Khaleel Seivwright ha individuato un problema e si è dato da fare per risolverlo. Per questo è un eroe. Seivwright è il carpentiere di Toronto che in autunno, pensando all’avvicinarsi del freddo e consapevole che nella sua città centinaia di persone vivono per strada, ha cominciato a costruire casette per senzatetto. A novembre 2020 il comune gli ha mandato una lettera intimandogli di smettere, e il 12 febbraio del 2021 si è rivolto a un tribunale per fermarlo.

Uno dei punti al centro della questione è la sicurezza. Il comune sostiene che i rifugi costruiti da Seivwright siano pericolosi perché potrebbero prendere fuoco. Un recente incendio nell’accampamento di Corktown ha provocato la morte di una persona, anche se per ora non è emerso un collegamento con le casette di Seivwright. Sull’altro piatto della bilancia c’è l’incapacità delle autorità di prendersi cura delle persone senza fissa dimora, un problema che è stato aggravato dalla pandemia di covid-19. A causa dei rischi sanitari, molti senzatetto non si fidano dei centri notturni e scelgono di vivere all’aperto. Questo spiega perché negli ultimi mesi gli accampamenti sono aumentati a Toronto e in altre città canadesi.

Verso un compromesso

Non è la prima volta che le persone usano gli spazi verdi di Toronto per avere un riparo provvisorio in tempi di crisi. Come spiega la scrittrice Jennifer Bonnell in un libro di qualche anno fa, è successo anche durante la grande depressione degli anni trenta. All’epoca le persone che andarono a vivere nella valle del fiume Don esprimevano un sentimento simile a quello che oggi spinge i senzatetto di Toronto a preferire le strade ai centri notturni: il bisogno di conservare la propria dignità e indipendenza. A differenza di quello che succedeva negli anni trenta, oggi Toronto sta ampliando l’offerta di alloggi accessibili. Due progetti abitativi modulari sono stati realizzati rapidamente, e altri edifici sono in costruzione. Ma per completare i progetti serve tempo, mentre tante persone hanno bisogno subito degli alloggi.

Dopo che gli è stata notificata l’ingiunzione, Seivwright ha pubblicato un video in cui dice che le sue casette sono una soluzione temporanea alla crisi degli alloggi, un modo “per tenere in vita le persone fino a quando potranno scegliere una soluzione alternativa”. Vorrebbe che il comune collaborasse con lui invece di costringerlo a fermarsi in un momento in cui i rifugi allestiti dal comune sono pieni.

In altre situazioni il comune non è sembrato così preoccupato per la sicurezza dei cittadini. Forse le autorità temono che collaborare con Seivwright equivalga ad ammettere che il sistema attuale è inadeguato, e ad approvare tacitamente la sistemazione nei parchi: un fatto che gli abitanti di Toronto hanno ormai accettato come una triste realtà, ma che il comune fa finta di non vedere.

Da sapere
Per strada

◆ In Canada ogni notte almeno 35mila persone dormono per strada o nei centri per senzatetto. Il 75 per cento di loro ha problemi di salute mentale. Questa condizione riguarda in modo particolare i nativi, che sono il 4,3 per cento della popolazione e circa il 30 per cento delle persone senza fissa dimora.


Le autorità locali sembrano aver perso un’occasione, così come le comunità di designer, architetti, imprenditori edili e immobiliaristi, che potrebbero fare molto per aiutare Seivwright. La città dispone di una quantità incredibile di talenti e conoscenze, anche sui materiali più sicuri. I soldi non mancano: qui il settore immobiliare genera miliardi di dollari ogni anno, e la pandemia non l’ha rallentato più di tanto.

Toronto è una città che si emoziona per tutto ciò che riguarda il design e le soluzioni abitative originali e alternative. La comunità degli architetti e degli urbanisti è intervenuta in settimana per salvare degli edifici in rovina di inizio novecento. Le stesse persone potrebbero dare una mano a Seivwright. C’è ancora tempo, e di sicuro il comune non si schiererebbe contro la classe dirigente della città. ◆ as

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati