“La guerra sta distruggendo ogni cosa”, s’infuria Jeannette Katungu. “E in tutto questo tocca sempre alle donne assicurare la sopravvivenza della famiglia”. Katungu, 51 anni, vive a Goma con il marito, la madre e otto figli. A gennaio questa città nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è stata conquistata dai ribelli del Movimento 23 marzo (M23) e dai soldati del vicino Ruanda, che da allora terrorizzano la popolazione.

Katungu, però, non si arrende e, come ogni giovedì, riceve amiche e vicine sul suo terrazzo. In soggiorno, sedute su panche di legno davanti a una finestra con le grate, le donne mettono dei soldi in una scatola di latta. Ogni somma versata viene annotata su un taccuino. Alcune indossano magliette con la scritta Action pour la promotion des initiatives pacifiques des femmes (azione per la promozione delle iniziative pacifiche delle donne). Una di queste iniziative è proprio la cooperativa di credito e risparmio gestita da Katungu. Si chiamano Associations villageoises d’épargne-crédit (Avec).

“Oggi in cassa abbiamo 344mila franchi congolesi”, si rallegra Katungu. Equivalgono a 106 euro: a prima vista non sembra una grande cifra, ma in un paese che ha alle spalle trent’anni di violenza lo è. I risparmi conservati nella scatola di latta servono a concedere prestiti alle socie della cooperativa. Chi prende i soldi li usa per comprare da mangiare o per pagare rette scolastiche e spese mediche. Per esempio quando una donna deve partorire e non vuole restare prigioniera per settimane del contabile dell’ospedale, in attesa che i parenti riescano a pagare il medico. Principalmente, però, le socie della cooperativa investono in piccoli progetti imprenditoriali, come il commercio di pomodori o di prodotti da forno, attività di sartoria o chioschi per la vendita di sardine, farina, olio di palma o sapone. Nessuno sa bene quante siano le Avec nella Rdc, forse qualche migliaio. Sono promosse dalla Banca mondiale e da organizzazioni umanitarie e religiose. I finanziatori forniscono alle donne il capitale iniziale e una consulenza per gestire il denaro. Katungu e le sue amiche, però, fanno tutto da sole. Nei periodi buoni riescono a raccogliere più di 400mila franchi congolesi a incontro. Ma questo non è un periodo buono: dopo i combattimenti degli ultimi mesi le banche di Goma hanno chiuso, il contante è praticamente sparito e le imprese finanziate con i prestiti vanno male.

Attualmente quindici delle trenta socie dell’Avec si sono indebitate. Dovrebbero rimborsare i prestiti entro tre mesi, con un tasso d’interesse del 10 per cento. “Ma ora concediamo sei mesi”, racconta Katungu. All’incontro di questa mattina una donna salda un debito di ottantamila franchi. Se non ci fosse riuscita, avrebbe dovuto vendersi i mobili. “Pignoriamo televisori, tavoli, sedie, pentole o altri oggetti che possiamo usare o rivendere”, spiega Katungu, che ha convinto le socie a prendere in prestito non più del 50 per cento del valore delle proprie quote.

Fondo di solidarietà

Ogni associazione stabilisce il valore delle quote di partecipazione e i tassi d’interesse. Nell’Avec di Katungu una quota costa duemila franchi: è il minimo che ogni socia deve versare a ogni incontro. Non si possono comprare più di cinque quote alla volta. In genere le Avec hanno la durata limitata di un anno e, quando arrivano al termine, il denaro in cassa è liquidato alle socie in ragione delle quote. Per ogni quota di partecipazione si versano cinquecento franchi in un fondo di solidarietà per aiutare le socie in difficoltà.

“Al momento”, si lamenta Katungu, “i soldi sono pochi e i bisogni tanti”. Durante la guerra alcuni alloggi sono stati dati alle fiamme. Ci sono le spese mediche da pagare per i familiari feriti. E poi c’è sempre qualcuno che muore, e i funerali costano cari. “A Goma ogni notte qualcuno viene ucciso”, racconta Katungu. Soldati sbandati dell’esercito governativo, miliziani e banditi svaligiano le case. La situazione di Katungu è particolarmente rischiosa, perché, da quando hanno chiuso le banche, tiene in casa i soldi dell’Avec. “Sono arrivati cinque banditi e hanno accoltellato la mia vicina”, racconta. Ma Katungu aveva nascosto talmente bene i trecentomila franchi dell’Avec che i ladri non li hanno trovati. In compenso, però, ha dovuto sacrificare tutti i suoi risparmi, pari a settecento euro. “Se non gli dai niente”, spiega, “ti ammazzano subito”.

Anche per questo Bob-David Nzoimbengene, della società di consulenza e revisione Deloitte a Kinshasa, la capitale della Rdc, è critico nei confronti delle Avec: “In questo modo si alimenta la criminalità”. E poi, i soci di queste cooperative sono spesso poco istruiti e facili da imbrogliare. Particolarmente grave, aggiunge, è il fatto che “non sia garantita la sicurezza dei depositi”. In effetti, può capitare che qualcuno sparisca con i soldi, lo ammette anche Katungu. Ma del resto, cosa dovrebbero fare? Le banche non fanno credito a donne che svolgono attività economiche informali. “È grazie alle Avec”, dice Katungu, “che riusciamo a fare investimenti”.

David Ajabu, della Chiesa battista di Goma, organizza cooperative di microcredito per gli sfollati arrivati in città in fuga dai combattimenti. “Le cooperative”, puntualizza, “funzionano perfino in guerra”, quando crolla il sistema bancario. Ogni settimana Ajabu fa venti chilometri in moto per raggiungere la scuola della chiesa, fuori Goma, dove le tante donne e i pochi uomini della cooperativa si riuniscono per versare le quote. Oggi c’è nervosismo: pare che l’esercito congolese stia per lanciare il contrattacco per la riconquista di Goma, e tutti sanno che con i combattimenti arrivano i saccheggi. “Nell’ultimo attacco ho perso quasi tutto”, racconta Denise Muichuzi, che con un prestito di duecentomila franchi aveva aperto un banco al mercato.

Oggi Muichuzi non ha neanche i diecimila franchi necessari per la quota di partecipazione nella sua Avec. Ma le socie chiudono un occhio, perché è successo a tutte di trovarsi in una situazione simile. “In caso di conflitti, i pastori mediano”, assicura Ajabu. Quando il denaro in cassa non basta, ci si scontra per stabilire a chi tocchi per primo un prestito. A volte ci si scontra anche in famiglia, quando i mariti vogliono togliere alle mogli i soldi della cooperativa. Ma le donne sanno difendersi. “Partecipano alle cooperative in segreto e mantengono la famiglia”, spiega Ajabu. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati