Una mattina d’autunno sono salito su un aereo in partenza da Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea, diretto a Buka, il capoluogo della regione autonoma di Bougainville. Una distesa di isole e atolli grande quanto Puerto Rico, Bougainville si trova un migliaio di chilometri a est di Port Moresby, dall’altra parte del mare delle Salomone. La sua costa meridionale dista solo cinque chilometri dall’arcipelago indipendente delle isole Salomone, di cui gli abitanti di Bougainville condividono la cultura, la lingua e il colore della pelle.
Ma per colpa dei confini tracciati dai colonizzatori europei, Bougainville è oggi la provincia più remota della Papua Nuova Guinea. I papuani, che hanno la pelle più chiara, sono chiamati “pellerossa” dagli abitanti di Bougainville, a testimonianza del loro senso di estraneità rispetto al resto del paese. Cosa che in parte spiega perché volevo scrivere di loro.
Dico “in parte” perché se Bougainville non avesse combattuto – e sorprendentemente vinto – un’aspra e lunga guerra contro la Papua Nuova Guinea, sostenuta dall’Australia, e non chiedesse il riconoscimento dell’indipendenza entro il 2027, la storia che sto per raccontare non sarebbe mai accaduta.
Affascinato
Nell’ottobre 2023 avevo prenotato il viaggio a Buka per scrivere di questi sviluppi, tenendomi libero qualche giorno alla fine del soggiorno per intervistare i leader del governo autonomo di Bougainville (Abg), l’autorità incaricata dell’autogoverno del territorio. Nei mesi precedenti, però, ero rimasto affascinato dalla strana storia di Noah Musingku, un artista della truffa locale, che aveva fatto fortuna, l’aveva persa e poi si era ritirato in un comprensorio militare nella giungla, dove si era proclamato re.
Indossava spesso una corona decorata con conchiglie di ciprea che, a scanso di equivoci, formavano la parola “re”. Uno studioso ha definito Musingku il “Bernie Madoff di Bougainville” liquidandolo come “irrilevante”, mentre per un diplomatico straniero di stanza in Papua Nuova Guinea era “un buffone del cazzo”.
A Bougainville la pensavano diversamente. A partire dalla fine degli anni novanta, con la sua truffa – uno schema Ponzi intriso di millenarismo chiamato U-Vistract – Musingku aveva raccolto almeno 232 milioni di dollari e, da quel che avevo capito, ne riceveva ancora. Nel 2006 era sopravvissuto a un tentato omicidio, quando una milizia schierata con l’Abg aveva dato l’assalto al suo nascondiglio. Un uomo mi ha raccontato che l’U-Vistract era “come una mafia”; la polizia ha perfino accusato Musingku di tramare per rovesciare il governo autonomo. Secondo un ministro dell’Abg, Musingku era il pretesto che la Papua Nuova Guinea poteva usare per negare l’indipendenza a Bougainville.
Dal 2012 nessun giornalista straniero aveva messo piede nel regno di Papaala, il nome che Musingku aveva dato al suo comprensorio nel villaggio di Tonu. Nessuno sapeva bene cosa aveva fatto negli anni successivi, ma di certo nulla di buono. Tutto questo per dire che volevo incontrare il re. Ma, dopo mesi di ricerche, la pista migliore che avevo trovato era un oscuro canale su YouTube che pubblicava video tremolanti di eventi legati al programma U-Vistract. Il canale era gestito da un uomo, Nawera Karrenna, che aveva detto di potermi far conoscere Musingku, anche se, rileggendo i suoi messaggi al bar del mio albergo a Port Moresby, mi ero accorto che non aveva fatto altro che rispondermi di sì e schivare le mie richieste sempre più disperate ed elaborate.
Avevo cominciato a sospettare che l’intera faccenda fosse una fregatura.
Fuoristrada ed heavy metal
Sono atterrato a Buka nel primo pomeriggio e ho cominciato immediatamente a sudare per il caldo: sembrava che mi avessero buttato un secchio d’acqua addosso. Con mio grande sollievo, fuori del terminal di lamiera arrugginita dell’aeroporto ho avvistato il messo reale. Karrenna indossava un cappello da pescatore, una polo, bermuda e infradito. Ci siamo stretti la mano. Mi ha raccontato che qualche tempo prima aveva passato diverse settimane a Manchester, in Inghilterra, per fare dei provini per squadre professionistiche di calcio. Ma non aveva l’aspetto di uno sportivo.
Visto lo scarso numero di giornalisti che visitano Papaala, non poteva neanche definirsi un addetto stampa, ho commentato con leggerezza. Lui ha risposto con una scrollata di spalle. “Sua maestà è un uomo impegnato”, ha detto, usando il titolo che avrei sentito ripetere spesso nei giorni successivi.
Abbiamo preso un taxi per arrivare in città, dove abbiamo cambiato un po’ di soldi in un emporio gestito da cinesi. Pagando l’equivalente di 50 centesimi di dollaro, siamo saliti a bordo di una delle decine di barchette a motore dai colori sgargianti che sfrecciano per lo stretto passaggio di Buka, che divide l’isola omonima da quella di Bougainville. Ci sarebbe voluto qualche altro giorno, mi ha avvisato Karrenna, per incontrare il re.
Siamo scesi a Kokopau, una cittadina dove stazionano i furgoni e i veicoli 4x4 diretti nell’entroterra e dove si va per ascoltare musica dal vivo. L’eredità più importante lasciata a Bougainville dall’Australia (la colonizzazione australiana della Papua Nuova Guinea è durata una settantina d’anni, fino al 1975) è Panguna, un’enorme miniera a cielo aperto di rame e oro, oggi inattiva, tuttora una delle più grandi del pianeta e una delle cause per cui scoppiò l’insurrezione.
La seconda eredità è la passione per l’heavy metal. La metà della gente che ho incontrato indossava jeans tagliati e magliette di gruppi come gli Slayer, i Megadeth, i Pantera, gli AC/DC, i Metallica, i Judas Priest, i Van Halen e i Black Sabbath. Sarebbe difficile distinguere gli abitanti di Bougainville da un raduno di roadie del midwest degli Stati Uniti se non fosse per i nomi delle band, che ricordano i giorni più bui della storia locale: Crisis survivors, Trouble zone, Dooms vein, Mortal revenge. Quasi tutti quelli che sono saliti sul nostro taxi – una scassata Land Cruiser – erano metallari. Ma Karrenna no: per lui è “musica da bianchi”.
Siamo partiti da Kokopau prendendo una strada costiera delimitata da palme. Erano circa le due del pomeriggio ed entro sera avremmo raggiunto Arawa, l’ex capoluogo di Bougainville, una città costruita dagli australiani per chi lavorava nella miniera di Panguna. Non a caso, la città è all’ingresso di un’ampia “zona invalicabile” creata nel 1998, verso la fine del conflitto, dal grande eroe di guerra di Bougainville, Francis Ona.
Tonu e il suo sfuggente leader, Noah Musingku, si trovavano al centro di questa zona. Con un po’ di fortuna, in un paio di giorni avrei stretto la mano al re. Se in quel momento ci credevo davvero – e penso di sì – ero solo un illuso, come la maggior parte degli stranieri che sono passati da Bougainville.
Lo storico statunitense Samuel Eliot Morison una volta osservò che Bougainville offre “panorami più selvaggi e maestosi” di qualsiasi altro posto nel Pacifico meridionale. Nelle isole si possono trovare montagne, vulcani, barriere coralline, cascate, una costa scintillante e incontaminata, il tutto ammantato da una fitta copertura di palme. Prima del rame e dell’oro, la principale esportazione di Bougainville era la copra, la polpa bianca essiccata delle noci di cocco.
Anche grazie alla ricchezza naturale, Bougainville e le isole vicine hanno attirato una lunga serie di mascalzoni, colonizzatori e pazzi dalla pelle chiara. L’esploratore francese Louis-Antoine de Bougainville diede il nome all’isola dopo un viaggio alla fine del settecento, e chiamò Buka come una parola che sentì gridare dalla riva (l’opinione prevalente è che quella parola significasse “chi”).
Nel 1961 il geologo dell’amministrazione territoriale australiana Jack Errol Thompson visitò un sito al centro di Bougainville, vicino alla montagna sacra di Panguna, e trovò tracce di un vasto deposito di rame, oro e argento. Nel 1972 la Bougainville copper, azienda controllata dalla Conzinc Riotinto of Australia, scavò una delle più grandi voragini artificiali della Terra.
La miniera di Panguna diventò presto una delle più redditizie del mondo, con una produzione pari a quasi la metà delle esportazioni papuane. La Conzinc Riotinto la collegò alla città di Arawa con una strada vertiginosa lunga venticinque chilometri e riempì il centro abitato di palazzine bianche a due piani, abitazioni che la popolazione locale non aveva mai visto. Gli operai australiani arrivarono in massa con le famiglie, portando con sé birre, sformati di carne e musica. Arawa diventò l’improbabile epicentro di un boom economico.
Come Černobyl
Quei giorni sono passati. Oggi chi arriva ad Arawa è accolto da un grande intreccio di condotte arrugginite che scendono sottoterra o si rizzano come enormi boa meccanici intorno alla città. Le ciminiere e le centrali elettriche sono avvolte da felci e piante rampicanti. Mi ha ricordato Černobyl. Sua maestà “aiuta tante persone”, mi ha detto il nostro autista mentre ci avvicinavamo alla città. Gli abitanti di Bougainville soffrono per il carovita, e l’Abg “non ha abbastanza soldi neanche per le strade”. Proprio in quel momento, la Land Cruiser ha fatto un salto sull’asfalto rovinato. L’autista ha sorriso, compiaciuto del tempismo.
Bougainville, ha detto, “è un posto che sta andando nella direzione sbagliata”. Siamo entrati ad Arawa al crepuscolo, mentre il disco arancione del sole scompariva dietro il crinale di una montagna.
Il modello giusto
Il giorno dopo Karrenna mi ha accompagnato in giro per la città, indicandomi le strade dove sono state combattute le principali battaglie della guerra civile. Karrenna ha 35 anni, quindi ha solo ricordi vaghi della “crisi”, come la chiamano da queste parti. Ma per immaginare le privazioni che sono seguite, soprattutto dopo la chiusura di Panguna, non serve un grande sforzo di fantasia.
Siamo passati davanti a una fila di appartamenti che un tempo ospitavano i dipendenti stranieri della miniera e ora sono stati sventrati e occupati. Accanto c’era un piccolo globo eretto come monumento per la pace, ma che ormai era stato spogliato fino a rivelare lo scheletro di metallo. Karrenna mi ha indicato le case di chi aveva investito nell’U-Vistract. “Questo qui ha investito, quelli hanno investito, quest’altro pure”, e così via. Quelle persone stanno ancora aspettando di essere pagate.
La povertà è colpa dell’Abg, mi ha detto, mentre lanciavamo sassi nell’oceano Pacifico. “I soldi sono solo un credo. Se sua maestà mantiene le promesse tutti correranno da lui”.
“Quando lo farà?”, gli ho chiesto. Karrenna ha ignorato la mia domanda.
Il giorno dopo il caldo era insopportabile. Siamo tornati a piedi alla mia pensione e ho fatto le valigie. La Land Cruiser è partita a mezzogiorno, diretta verso le montagne e la zona invalicabile, per lasciarci a Tonu.
Sua maestà è nato nel 1964, lontano da Arawa, in un villaggio nel sud di Bougainville. Dice di essere l’ultimo di otto figli; anzi, sostiene di essere “l’ultimo nato dell’ultimo nato dell’ultimo nato” di una stirpe lunga almeno quattordici generazioni. Ma non si sa se è vero. Di certo da bambino è entrato nel movimento pentecostale, una fede fondamentalista che dà importanza all’arricchimento personale e alla liberazione dalle prove quotidiane della vita. Da studente Musingku era “un tipo misterioso”, mi ha detto James Tanis, suo ex compagno di scuola e successivamente presidente dell’Abg. Raccontava sempre storie di riscatto su “un mendicante diventato milionario”.
Musingku dice che suo padre gli aveva dato l’idea di fondare un sistema bancario alternativo “con tassi d’interesse altissimi”. Sostiene di aver viaggiato per tutta la Papua Nuova Guinea, in Australia e negli Stati Uniti alla ricerca del modello aziendale giusto.
Durante queste peregrinazioni gli è apparso dio. “Tu sei la risposta”, gli avrebbe detto. “Tu sei la soluzione”.
E così è tornato a Port Moresby.
Gli anni della guerra
In quegli anni Bougainville era lacerata dai conflitti. Nel 1975, mentre la Papua Nuova Guinea si preparava all’indipendenza dall’Australia, Bougainville si autoproclamò Repubblica delle Salomone settentrionali, ma l’anno dopo si accontentò di una maggiore autonomia e rinunciò al nome.
Nel frattempo Francis Ona, che all’epoca aveva 23 anni, aveva cominciato a lavorare come perito per l’azienda che gestiva la miniera di Panguna e poi era passato a guidare i camion.
Negli anni Panguna aveva inghiottito Guava, il villaggio natale di Ona, e per questo lui non si fidava dell’azienda. Si fece assegnare il turno di notte come addetto alle pulizie per accedere agli archivi, dove fotocopiò alcuni documenti che dimostravano come l’azienda avesse giocato al ribasso con i proprietari delle terre. Ona cominciò a spargere la voce, denunciando i danni ecologici causati dalla miniera. Nel 1988 l’azienda commissionò un’indagine ambientale, ma Ona, malizioso e incline ai gesti politici plateali, se ne andò sbattendo la porta e denunciando una farsa. Chiese dieci miliardi di kina (circa 2,6 miliardi di dollari) di danni, la restituzione delle terre e di essere consultato su tutti i progetti futuri nella regione. “La terra è il nostro sostentamento, e non possiamo separarcene”, scrisse. “Stiamo combattendo per salvare la nostra terra dallo sfruttamento straniero”.
Poco dopo alcuni abitanti del posto usarono della dinamite rubata per far saltare i tralicci nel pozzo della miniera. Un gruppo di combattenti creò l’Esercito rivoluzionario di Bougainville (Bra), con Ona come comandante.
La Papua Nuova Guinea inviò la polizia sul posto, ufficialmente su richiesta dell’azienda mineraria, ma i sabotaggi continuarono. Port Moresby schierò l’esercito, che diede fuoco alle case e sparò sui civili da elicotteri di fabbricazione australiana riconvertiti in velivoli da guerra.
Nel 1989 Panguna chiuse e gli australiani abbandonarono Arawa. “Siamo l’‘agnello sacrificale’ di pochi capitalisti con una fame di ricchezza insaziabile e incessante”, si leggeva in un comunicato di Ona del novembre 1989. La “crisi” era cominciata.
Nel 1990 la Papua Nuova Guinea bloccò l’ingresso alle isole con delle cannoniere. Migliaia di persone morirono per la mancanza di medicine, mentre le truppe di occupazione rinchiudevano gli abitanti in “centri di cura” dove, secondo le associazioni per i diritti umani, avvenivano violenze e sparizioni. Le riserve di carburante erano scarse. I ribelli che avevano lavorato a Panguna – come minatori, tornitori, montatori, forgiatori, falegnami, idraulici, imbianchini, fonditori, vetrai – recuperarono tra i rifiuti tubi e parti di veicoli, e li riconvertirono in più di cinquanta generatori idroelettrici. Con i rottami della miniera costruirono delle armi.
Ma l’aspetto più straordinario della resistenza fu l’uso di quella che un tempo era la coltivazione principale di Bougainville: la noce di cocco. Gli isolani ne mangiavano la polpa, ne bevevano il latte e usavano le foglie per bendarsi le ferite. La usavano per costruire cesti e abitazioni, bruciavano i gusci per allontanare le zanzare e costruivano strumenti musicali. Cuocevano la polpa e con l’olio pulivano i fucili, la bollivano per farci il sapone, e dopo averla fatta fermentare e cuocere, distillavano un carburante che durava il doppio della normale nafta. “Sotto certi aspetti la guerra è stata un bene”, disse Ona al fotoreporter Ben Bohane. “Siamo tornati alle nostre vecchie usanze. Niente più sformati di carne e birra… I soldi non ci servono”.
Nel 1997 il primo ministro papuano Julius Chan incaricò in segreto un gruppo di mercenari di prendere d’assalto Bougainville in un tentativo disperato di vincere la guerra. Ma la notizia trapelò. I papuani insorsero e l’esercito catturò i mercenari, costringendo Chan alle dimissioni. Otto precedenti iniziative di pace erano fallite, ma la nona riuscì. Fu organizzata in un accampamento militare vicino a Christchurch, in Nuova Zelanda, dove si tenne anche una tarout (“sessione di vomito”, una pratica tradizionale in cui ognuno può dire tutto ciò che vuole), che oggi possiamo interpretare come una forma estrema e radicale di sincerità.
I colloqui prepararono il terreno alla firma dell’accordo di pace di Bougainville del 2001, in cui la Papua Nuova Guinea s’impegnava a deporre le armi, a consentire la formazione di un governo autonomo (l’Abg) e, dopo quindici anni, a concedere un referendum per l’indipendenza.
Nel frattempo, però, quasi un decimo della popolazione di Bougainville era stata uccisa. Ona si rifiutò di partecipare ai negoziati di pace. “Lui l’indipendenza l’aveva già dichiarata”, osservò Shane McLeod, un giornalista australiano che si è occupato a lungo di Ona. “Non aveva bisogno di salire sulla giostra di un processo di pace da quattro soldi”.
Le legge divina
Ona e altri vecchi combattenti si asserragliarono nella zona invalicabile intorno a Panguna, ribattezzandosi Me’ekamui defence force (Forza difensiva di Me’ekamui, Mdf), da una parola locale che significa “isola santa”. Gli abitanti si riversarono nella nuova enclave.
Ma Ona aveva bisogno di soldi. Fortunatamente a Port Moresby aveva incontrato un uomo di Bougainville che stava per guadagnarne più di quanto potesse immaginare.
Anni prima Noah Musingku e suo fratello avevano architettato una truffa chiamata “associazione Pei mure”, basata su un’assurda storia picaresca che sembrava uscita dal diario di viaggio dei primi europei sbarcati a Bougainville. La Pei mure – “la legge di re Pei” – sarebbe stata creata in un antico regno edenico chiamato Papaala, da cui sosteneva che venissero i primi abitanti dell’isola. Nel 1922 un conclave di capi aveva ripristinato la legge affiancandola al progetto di creare un nuovo sistema bancario.
Nel 1997 la crisi finanziaria che scosse l’Asia destabilizzò anche l’economia papuana. In tutto il paese nacquero truffe con nomi come Bonanza, Windfall, Gold money e Money rain, che promettevano ritorni mirabolanti agli investitori.
Lo U-Vistract, che garantiva rendimenti mensili fino al 100 per cento, era diverso dagli altri. Musingku si presentava come un uomo di fede e predicava un vangelo della prosperità capace di fare presa su una popolazione impoverita dalla guerra. Catechizzava gli investitori per ore e pretendeva da loro fedeltà assoluta. Creò perfino un governo, cambiando i nomi dei mesi dell’anno e ribattezzandoli con quelli delle pietre preziose, prendendo spunto dai “culti del cargo”, una serie di credenze religiose che si erano diffuse tra le popolazioni del Pacifico ai tempi dell’incontro con gli occidentali.
Per finanziare l’U-Vistract Musingku corteggiò investitori stranieri, tra cui gli artefici di frodi simili all’estero. Circolavano notizie di spese folli per aerei privati ed eventi. Si diceva che fossero coinvolti anche importanti politici della Papua Nuova Guinea, delle Isole Salomone e delle Fiji.
Alcuni dei primi investitori nell’U-Vistract furono ripagati, ma la grande maggioranza non vide mai un centesimo.
L’aspetto più straordinario della resistenza fu l’uso di quella che un tempo era la coltivazione principale: la noce di cocco
Nel giro di un paio d’anni la Papua Nuova Guinea, l’Australia e la Banca mondiale si attivarono per congelare il patrimonio dell’U-Vistract, stimato in circa 250 milioni di dollari. Musingku rispose spostando il fondo nel suo finto regno di Papaala e incoronandosi re David Peii II. In una serie di lettere il gestore dell’U-Vistract attribuì la colpa delle difficoltà economiche della Papua Nuova Guinea all’ateismo dello stato, e nel 2001, durante un evento, un promotore disse a un gruppo di investitori infuriati che solo i cristiani rinati sarebbero stati ripagati, escludendo adulteri, giocatori d’azzardo e fumatori. I pagamenti sarebbero arrivati presto, assicurava, ma sarebbero stati disposti secondo “la volontà e i tempi di dio”.
Mentre le autorità liquidavano i conti dell’U-Vistract, Musingku si rifugiò nelle isole Salomone. Ma nel 2003, dietro pressioni legali, tornò a Bougainville, dove riallacciò i contatti con una vecchia conoscenza: Francis Ona.
Vita di corte
L’eroe di guerra era cambiato. Ora sosteneva di saper curare il cancro, l’aids e altre malattie. Andava ad Arawa e a Buka viaggiando sul cassone di un camion e dicendo di essere il re di Bougainville. Cosa ancora più infausta per i suoi seguaci, si era tagliato la barba alla Garibaldi che era stata il simbolo della sua lotta.
Ona aveva infranto “il patto che aveva firmato con dio e con il suo popolo”, come dice un ex soldato del suo gruppo armato. E così, in una bizzarra cerimonia d’incoronazione vicino a Guava, una mattina piovosa del maggio 2004, Musingku mise una corona di conchiglie sul capo di Ona e lo proclamò “re Francis Dominic Dateransy Domanaa, capo di stato del regno di Me’ekamui”. Perfino un ex comandante della milizia di Ona disse che era “una stronzata”. L’eroe rivoluzionario di Bougainville, nudo fino alla cintola, più che un monarca sembrava un vecchio stanco e vulnerabile in piedi sotto la pioggia, circondato da truffatori.
Me’ekamui e Papaala sarebbero stati “regni gemelli”, annunciò Musingku. Avrebbero aperto una nuova banca centrale di Me’ekamui. Spostò la sede dell’U-Vistract a Tonu, dove alcuni “aiutanti” non pagati gli portavano da mangiare, costruivano case e facevano lavori di giardinaggio.
L’operazione era una farsa, ma minacciava comunque la legittimità del governo autonomo di Bougainville. Nell’aprile 2005 Musingku incaricò cinque mercenari delle Fiji di fargli da guardia del corpo e disse che altri ottocento erano in arrivo.
“Dio ha progetti più grandi per Bougainville e per la regione”, scrisse, “e nessuno può cambiare questo dato di fatto o impedire che accada, quale che sia la sua educazione, la sua posizione, il suo potere o la sua autorità”. Dall’esterno della zona invalicabile, sembrava che Ona e Musingku si preparassero a prendere Bougainville con la forza.
Alla fine di luglio Ona morì. Aveva 52 anni. Alcuni sospettarono che fosse stato assassinato. Musingku dichiarò che Ona gli aveva da poco affidato il controllo di Me’ekamui e arruolò più di duecento persone nella sua forza di sicurezza, facendoli addestrare a Tonu dai figiani. Musingku si era calato nel ruolo del re folle, e passava intere giornate nel suo ufficio a scrivere al computer o a parlare al telefono satellitare.
I suoi sudditi erano sottoposti a un severo regime di digiuni, preghiere ed esercitazioni militari. Musingku si mostrava in pubblico solo accompagnato dalle guardie del corpo, facendo spazzare il terreno dai suoi aiutanti prima del suo passaggio. Digiunava per lunghi periodi, e quando mangiava permetteva solo ai familiari stretti di preparargli i pasti.
Nel maggio 2006 la polizia locale si scontrò con alcuni combattenti della forza di difesa di Me’ekamui e con due figiani di Musingku. I ribelli accoltellarono un poliziotto e diedero fuoco a tre commissariati, mentre le autorità catturarono due luogotenenti di Musingku che tentavano di fuggire.
“Questo è l’inizio di una serie di arresti con cui estirperemo l’U-Vistract da Bougainville”, dichiarò il leader dell’Abg, Joseph Kabui. Poi una notte di novembre, intorno alle quattro, uno dei figiani, un ex casco blu dell’Onu di nome Maloni Namoli, sentì abbaiare un cane a Kings square, la piazza centrale di Tonu. Alcuni istanti dopo, una colonna di ex combattenti della milizia rivoluzionaria e due agenti di polizia fecero irruzione nel villaggio e spararono alle guardie reali di Musingku. Nel raid gli assalitori uccisero quattro uomini e ne persero uno. Musingku provò a scappare, ma una raffica di M16 lo colpì alla mascella, imbrattando di sangue il pavimento.
Namoli racconta di aver preso il ferito e di averlo portato di corsa nella giungla. Aveva temuto il peggio, ma Musingku era sopravvissuto, e dopo essersi dato alla macchia per circa un mese tornò nella sua casba di bambù, sfoggiando la ferita come simbolo della sofferenza che il popolo aveva patito in guerra. I leader dell’Abg negarono di aver ordinato il raid ma avevano perso credibilità. Erano andati a uccidere il re e avevano fallito. Peggio ancora, avevano creato un martire, un uomo convinto che dio l’avesse incaricato di resuscitare l’U-Vistract e di condurre Bougainville all’indipendenza. Da allora Musingku non ha più lasciato Tonu.
Dopo il referendum
Nel 2019 Bougainville ha organizzato un referendum in cui quasi il 98 per cento dei partecipanti ha votato a favore dell’indipendenza. Dopo la consultazione, però, il governo papuano ha trascinato l’Abg in una battaglia legale, minacciando di non ratificare i risultati.
Lo stallo fa il gioco della “fazione U-Vistract”, come i politici chiamano il regno canaglia di Musingku, che nel 2009 ha coniato il kina di Bougainville, in concorrenza con il kina papuano, convinto che chi controlla la moneta controlla anche le isole.
L’eroe rivoluzionario di Bougainville, nudo fino alla cintola, più che un monarca sembrava un vecchio stanco e vulnerabile in piedi sotto la pioggia
Musingku deve anche ripagare i suoi investitori, ho osservato.
“Sua maestà farà il suo dovere”, è intervenuto Philip Mapah, storico ministro delle finanze dell’U-Vistract, alzando enfaticamente le sopracciglia, un tic locale.
Ho provato a fare un’altra domanda, ma mi ha interrotto.
“Sì”, ha ribadito. Le sopracciglia sono rimaste immobili. “Farà il suo dovere”.
Il cielo sopra Arawa si è oscurato mentre uscivamo dalla città e una mezz’ora dopo, quando siamo arrivati a un posto di blocco al confine con la zona invalicabile, pioveva a dirotto. Sotto un telone fissato sul lato della strada ho pagato alle guardie 300 kina (77 dollari) per un “visto” d’ingresso a Papaala, che sembrava una ricevuta della lavanderia. Ci siamo inerpicati sul costone della montagna e mentre la pioggia si diradava abbiamo cominciato la discesa verso Panguna su un sentiero di ghiaia.
È un posto spettrale. Grandi fabbriche e impianti di lavorazione affondano nella terra, spogli come le strutture per arrampicarsi che si trovano nei parchi giochi. La fossa si estende quasi fino all’orizzonte, con i suoi gradoni conficcati nella terra simili a piramidi a testa in giù.
Oltre la miniera la strada scompare e per quattro ore abbiamo arrancato su lingue di fango fradicio. Era già buio quando siamo arrivati in un minuscolo villaggio di cinquanta persone stipate in una decina di abitazioni dai tetti di paglia.
La mia udienza con sua maestà sarebbe stata il giorno dopo. Per la notte ci siamo sistemati in una pensione scalcinata gestita da Mapah, un uomo dai capelli grigi e gli occhi gialli, e dalla moglie, chiamata semplicemente Missus.
La mattina dopo mi sono alzato presto. Mapah è partito per Tonu con una cartellina sbrindellata sottobraccio. Karrenna mi ha detto che saremmo stati convocati a Papaala a momenti, ma che sua maestà aveva “le sue priorità”. Gli ho detto che speravo di essere tra queste, visto che avevo viaggiato per più di tre giorni per incontrarlo. Ha annuito in modo evasivo. È arrivato il pranzo.
Intorno alle quattro del pomeriggio, Karrenna è tornato e mi ha detto che avremmo dovuto consegnare un biglietto a Mapah, spiegando il motivo della mia visita a sua maestà. Ho fatto la faccia scocciata. “Senti”, ha borbottato, “c’è gente che ha aspettato vent’anni, non poche ore”.
Comunque, ha aggiunto, potevamo scendere al quartier generale del re e vedere se eravamo fortunati. Mi sono infilato una camicia, che al posto di blocco era già zuppa di sudore. Un cartello lì vicino annunciava la frontiera della “Città di Tonu; Papaala Meekamui; Regno gemello; protettorato dell’U-Vistract; zona di pace di Ophir” (Ophir è un altro modo in cui è chiamata Bougainville). Un uomo asciutto di una sessantina d’anni in mimetica scura, cappello a tesa larga e banda della Mdf al braccio, mi ha fatto cenno di entrare.
Erano le cinque e mezza, e il sole stava tramontando. Il re mi aspettava. Tuttavia Musingku avrebbe controllato le mie credenziali solo alle sei, dopo l’attivazione del collegamento internet. Gliele avevo mandate settimane fa, ho detto a Karrenna, perdendo la pazienza. Ma non hai capito il gioco? Poi gli ho chiesto, poco saggiamente, se avesse investito anche lui nell’U-Vistract.
“Non sono povero. Ho da mangiare”, ha ribattuto. Benissimo, ho risposto, ma non è bello andare a rubare a casa degli altri e poi dirgli che devono considerarsi fortunati se hanno da mangiare.
Namoli racconta di aver preso il re ferito e di averlo portato nella giungla. Aveva temuto il peggio, ma Musingku era sopravvissuto
A quel punto si è infuriato. “Quella parola non la puoi usare”, mi ha detto. “Ora faccio sapere a tutti cos’hai detto. Mi sa che hai solo perso tempo a venire qui. Il re è occupato. Non sei di buon auspicio, è un cattivo momento”.
La sua bocca si è contorta in un ghigno. Pensavo che stesse per colpirmi. Ho fatto un passo indietro; ho capito che agli occhi di Karrenna ero l’ennesimo scribacchino straniero doppiogiochista arrivato per sparlare di sua maestà, come lui aveva sempre sospettato. Sono stato salvato da un uomo barbuto con una cartellina: sua maestà era pronto, avrei avuto trenta minuti con lui.
Si era fatto buio, e gli insetti danzavano sotto la luce alogena di una piccola capanna nascosta dietro una recinzione metallica. Namoli mi ha accompagnato. Ho firmato il libro degli ospiti, mi sono tolto le scarpe e sono entrato nell’ufficio del re.
In persona
Negli ultimi mesi avevo passato tanto tempo a guardare video di Musingku, a leggere e a sentir parlare di lui, che quando finalmente sono entrato nella cittadella del regno di Papaala e ho stretto la mano all’uomo minuto e sorridente davanti a me, sono rimasto stupefatto, in silenzio. La stanza era grande quanto un monolocale. Le pareti erano decorate con foglie di cocco intrecciate, canne, ventagli e altri oggetti tradizionali.
Il portatile Acer di Musingku era al centro della scrivania, zeppa di strani ornamenti e ninnoli: vasi di fiori, flaconi di profumo, bottiglie di plastica piene di olio aromatico, biglietti da visita, mappe, altoparlanti, un mappamondo, vari smartphone e tablet, pile di scartoffie consunte e mazzette di banconote illegali di Bougainville blu, verdi e viola. Il trono era avvolto da un copridivano di raso viola. Alle sue spalle c’era uno striscione plastificato blu e verde con una scritta in carattere Comic Sans: “Sua maestà Re David Peii II Governo dell’Isola di Bougainville”. Sotto c’era la bandiera di Papaala, una versione stilizzata di quella di Bougainville, con anelli colorati, l’arcobaleno e le stelle, e un copricapo upe in stile clip art. Il re sorrideva mentre osservavo la stanza quasi incredulo.
Ed eccolo lì in persona. Era un po’ più in carne di come lo ricordavo nei video che avevo visto mille volte, con gli occhi sbarrati e inflessibili, in parte nascosti dalle file di conchiglie che pendevano come una frangetta da una corona di perline con la scritta “re” e che ticchettavano dolcemente quando parlava.
Per tutto il tempo ha sorriso euforico, agghindato in un soprabito rosso dell’esercito britannico del settecento, con il cordone d’oro e la fusciacca celeste.
Perché il soprabito rosso? “Ogni paese è governato da qualcuno”, mi ha risposto Musingku. “Parliamo di un regno. Un regno abbraccia tutti: tutte le religioni fanno parte del regno, che tu sia musulmano, cristiano o indù”. Molte risposte erano di questo tipo: verbose, con riferimenti alla storia e alla religione che sarebbe stato meglio sintetizzare con una scrollata di spalle. Come s’inseriva Papaala, gli ho chiesto, nel movimento per l’indipendenza di Bougainville?
“Tutti a Bougainville stanno combattendo per l’indipendenza; noi stiamo combattendo per questo da 48 anni”, ha detto. “Ma l’Abg può ottenere l’indipendenza. Me’ekamui, invece, significa sovranità. C’è una grande differenza tra indipendenza e sovranità. L’indipendenza ti viene concessa. La sovranità è una dichiarazione: la proclami e la fai funzionare. Come hanno fatto gli Stati Uniti, che sono diventati indipendenti con una dichiarazione. Il Regno Unito non l’ha concessa agli Stati Uniti, la sovranità è di fronte a dio onnipotente. L’indipendenza è di fronte all’Onu”.
I lunghi negoziati tra l’Abg e la Papua Nuova Guinea erano di fatto una trattativa sulle condizioni della servitù di Bougainville: non a caso Francis Ona li aveva rifiutati. Musingku ha definito il suo rapporto con Ona come “il collegamento tra software e hardware”: l’hardware della zona invalicabile di Ona e il software dei conti dell’U-Vistract.
Lo U-Vistract aveva 930mila clienti prima che la Papua Nuova Guinea ne ordinasse la chiusura. “Tutti hanno investito”, ha detto ridendo sotto i baffi. “Perfino il presidente dell’Abg ha investito”. Un suo portavoce ha smentito quell’affermazione. Le accuse rivolte all’U-Vistract di essere una truffa o una setta erano semplicemente un segno di ignoranza.
“È tutto pronto, basta solo che io tocchi il grilletto”, ha detto. “Quando partiremo, nulla ci fermerà”.
Namoli, che nel frattempo ci aveva raggiunto, ha annuito in segno di approvazione. Karrenna ha fissato il telefono a un cavalletto e ha ripreso la scena. “Il denaro è la risposta a tutto”, ha cinguettato. In tutto il viaggio non l’avevo mai visto così felice. Ho fatto cenno alle pile di banconote di Bougainville: qualcuno mi ha raccontato che Musingku sta rubando l’oro da Panguna, ho detto. “Non abbiamo bisogno di estrarlo”, ha risposto Karrenna. Bougainville stessa è la riserva. “Non abbiamo bisogno di disturbarla”.
“C’è una grande differenza tra indipendenza e sovranità. L’indipendenza ti viene concessa. La sovranità la proclami”
Ho chiesto a Musingku se aveva paura di un altro attacco come quello del 2006. Ha risposto di no. “Tutti vogliono solo essere pagati”, ha detto. “Quando saranno pagati, saranno uniti”. In ogni caso, ha aggiunto, “non rinuncerà” a rivendicare le isole, che secondo lui dovrebbero liberarsi dal controllo del “serpentesco sistema” globale. Musingku si esprime per luoghi comuni ed enigmi così palesemente assurdi che non hanno quasi significato. Immagino che faccia parte dell’inganno; mostrare magniloquenza per convincere tutti di essere saggio. Come un televangelista.
Frode di affinità, la chiamano gli esperti: fare appello alla comunanza della religione, dell’etnia o della cultura per spillare soldi a una quantità enorme di persone. Lo ha fatto Bernie Madoff. Lo fa anche Noah Musingku; e lo fa bene.
L’oro di Musingku
La mattina seguente siamo ripartiti per Arawa. Sulla Land Cruiser ero seduto accanto a un signore di mezz’età di nome Thomas, che mi ha detto che lavora per il re: elabora i fogli di calcolo degli investimenti nell’U-Vistract. È preoccupato perché Musingku non ha collegato il sistema ai circuiti Visa e Mastercard, e in questo modo gli abitanti di Bougainville non possono ritirare i fondi. Ha aggiunto, esasperato, che il re ha rubato dell’oro. “Francis Ona gli ha consegnato dell’oro in barili da duecento litri”, ha detto. “Circa quattro barili. Poi lui li ha portati di nascosto all’estero, in Australia… È un cazzo di milionario, Noah Musingku”.
Al checkpoint della zona invalicabile mi sono seduto a parlare con una guardia, un uomo calvo di sessant’anni con indosso un paio di occhiali da sole avvolgenti che si è presentato come Alex. Ha lavorato ai posti di blocco per anni, prima in una cava di pietra calcarea, poi per Ona, oggi per Musingku. Ha investito nell’U-Vistract “dall’inizio”, mi ha detto. “La maggior parte di quelli che lavorano qui sono investitori”. Ha otto figli. Musingku non gli dà un kina da anni. “Ma comunque voglio restare”, ha detto, “perché credo che alla fine ne usciremo. Se ce ne andiamo senza vedere quello per cui abbiamo combattuto…”. Non ha finito la frase. Si è schiarito la voce, esaminando il visto che avevo pagato un paio di giorni prima. “Non ho nessun dubbio”.
Il giorno dopo io e Karrenna ci siamo salutati e sono tornato a Buka.
Si riparte da zero
Nel frattempo il processo per l’indipendenza aveva subìto una battuta d’arresto. La Papua Nuova Guinea ha dichiarato non vincolante il referendum del 2019, scatenando l’ira dei dirigenti dell’Abg. Nel settembre 2024 si è deciso di far ripartire da zero i negoziati, ancora una volta con la mediazione della Nuova Zelanda. Mi aspettavo di trovare Buka in preda a un fervore nazionalista, ma c’era un’atmosfera soporifera, e quasi nessuno voleva parlare di politica.
Ishmael Toroama, uno degli ex comandanti militari di Francis Ona, è diventato presidente dell’Abg nel 2020 con la promessa di ottenere l’indipendenza e di sconfiggere la corruzione. Di recente ha cercato di riaprire Panguna. La Rio Tinto ha ceduto la miniera nel 2016, a quanto si dice affidandola a un allevatore di cavalli arabi, a un ex ministro australiano e a un investitore e scrittore statunitense.
Molti a Bougainville temono che riesumare Panguna possa riaprire le ferite della “crisi”. Un governo indipendente, però, avrebbe bisogno di almeno 250 milioni di dollari per funzionare, e solo la miniera può garantire una somma del genere.
Bougainville è diventata un’improbabile pedina nella lotta tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia nel Pacifico. Papaala e l’Abg “devono trovare un compromesso”, mi ha detto Aloysius Laukai, il direttore di una radio locale. Altrimenti Bougainville rischia di diventare “come Corea del Nord e del Sud”.
Anche James Tanis, l’ex presidente dell’Abg, teme che Musingku possa finire per diventare parte di una costellazione crescente di soggetti non statali “come gli huthi o Hamas… Non è pericoloso adesso, ma sono preoccupato per quello che potrebbe succedere, perché ha delle armi. E se decide di diventare una pedina dell’Iran? Parliamo di un uomo che vuole creare un sistema alternativo a quello occidentale. Sul piano della dottrina e dell’ideologia, è già su posizioni simili a quelle iraniane”.
La mia impressione è che l’Abg fosse davanti a un dilemma: se avesse provato di nuovo a uccidere Musingku, avrebbe dato alla Papua Nuova Guinea il pretesto per sostenere che Bougainville non è pronta per diventare uno stato. Se l’avesse lasciato in pace, lui sarebbe stato libero di architettare un’altra truffa o di fomentare un movimento secessionista violento. “Non vogliamo che si pensi che vogliamo stanarlo”, mi ha detto Ezekiel Massat, il procuratore generale dell’Abg, “non è questa la nostra intenzione. È uno di Bougainville. Diciamo però che il suo tempo sta per scadere. La truffa che gestisce morirà da sola. Tutti i suoi fratelli, le mogli dei fratelli e le persone che gli stanno intorno e lo venerano come un re pian piano lo faranno fuori”.
Tanis non ne era così convinto. Nessuno di sua conoscenza è “apertamente contro” Musingku, mi ha detto. “Musingku non ha puntato la pistola alla tempia a nessuno per portargli via i soldi. Sono loro che hanno investito nel suo programma, spinti dall’avidità”.
“Perché nessuno degli investitori truffati dall’U-Vistract ha provato a ucciderlo?”, ho chiesto. A Bougainville c’è gente che è morta per molto meno.
“Ucciderlo vuol dire chiudere la porta a ogni possibilità di essere pagati in futuro”, ha risposto Tanis. “Tenerlo in vita vuol dire mantenere la speranza”.
A distanza
Dopo essere andato via da Bougainville ho continuato le mie conversazioni a distanza con Musingku. Ci ha tenuto a farmi sapere che non si considerava un pericolo per l’Abg e per Bougainville, e che tutti dovevano lavorare insieme – che l’U-Vistract doveva essere il software e Papaala l’hardware, per così dire.
Nel gennaio 2024 una fonte interna all’U-Vistract mi aveva fatto leggere una lettera riservata di Musingku all’Abg dalla quale si evinceva che la truffa andava avanti. “Ho sentito che ci sono conti e fatture che l’Abg deve ancora pagare ai nostri amati cittadini, fornitori di servizi, imprese, istituzioni, scuole, ospedali…”, scriveva Musingku nella missiva, “conti di tanto tempo fa e del valore di parecchi milioni”.
Vi prego di compilare e inviare alla mia amministrazione della Corona una lista completa di nomi, aziende, natura del pagamento e importi dovuti. Il mio ufficio darà immediata istruzione al governatore della banca centrale di Bougainville di sbloccare i fondi necessari con priorità. Sappiate che anche se le banche in Papua Nuova Guinea hanno cessato di gestire gli assegni alla fine del dicembre 2023 su istruzione dell’Fmi, il provvedimento non riguarda in nessun modo le nostre banche sovrane. Resto in attesa di un vostro sollecito riscontro affinché, insieme, possiamo affrontare e risolvere al più presto le molteplici grida, preoccupazioni, sofferenze e lamentele del nostro popolo.
Sinceramente vostro,
Sua maestà Re David Peii Upeii 2° ◆ fas
Sean Williams è un giornalista britannico che vive in Nuova Zelanda. Scrive di guerre e diritti umani, ma anche di sport, cultura e tecnologia. Collabora con vari giornali internazionali.
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Questo articolo è uscito sul numero 1625 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati