americano, che mirava a un quasi monopolio della forza. La “comunità internazionale” (cioè gli Stati Uniti e i loro amici) tollerava solo le guerre civili in scenari contenibili: Somalia, Ruanda, Jugoslavia.

Gli Stati Uniti non fingono nemmeno più di rispettare le norme internazionali

Le norme di pace raggiunsero il loro apice sul finire degli anni novanta, quando alcuni trattati misero al bando le mine antipersona e crearono la Corte penale internazionale. Ma poi l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 ha azzoppato i due grandi poliziotti: l’Onu, perché gli Stati Uniti avevano agito senza il suo consenso e, in seguito, gli stessi Stati Uniti, perché quella guerra disastrosa avrebbe creato un persistente tabù nel paese sull’invio di truppe all’estero. Con il riaffermarsi di Cina e Russia la “comunità internazionale” si è dissolta. L’assenza di leggi è stata evidente nell’agosto 2013, quando il dittatore siriano Bashar al Assad usò il gas sarin per uccidere 1.400 persone in un quartiere periferico di Damasco. Barack Obama aveva avvertito che gli attacchi chimici sarebbero stati “una linea rossa”. Ma poi non agì: il poliziotto americano era andato in pensione. Sei mesi dopo Vladimir Putin invase l’Ucraina.

Gli stati sono diventati dei fuorilegge che massacrano civili, ma senza quasi pagarne il prezzo. Immaginate se una “comunità internazionale” avesse punito Assad o Putin, o gli Stati Uniti per la loro “guerra globale al terrore”, o Mohammed bin Salman per la guerra in Yemen, o Paul Kagame in Ruanda per essere diventato il Putin dell’Africa centrale, o Israele per aver distrutto Gaza, come aveva punito l’Iraq nel 1990. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è praticamente tenuto fuori dalla guerra indo-pachistana e dai conflitti in Ucraina e a Gaza. Steven Everts, direttore dell’Istituto dell’Unione europea per gli studi sulla sicurezza, afferma: “È venuta meno la regola secondo cui non si può usare la violenza per risolvere conflitti politici. Ed è una cosa contagiosa”. Gli Stati Uniti non fingono nemmeno più di rispettare le norme. Il bombardamento dell’Iran senza l’approvazione del congresso o delle Nazioni Unite verosimilmente ha violato sia la costituzione statunitense sia il diritto internazionale. Il presidente statunitense Donald Trump tollera tutti gli aggressori internazionali, con l’eccezione dell’Iran. L’unica zona di conflitto in cui ha inviato truppe sul campo è Los Angeles. Trump ha anche tagliato i fondi a una polizia globale innegabilmente disfunzionale. Ha ridotto l’organico del consiglio per la sicurezza nazionale, del dipartimento di stato e delle agenzie di intelligence e ha messo a capo della sezione antiterrorismo della sicurezza interna un ventiduenne ex addetto alla campagna elettorale. Al posto del vasto complesso di sicurezza di Washington ora c’è l’imprenditore edile Steve Witkoff, che fu notato per la prima volta da Trump quando gli offrì un panino in una tavola calda a New York. Witkoff non è riuscito a negoziare degli accordi di pace simultanei in Ucraina, a Gaza e in Iran. Israele pianificava una guerra con l’Iran; gli Stati Uniti si sono semplicemente accodati.

Semplice e letale

In questo mondo senza regole e senza sorveglianza, c’è una nuova arma che ha reso la guerra più economica e più facile. Nel 2018 si contavano poco più di mille uccisioni dovute ai droni. Oggi ai droni è attribuito il 70 per cento delle vittime della guerra in Ucraina. L’Ucraina, ridotta alla povertà, si definisce a buon diritto “il leader mondiale nella guerra con i droni”. Il suo obiettivo è produrne 4,5 milioni quest’anno. Perfino i ribelli huthi dello Yemen sono in grado di alimentare l’inflazione globale attaccando le navi con i droni. Un ingegnere in Birmania “può costruire droni per i ribelli da una grotta, usando stampanti 3D, componenti recuperate da droni commerciali cinesi e conoscenze ottenute dalle chat online”, scrivono i ricercatori del Carnegie Mellon institute for strategy and technology in Pennsylvania. I droni vengono perfezionati mese dopo mese, rivoluzionando ogni calcolo geopolitico. La Cina, il maggior produttore di droni commerciali al mondo, potrebbe usarne la versione militare e unirla a un blocco navale per prendere il controllo di Taiwan senza dover compiere una sanguinosa invasione dal mare. E i futuri sciami di droni controllati dall’intelligenza artificiale, quasi impossibili da bloccare, potrebbero finire nelle mani di terroristi.

Cosa si può fare? Everts sostiene che in assenza di un poliziotto globale potremmo per esempio incaricare dei paesi di svolgere questo ruolo a livello regionale, una sorta di ronda di vicinato europea. Sarà un sistema fragile. L’assenza di regole è stata la normalità nella storia degli affari internazionali. Oggi, dopo una breve e felice anomalia, è tornata. ◆ fdl

Simon Kuperè un giornalista franco­britannico. In Italia ha pubblicato Calcio­nomia(Il Saggiatore 2019).

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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati