A Mosca, nell’estate 2014, al tempo della prima invasione dell’Ucraina orientale, un gruppo di alti funzionari russi si è riunito presso il ministero della difesa, un gigantesco edificio d’epoca staliniana sulle rive del fiume Moscova. Avevano appuntamento con Evgenij Prigožin, un uomo di mezz’età dalla testa rasata e dalle maniere brusche. Molti dei presenti lo conoscevano solo perché gestiva i contratti per la fornitura di pasti all’esercito.

Quel giorno, però, Prigožin aveva richieste di tutt’altro tipo. Voleva alcuni terreni di proprietà del ministero da usare per l’addestramento di “volontari”, che non avrebbero avuto legami ufficiali con l’esercito russo ma avrebbero potuto essere usati in guerra. Prigožin ha messo subito in chiaro che la sua non era una richiesta come tante altre. “Gli ordini vengono da Papà”, ha detto, usando uno dei soprannomi di Vladimir Putin in modo da sottolineare la sua vicinanza con il presidente. Questo resoconto della riunione, di cui non si era mai parlato prima d’ora, arriva da una persona che era ai vertici del ministero della difesa e conosce il contenuto delle discussioni.

Le decisioni prese quel giorno avrebbero avuto conseguenze enormi sulla politica estera e sulle iniziative militari della Russia negli anni successivi: la milizia di combattenti a contratto creata da Prigožin, nota come gruppo Wagner, è intervenuta in Ucraina, in Siria e in molti paesi africani. Da quando, l’anno scorso, Putin ha deciso di lanciare un’invasione su vasta scala in Ucraina, la Wagner è tornata a concentrare le sue attività nel paese vicino. I suoi ranghi si sono ingrossati, fino a raggiungere – secondo le stime dei servizi d’intelligence occidentali – i cinquantamila combattenti, tra cui figurano decine di migliaia di ex detenuti reclutati nelle carceri di tutta la Russia, spesso da Prigožin in persona. A metà gennaio, quando gli uomini della Wagner hanno preso il controllo di Soledar – la prima conquista territoriale russa dall’estate del 2022 –, Prigožin ha pubblicato un video in cui celebra la Wagner come “l’esercito probabilmente con più esperienza al mondo”.

Prigožin è noto per essere uno dei comandanti più spietati tra quelli che guidano l’invasione russa. Sembra aver implicitamente approvato un video che mostra l’uccisione a colpi di mazza di un disertore della Wagner, forse riconsegnato dagli ucraini in uno scambio di prigionieri. “Un cane che muore da cane”, avrebbe dichiarato.

Prigožin non ha risposto alle nostre richieste di commentare quest’articolo. Ma, dopo anni passati nell’ombra, si sta chiaramente godendo il suo posto sotto i riflettori, come uno dei più potenti – e discussi – componenti della corte di Putin.

Abbiamo incontrato varie persone che hanno conosciuto Prigožin nel corso degli anni, molte delle quali hanno chiesto di mantenere l’anonimato. Dalle loro parole emerge l’immagine di un uomo ambizioso e spietato, che nella sua ascesa si è mostrato deferente verso i potenti e tirannico con i sottoposti. Chi lo conosce è convinto che a motivarlo non sia solo il desiderio di potere o denaro, anche se è innegabile che negli anni ne abbia accumulati in abbondanza. È spinto, dicono, dal brivido della caccia, dalla convinzione di lottare contro delle élite corrotte per il bene della gente comune e dalla volontà di schiacciare i rivali. Negli anni si è fatto molti nemici. Ma è riuscito a mantenere il suo alleato più importante: l’uomo che chiama Papà.

Evgenij Prigožin è nato a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1961, nove anni dopo Putin. Il padre morì quando lui era giovane, mentre la madre lavorava in ospedale. Da ragazzo frequentò un’accademia sportiva, ma non riuscì a diventare un atleta professionista e, terminati gli studi, entrò a far parte di una banda di piccoli criminali. Una sera di marzo del 1980 lui e tre suoi amici uscirono da un bar di San Pietroburgo a mezzanotte circa e notarono una donna che camminava da sola in una strada buia. Uno dei suoi amici la distrasse chiedendole una sigaretta, e lui le piombò addosso stringendole il collo fino a farle perdere conoscenza. Le rubarono le scarpe e gli orecchini d’oro, poi si allontanarono, abbandonandola per strada.

Un tribunale stabilì che quella era stata una delle numerose rapine che Prigožin e i suoi complici avevano messo a segno a San Pietroburgo nell’arco di alcuni mesi. Fu condannato a tredici anni di prigione, e rilasciato nel 1990, proprio mentre l’Unione Sovietica esalava l’ultimo respiro.

A quei tempi San Pietroburgo stava vivendo una trasformazione epocale. Enormi ricchezze erano alla portata di chi fosse abbastanza furbo o violento da metterci le mani. Gli inizi di Prigožin furono modesti. Vendeva hot dog per strada, preparando la senape nell’appartamento di famiglia. “Guadagnavamo mille dollari al mese, che in rubli erano una montagna di banconote. Mia madre non riusciva nemmeno a contarle”, ha dichiarato Prigožin nel 2011 al sito russo Gorod 812, in una delle sue rarissime interviste.

I detenuti che riescono a completare i sei mesi al fronte ottengono la libertà e del denaro

Amicizie importanti

Ma le sue ambizioni andavano oltre, e lui sapeva come ottenere i contatti di cui aveva bisogno. “Cercava sempre di fare amicizia con persone più importanti di lui, e ci riusciva”, conferma un imprenditore che l’ha conosciuto negli anni novanta. Nel giro di poco Prigožin arrivò a possedere una quota in una catena di supermercati. Nel 1995 decise di aprire un ristorante insieme ad alcuni soci. Per farlo si affidò a Tony Gear, un direttore d’albergo britannico che aveva lavorato al Savoy di Londra e che in quel momento era impiegato in uno dei pochi hotel di lusso della città. Prigožin incaricò Gear di gestire prima un’enoteca e poi il suo nuovo ristorante, Staraja tamožnja (La vecchia dogana). All’inizio il ristorante ingaggiava delle spogliarelliste per attirare clienti, ma ben presto si diffuse la notizia che il cibo era eccellente, e le ragazze furono licenziate. Il locale attirava cantanti famosi e grandi imprenditori, anche il sindaco di San Pietroburgo Anatolij Sobčak, che si presentava con il suo vice Vladimir Putin.

Nel 2000 Putin diventò presidente. Nei primi anni del suo mandato aveva l’abitudine di incontrare i leader stranieri nella città dov’era nato, e spesso li portava a cena da Prigožin. Nelle foto di quegli incontri, Prigožin appare spesso sullo sfondo, discreto e serio: per esempio, dietro il tavolo in occasione di una cena con il presidente statunitense George W. Bush, o alle spalle del principe britannico Carlo a un ricevimento al museo dell’Hermitage. In quel periodo si creò con il presidente russo un rapporto che nel corso degli anni è diventato più forte e si è metastatizzato in modi inaspettati.

Presto l’imprenditore cominciò a ottenere incarichi per la ristorazione in occasione di grandi eventi governativi attraverso la Concord, una holding che aveva fondato negli anni novanta. Il passo successivo furono le forniture per il governo. Nel 2012 Prigožin ottenne contratti per più di 10,5 miliardi di rubli (230 milioni di euro) per occuparsi delle mense scolastiche di Mosca.

Una prima base

Con l’annessione della Crimea a marzo del 2014 e l’intervento militare in Ucraina orientale, per Prigožin si sono aperte nuove opportunità. All’epoca Putin negava che nelle ostilità fossero coinvolti soldati russi, nonostante le numerose prove del contrario. Il Cremlino cercava un modo per rendere le smentite un po’ più plausibili. Le compagnie militari private erano illegali in Russia, ma rapidamente sono comparse delle milizie che sembravano coordinarsi con il ministero della difesa, pur mantenendo le distanze. La Wagner sarebbe presto diventata la più importante. “Penso che Prigožin abbia presentato il piano a Putin e che il presidente lo abbia approvato. È cosi che funziona”, spiega un ex dirigente del ministero della difesa, sconfessando la tesi secondo cui la Wag­ner sarebbe stata fin dall’inizio un progetto dell’intelligence militare russa (Gru). “Forse qualcuno del Gru ha fatto da consulente, ma l’iniziativa è stata di Prigožin”.

Secondo la fonte, il ministero ha concesso a Prigožin alcuni terreni a Molkino, nel sud della Russia, dove alcune imprese dell’imprenditore hanno costruito una struttura logistica mascherata da centro estivo per bambini. Nel 2019 l’agenzia Reuters ha rivelato i legami tra Prigožin e la base di Molkino.

In uno scambio di email del 2014 tra la Concord e il ministero della difesa, un rappresentante legale dell’azienda parla della possibilità di rifornire di viveri e altri prodotti la vasta rete di basi militari russe. Alla fine il progetto non si è concretizzato, ma secondo un’inchiesta di Forbes Russia nel 2015 le società di Prigožin hanno comunque ottenuto appalti del valore di più di 92 miliardi di rubli (1,2 miliardi di euro) per la ristorazione nelle strutture militari.

La rapida ascesa di Prigožin ha cominciato a infastidire alcuni funzionari della difesa e le tensioni si sono aggravate nel corso degli anni, man mano che le sue attività si espandevano. Un momento chiave è stato la fine del 2015, quando Putin ha deciso di intervenire militarmente in Siria per sostenere il regime di Bashar al Assad. Prigožin, oltre a ottenere appalti per la fornitura di viveri e altre provviste, ha anche mandato al fronte i paramilitari della Wagner.

In Siria la compagnia ha dimostrato di essere terribilmente efficace sul campo di battaglia, dove ha ricoperto un ruolo di primo piano (non riconosciuto) nell’intervento russo. In quell’occasione i paramilitari hanno agito impunemente e sono stati accusati di numerosi crimini di guerra. In un caso, alcuni miliziani della Wag­ner sono stati filmati mentre decapitavano e mutilavano un prigioniero siriano. Allo stesso tempo il gruppo armato subiva pesanti perdite, che però passavano sotto silenzio.

Prigožin è stato accusato di guidare anche un esercito di guerrieri informatici, inizialmente incaricati di sostenere le posizioni del Cremlino sui siti russi e poi di favorire gli interessi di Mosca all’estero. Nell’incriminazione emessa dopo le indagini del procuratore speciale statunitense Robert Mueller sull’ingerenza della Russia nelle presidenziali americane del 2016, si legge che Prigožin e alcune società a lui legate avrebbero creato una rete di profili falsi di sostenitori di Donald Trump su Twitter e Facebook, apparentemente all’interno di una complessa manovra russa per avvantaggiare il candidato repubblicano. Le accuse sono poi state ritirate ma, a novembre del 2022, Prigožin stesso ha pubblicato quella che sembra un’ammissione, accompagnata da una metafora dai toni macabri: “Signori, abbiamo interferito, interferiamo e interferiremo in futuro. Con attenzione e precisione, chirurgicamente e a modo nostro, come sappiamo fare. Con operazioni esatte, rimuoviamo reni e fegato in un colpo solo”.

Con l’ampliarsi del raggio d’azione di Prigožin, le attenzioni nei suoi confronti sono inevitabilmente aumentate. L’oppositore e attivista anticorruzione russo Aleksej Navalnyj ha pubblicato un’inchiesta sugli affari di Prigožin, accusandolo di aver ottenuto in modo illecito gli appalti del ministero della difesa per finanziare il suo stile di vita lussuoso. “I figli di Prigožin pubblicavano continuamente foto su Instagram, vantandosi del loro jet privato. Da quelle foto siamo risaliti alla sua holding e abbiamo potuto fare chiarezza sul suo enorme patrimonio”, spiega Ljubov Sobol, una collaboratrice di Navalnyj che ha curato l’inchiesta. Sobol e la sua squadra hanno usato un drone per sorvolare le abitazioni sontuose che appartenevano a Prigožin e alla figlia, con campi da basket e piste d’atterraggio per elicotteri.

Poco tempo dopo la pubblicazione dell’inchiesta, il marito di Sobol ha avuto un malore, causato dall’aggressione di un uomo appostato fuori dalla loro casa che gli ha conficcato una siringa nella gamba. La stessa Sobol è stata al centro di un’intensa campagna d’intimidazioni e pressioni legali. Ogni volta che usciva di casa era pedinata.

L’agguato

Anche i giornalisti russi che si sono occupati delle attività di Prigožin hanno subìto minacce. Nel 2018, dopo che il giornale Novaja Gazeta aveva pubblicato un’inchiesta su Prigožin, in redazione è stata consegnata la testa mozzata di una capra, mentre il giornalista che aveva firmato l’articolo ha ricevuto una corona funebre a casa. L’episodio più grave è avvenuto nel 2018, quando tre reporter russi che si trovavano nella Repubblica Centrafricana per indagare sulle attività della Wagner sono stati uccisi in un’imboscata. L’agguato aveva tutta l’aria di essere stato ben coordinato e organizzato, con la partecipazione di un addestratore russo legato alla Wagner. Prigožin ha negato ripetutamente qualsiasi coinvolgimento nella vicenda.

In quel periodo agiva ormai in almeno dieci paesi dell’Africa, dove offriva protezione e addestramento militare in cambio di appalti minerari e altre opportunità di guadagno. Prigožin gestiva questa rete globale dal suo ufficio situato sull’isola Vasilevskij, a San Pietroburgo, non lontano dal suo ristorante.

“Era un capo che incuteva timore”, ricorda Marat Gabidullin, un ex comandante del gruppo Wagner che per tre mesi, alla fine del 2017, ha lavorato nel quartier generale dell’organizzazione fornendo a Prigožin aggiornamenti quotidiani sulla situazione militare in Siria. Gabidullin, che oggi vive in Francia, racconta che Prigožin a volte si mostrava premuroso nei confronti dei suoi comandanti militari, soprattutto se erano feriti, ma era spesso sprezzante con chi svolgeva lavori d’ufficio.

Anche se non aveva un incarico ufficiale, in quegli anni Prigožin era una presenza fissa agli incontri di alto livello per discutere dei contratti per la difesa. Nell’aprile 2018 ha perfino partecipato a un incontro bilaterale tra Putin e l’allora presidente del Madagascar Hery Rajaonarimampianina, un evento che non era stato pubblicizzato ma di cui è venuto a conoscenza il New York Times. Secondo il quotidiano statunitense, poco tempo dopo l’incontro alcuni consulenti politici vicini a Prigožin sono andati nel paese africano.

Ancora due mesi dopo quell’incontro Putin continuava a respingere le ipotesi che Prigožin fosse coinvolto in manovre segrete all’estero per conto del Cremlino.

In alto a sinistra: Evgenij Prigožin serve una portata al presidente russo Vladimir Putin a Mosca, 11 novembre 2011. A destra: Prigožin in mezzo ai suoi combattenti in Ucraina, 2023. In basso: Prigožin parla ai detenuti di un carcere in Russia per reclutarli. (Misha Japaridze (Ap/Lapresse), Twitter, Dr)

Promesse pericolose

Nel febbraio 2022 la fatale decisione presa da Putin di lanciare un attacco su vasta scala contro l’Ucraina ha eliminato la necessità di una smentita plausibile. Dopo aver continuato a ripetere per anni di non avere legami con la Wagner, a settembre Prigožin ha ammesso con orgoglio di aver fondato il gruppo paramilitare nel 2014. “In ogni ambito dovrebbe esserci la possibilità di scherzare un po’”, ha detto per giustificare il fatto che aveva denunciato praticamente ogni testata giornalistica che lo aveva collegato alla Wagner.

L’ammissione è arrivata dopo la pubblicazione di un video, a quanto pare diffuso dai suoi collaboratori, in cui si vede Prigožin in una prigione mentre cerca di convincere i detenuti ad andare a combattere in Ucraina. Dice ai carcerati che probabilmente moriranno al fronte, ma gli garantisce che, se sopravvivranno per sei mesi, saranno liberi e ricompensati generosamente.

“È uno di noi”, ha dichiarato in un’intervista un detenuto di una delle prigioni visitate da Prigožin. “Anche lui è stato in carcere. Penso che molti si siano arruolati perché si fidano di lui. Non si fidano delle autorità, ma hanno creduto a Prigožin”. Mychajlo Podoljak, consulente del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, di recente ha affermato che negli ultimi mesi la Wagner ha reclutato più di 38mila detenuti, di cui circa trentamila risulterebbero dispersi, morti, feriti o catturati. Podoljak ha accusato la Wagner di aver partecipato al “genocidio” russo in Ucraina. Molte reclute sono state spedite al fronte come carne da macello, anche perché Prigožin vuole dimostrare che i suoi uomini sono più bravi a conquistare territori rispetto ai soldati dell’esercito regolare.

“La Wagner era una banda di fratelli, ora è solo un gruppo di servi da combattimento”, si rammarica Gabidullin.

Prigožin ha elogiato spesso la “disciplina estremamente ferrea” della sua compagnia, che secondo un altro ex comandante contempla la possibilità di uccidere chi disobbedisce agli ordini.

Andrei Medvedev, un ex comandante della Wagner che racconta di aver combattuto vicino a Bakhmut tra luglio e ottobre, è a conoscenza di almeno dieci esecuzioni di questo tipo, e in alcuni casi vi ha assistito personalmente. “Gli ufficiali li portavano all’aperto e li facevano uccidere davanti a tutti. A volte era solo uno. Altre volte gli sparavano in coppia”, ha rivelato Medvedev al Guardian poco prima di scappare dalla Russia in Norvegia.

I detenuti che riescono a completare i sei mesi al fronte ottengono la libertà e un premio in denaro. Inoltre Prigožin ha chiesto alle principali università russe di finanziare delle borse di studio per loro, mentre di recente un dirigente russo ha proposto che per alcuni reduci siano riservati dei seggi in parlamento.

C’è qualcosa di altamente simbolico nella parabola di Prigožin, un uomo che quando aveva tra i venti e i trent’anni era chiuso in prigione e che oggi apre la strada al rilascio e alla riabilitazione di migliaia di detenuti, compresi quelli condannati per i crimini più violenti. Secondo il politologo Ivan Krastev le sue manovre fanno parte di un tentativo di “ridefinire la nazione russa” nella nuova atmosfera di guerra. “I detenuti sono accolti nella nuova nazione, mentre le élite cosmopolite e contrarie alla guerra, di cui fanno parte anche alcuni oligarchi, suscitano disprezzo”.

Nelle ultime settimane Prigožin ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui attacca i presunti traditori nascosti nella classe dirigente, che a suo dire trascorrono le vacanze all’estero e sognano la sconfitta della Russia. Poco tempo fa ha insinuato che anche all’interno del governo di Putin molte persone “vorrebbero inginocchiarsi davanti allo Zio Sam”.

Oggi Prigožin è diventato “il leader del putinismo anti-élite”, rimanendo leale al presidente e attaccando tutti quelli che lo circondano, spiega Krastev.

Molte persone che lo hanno conosciuto sottolineano che da anni Prigožin si ritiene un difensore dell’uomo della strada e un nemico delle élite. È una descrizione piuttosto incongrua, considerando le ricchezze enormi che ha accumulato per sé e la sua famiglia. “Si presenta come paladino delle masse, delle classi più povere. Questa è la sua collocazione”, sottolinea Gabidullin.

Impossibile fermarsi

Gli attacchi sfrontati di Prigožin portano molti a chiedersi: fino a dove arriverà la sua ambizione?

“Alcuni esponenti dell’Fsb (i servizi segreti) lo detestano e lo considerano come una minaccia per l’ordine costituzionale”, spiega una fonte interna all’élite politica russa. “Guida una grande organizzazione militare che non è controllata dallo stato. Dopo la guerra, queste persone pretenderanno una ricompensa, anche politica”.

Altri si chiedono se Prigožin non si sia spinto troppo in là. Le sue ripetute sfuriate contro il ministero della difesa, accusato di volergli “rubare” la vittoria a Soledar, sono sembrate a volte manifestazioni di debolezza, più che di forza. Dopotutto, sottolineano alcune fonti russe, la Wagner dipende dalla logistica e dalle informazioni che gli sono fornite dal ministero della difesa, e Prigožin non potrebbe più operare se perdesse il favore di Putin.

L’imprenditore che ha conosciuto Prigožin negli anni novanta oggi è certo di una cosa: il capo della Wagner non può più fermarsi. “Si rende conto che all’interno del sistema molti lo odiano. Quindi sa che, se dovesse smettere, per lui sarebbe la fine. Non ha scelta. Non può tornare indietro”. ◆as

Shaun Walker è il corrispondente del quotidiano britannico The Guardian dall’Europa centrale e orientale.

Pjotr Sauer è un giornalista del Guardian che scrive di Russia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati