L’anno scorso Daniele, autista addetto alle consegne di un’azienda che lavora per Amazon in Italia, ha notato che centinaia di euro di multe venivano sottratti dal suo stipendio mensile, che è di 1.600 euro. Ma le sue infrazioni per sosta vietata o eccesso di velocità erano dovute al rigido programma di consegne dell’azienda.

“Siamo ostaggio di un algoritmo che calcola per noi gli itinerari quotidiani e ci impone in media 140 consegne in un turno da otto ore”, ha dichiarato Daniele, il 22 marzo, mentre partecipava a uno sciopero contro le condizioni di lavoro imposte dall’azienda. Daniele era davanti al magazzino di Amazon a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, in piedi accanto a un cartello su cui c’era scritto: “Siamo persone, non pacchi”.

Durante la pandemia gli ordini online di pasti pronti sono aumentati del 70 per cento rispetto all’ultimo anno

Amazon Italia ha negato che gli addetti alle consegne siano sottoposti a pressioni indebite dall’algoritmo dell’azienda, sostenendo che tutti i suoi lavoratori hanno il contratto di lavoro collettivo.

Tuttavia Daniele, che ha preferito non rivelare il suo cognome, ha ribadito che ai lavoratori “è richiesto di consegnare un pacco ogni tre minuti. Ovviamente corriamo o parcheggiamo il furgone in divieto di sosta, ma poi l’azienda fa pagare a noi le multe”.

Una grande vittoria

La protesta del 22 marzo, che è stata la prima azione su scala nazionale dei 9.500 lavoratori italiani di Amazon, annuncia nuovi problemi per le aziende della gig economy (l’economia dei lavoretti) in Italia. Il paese, che ha un costo del lavoro particolarmente alto e un governo che intende tutelare i diritti dei lavoratori, sta rapidamente emergendo come il prossimo fronte della battaglia globale delle aziende contro le leggi sul lavoro.

A marzo i lavoratori italiani della gig economy hanno ottenuto una grande vittoria: il tribunale di Milano ha multato le piattaforme di consegna di pasti pronti per 733 milioni di euro per aver violato le leggi sulla sicurezza sul lavoro, e ha dichiarato che i rider dovrebbero essere assunti con modalità simili a quelle dei dipendenti con un lavoro fisso. La sentenza è arrivata meno di un anno dopo che il tribunale di Milano aveva avviato un’indagine sulle pratiche di assunzione di Uber Eats e aveva commissariato la succursale italiana dell’azienda.

Regole nuove

Intanto il nuovo governo guidato da Mario Draghi sta lavorando con la Spagna per scrivere nuove regole per i lavoratori delle piattaforme digitali, e sta spingendo per adottare una regolamentazione europea sui contratti dei lavoratori a chiamata.

“È necessario trovare una forma di protezione per questi nuovi tipi di rapporto di lavoro”, ha detto al Financial Times il ministro del lavoro Andrea Orlando, del Partito democratico. “Questo significa contribuire a creare un sistema efficiente e ordinato”.

Queste iniziative arrivano in un momento in cui i modelli occupazionali delle aziende della gig economy di tutta Europa sono messi in discussione. All’inizio di aprile in Spagna il governo guidato dai socialisti ha annunciato che riconoscerà lo status di dipendenti agli addetti alle consegne a chiamata, una decisione che fa seguito alla sentenza di un tribunale spagnolo dello scorso anno.

A marzo, a Londra, una sentenza ha obbligato Uber a equiparare gli autisti ai lavoratori dipendenti, scatenando un’ondata di preoccupazioni tra gli investitori a proposito della sostenibilità del suo modello aziendale. Molti grandi gruppi si sono tenuti alla larga dal disastroso esordio in borsa di Deliveroo a Londra: il valore complessivo delle azioni dell’azienda è diminuito di quasi due miliardi di sterline nella prima giornata di contrattazioni, soprattutto a causa delle preoccupazioni per le leggi sul lavoro.

Per il momento l’Italia non ha ancora imposto lo status di dipendenti ai lavoratori della gig economy. Ma ultimamente, con l’aumento della disoccupazione in tutto il paese, i posti di lavoro in questo settore sono diventati l’unica possibile fonte di reddito per molti italiani, scatenando un acceso dibattito su un settore che fino a poco fa era considerato una nicchia.“La priorità è evitare lo sfruttamento dei lavoratori”, ha dichiarato Orlando.

Il settore del commercio elettronico in Italia è cresciuto esponenzialmente durante la pandemia. L’Osservatorio eCommerce B2c netcomm del Politecnico di Milano ha registrato un aumento del 30 per cento degli acquisti e del 70 per cento degli ordini alimentari su internet nell’ultimo anno. Un’opportunità allettante per le aziende della gig economy in uno dei mercati più ampi e a più rapida crescita d’Europa.

All’inizio del 2020 Deliveroo, la più grande piattaforma di consegne alimentari a domicilio in Italia, aveva annunciato che avrebbe raddoppiato la sua presenza nel paese durante la prima metà dell’anno. Prima della pandemia, in Italia le attività di consegna di pasti pronti valevano 566 milioni di euro, e appena il 18 per cento del totale veniva processato dalle relative applicazioni digitali. Secondo le stime fatte prima della pandemia da Just Eat, i ricavi delle piattaforme supereranno il miliardo di euro entro il 2023.

Un anno di confinamenti dovuti alla diffusione del covid-19 ha dato alle piattaforme un’ulteriore spinta in un paese poco digitalizzato, dove il contante rimane il metodo di pagamento preferito.

“Il rischio è che la gig economy sia considerata marginale quando invece genera profitti sempre più ampi per le aziende, e i suoi lavoratori devono essere protetti”, ha dichiarato Andrea Borghesi segretario generale della Nidil della Cgil che rappresenta e tutela i lavoratori atipici. “I lavoratori di Amazon hanno dei contratti di assunzione, ma condividono con i rider un ritmo di lavoro molto in­tenso”.

Alcune delle principali piattaforme stanno già adottando delle misure per salvaguardare il futuro delle loro attività in Italia. Deliveroo, Uber Eats, Glovo e SocialFoods hanno accettato, su invito del ministero del lavoro, di partecipare alle trattative con i sindacati dei lavoratori, e il 24 marzo hanno firmato un protocollo con il ministro del lavoro Orlando, in cui accettano di adottare dei provvedimenti contro le pratiche d’impiego illegale, come lo sfruttamento della manodopera.

L’eccezione di Just Eat

Matteo Sarzana, presidente di Assodelivery, l’organizzazione italiana delle piattaforme di consegna a domicilio, ha definito il protocollo un “altro passo avanti verso la protezione del lavoro dei rider per combattere l’illegalità”.

Le principali piattaforme, però, continuano a sostenere che i loro lavoratori sono subappaltatori esterni. L’eccezione è rappresentata da Just Eat, che ad aprile per la prima volta ha cominciato ad assumere a Monza quattromila dei suoi rider. “È una novità per l’Italia perché è un modello che rende l’assunzione dei rider una scelta sostenibile”, ha dichiarato Daniele Contini, responsabile per l’Italia di Just Eat. Il contratto dell’azienda prevede una paga oraria fissa, indipendentemente dal numero di consegne, e comprende copertura assicurativa, l’indennità di malattia, le ferie retribuite, il congedo di paternità o maternità e i contributi pensionistici.

“Just Eat è un caso isolato che serve a farci riflettere”, ha dichiarato il ministro Orlando. “Il nostro obiettivo non è dire alle aziende come debbano definire i loro lavoratori, ma facilitare un dialogo tra le parti. L’importante è che tutti si rendano conto che c’è un problema e che occorre affrontarlo”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati