Sheikh Hasina è una latitante condannata. Fino all’agosto del 2024 è stata la leader più potente nella storia del Bangladesh, che ha governato per quindici anni con il pugno di ferro. Il 17 novembre l’ex prima ministra, 78 anni, è stata condannata a morte in contumacia per la brutale repressione delle proteste guidate dagli studenti lo scorso anno. Più di 1.400 persone erano state uccise, molte delle quali con esecuzioni sommarie.
Hasina, scappata in India dopo essere stata destituita, nell’ultimo anno ha continuato a mostrarsi combattiva e per nulla pentita. Ha definito la sentenza del Tribunale internazionale per i crimini del Bangladesh (Ict) “motivata politicamente” e ha reagito riconoscendo la morte di centinaia di innocenti, ma rifiutandosi di assumersene la responsabilità.
“Ha trasformato il laicismo da ideale di libertà in retorica di controllo”
“Per milioni di bangladesi la condanna a morte di Hasina servirebbe a fare giustizia, anche se la probabile decisione dell’India di rifiutare l’estradizione dell’ex prima ministra significa che le famiglie in lutto, quelle in cui le violazioni commesse sotto il suo governo hanno causato dei morti, dovranno attendere ancora prima di poter chiudere la questione. Per il Bangladesh, tuttavia, la sentenza potrebbe essere un momento di svolta ancor più profonda, se ora scegliesse di farla finita con la violenza delle forze di sicurezza, dei tribunali e delle altre istituzioni statali usate per colpire oppositori e critici, tutti metodi perpetuati e incarnati da Hasina.
Oggi l’ex prima ministra denuncia una persecuzione politica, la stessa accusa rivolta ai 15 anni del suo governo. L’Ict era stato istituito da Hasina nel 2010 per trovare e processare i bangladesi accusati di aver collaborato con il Pakistan nelle atrocità commesse durante la guerra di liberazione del 1971. Ora quel tribunale ha condannato lei. Per anni le organizzazioni di difesa dei diritti umani le hanno imputato di usare il tribunale e le altre istituzioni statali, inclusi gli apparati di sicurezza, per punire i suoi oppositori. La sua principale rivale, Khaleda Zia, la prima donna a guidare il governo del Bangladesh, è finita in carcere con accuse di corruzione, mentre il più grande partito islamista del paese, il Jamaat-e-Islami, è stato escluso dalla possibilità di partecipare alle elezioni e poi messo al bando in base a una legge “antiterrorismo”. Zia è stata rilasciata solo dopo la nascita del governo ad interim guidato dal premio Nobel Muhammad Yunus in seguito alla destituzione di Hasina.
Lo stesso Yunus, fondatore della Grameen bank e ideatore del microcredito, che ha contribuito all’emancipazione di milioni di donne nelle zone rurali del paese, nel gennaio 2024 è stato condannato per violazione delle leggi sul lavoro, una sentenza che per molti era una vendetta politica. La condanna era a sei anni di carcere, ma ha ottenuto la libertà su cauzione. Era finito nel mirino di Hasina dopo aver ipotizzato, nel 2007, di creare un partito politico.
Hasina e il suo partito, la lega Awami, hanno a lungo esibito un’etichetta di laicità. Negli anni al potere, dal 2009 al 2024, però, sono stati accusati di aver usato il laicismo come un’arma per giustificare gli attacchi ai partiti islamisti e ai dissidenti. Un’intera generazione di leader del Jamaat è stata messa a morte dopo le condanne emesse dall’Ict. Sul Daily Star l’analista Arman Ahmed ha scritto che la lega Awami “ha trasformato il laicismo da ideale di libertà in retorica di controllo. È arrivato a essere associato alla censura, al clientelismo e all’indebolimento sistematico di qualsiasi opposizione politica. Quando il potere è diventato sinonimo di partito unico, l’autorità morale del suo progetto laico è crollata”.
Sviluppo senza democrazia
Il governo di Hasina ha commesso gravi violazioni dei diritti umani. Si calcola che tra il 2009 e il 2022 almeno 2.597 persone siano state uccise in via extragiudiziale dalle forze di sicurezza. Nel 2021 gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro l’unità antiterrorismo della polizia, il Rapid action battalion (Rab), accusata di essere coinvolta in centinaia di sparizioni forzate e omicidi extragiudiziali. Quando nel luglio 2024 sono esplose le proteste, invece di avviare un dialogo con le parti interessate Hasina ha schierato la polizia in tenuta antisommossa e ha ordinato alle forze di sicurezza di usare droni, elicotteri e armi letali contro i manifestanti. Ma la brutale repressione, che ha incluso l’arresto di migliaia di persone, ha galvanizzato un movimento di massa che ha portato alla sua caduta. Il futuro politico di Hasina in Bangladesh è finito, ma rimane la sua eredità. È vero che negli anni ottanta aveva guidato una lotta per riportare la democrazia alleandosi con la rivale Zia per costringere l’allora leader militare del paese, Hussain Muhammad Ershad, a cedere il potere. Il Partito nazionalista bangladese (Bnp) di Zia aveva vinto le elezioni nel 1991. Hasina aveva poi sconfitto Zia nel 1996, mentre la loro rivalità politica s’inaspriva.
Tornata al governo nel 2009, Hasina ha represso i gruppi ribelli armati garantendo stabilità. Ha anche guidato la rinascita economica. Sotto il suo governo milioni di persone sono uscite dalla povertà in un paese che l’ex segretario di stato statunitense Henry Kissinger aveva definito un “caso disperato”. Il reddito pro capite del Bangladesh ha superato quello dell’India e il suo pil, pari a 430 miliardi di dollari, è più alto di quello del Pakistan, il paese da cui si è separato 54 anni fa. Oggi il Bangladesh è il secondo esportatore mondiale di abbigliamento dopo la Cina.
◆ Dopo essere entrato in carica nell’agosto 2024 il governo ad interim guidato da Muhammad Yunus ha creato sei commissioni per formulare delle proposte di riforma della costituzione, del sistema elettorale e di quello giudiziario, della pubblica amministrazione, della polizia e dell’ente anticorruzione. All’inizio del 2025 le commissioni hanno presentato i loro rapporti e i capi di ciascuna sono confluiti in un’altra commissione incaricata di trovare un consenso tra i partiti politici sulle proposte. Il 17 ottobre Yunus e i delegati di 25 partiti hanno firmato la Carta di luglio, un piano per le riforme in 84 punti. Il National citizen’s party (Ncp), formato dai leader dei manifestanti, e alcuni gruppi di sinistra non hanno firmato perché nel documento manca un meccanismo vincolante. Il disaccordo tra le forze politiche è ancora più forte sull’opportunità o meno di indire un referendum con 48 proposte di riforma costituzionale insieme alle elezioni politiche. La proposta dell’election day, sostenuta tra gli altri dal Partito nazionalista del Bangladesh ma avversata dai partiti islamici (l’Ncp si è dichiarato favorevole a entrambe le opzioni), è stata accolta da Yunus il 13 novembre nonostante i timori che tanti quesiti tutti insieme possano confondere gli elettori. The Diplomat
Ma i critici sottolineano che la crescita sotto i suoi governi è stata disuguale e che le sue politiche economiche hanno favorito la classe più ricca del paese. E i progressi economici del Bangladesh sono stati accompagnati da violazioni dei diritti umani e dallo svuotamento delle istituzioni democratiche.
Il Bnp di Zia, il principale partito d’opposizione, aveva boicottato le elezioni del 2014 quando Hasina aveva rifiutato di nominare un governo tecnico neutrale per portare il paese al voto. Nel 2018 Hasina aveva vinto con il 96 per cento dei voti, Zia era stata esclusa dalla corsa elettorale a causa delle sue condanne, e decine di candidati del Bnp erano stati arrestati. Tutto questo aveva sollevato seri dubbi sulla correttezza del risultato. All’epoca un analista aveva definito il governo di Hasina “sviluppo senza democrazia”. Alle elezioni del 2024 si è ripetuto lo stesso schema: i partiti d’opposizione sono stati attaccati e i loro leader arrestati. Il Bnp ha di conseguenza boicottato il voto, svuotandolo di senso. Dopo la vittoria, Hasina ha ulteriormente irrigidito la sua posizione definendo il Bnp un’“organizzazione terroristica”.
Poi la situazione si è capovolta: nell’ottobre 2024 il governo ad interim ha messo fuori legge la lega Chhatra, l’ala studentesca della lega Awami, dichiarandola un’organizzazione terroristica. Ora, mentre si prepara alle prime elezioni del dopo Hasina, previste per il febbraio 2026, il Bangladesh deve superare una nuova prova. A maggio il governo Yunus ha vietato alla lega Awami qualsiasi attività politica, un grave colpo per i diritti di milioni di bangladesi che continuano a sostenere il partito. Il provvedimento ricalca gli errori dei governi precedenti, che hanno scelto la vendetta invece della riconciliazione. Nel frattempo le uccisioni extragiudiziali e le sparizioni forzate proseguono.
Far pagare a Hasina i suoi crimini è un passo fondamentale verso la giustizia, ma il Bangladesh potrà davvero voltare pagina solo se romperà con le peggiori eredità del suo governo, costruendo istituzioni democratiche inclusive e, soprattutto, non vendicative. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati