Seduto su un sasso in cima a una rupe nelle isole Canarie, Antonio Márquez Navarro ha appena invitato delle persone a raggiungerlo – “Venite, stiamo per ammazzare il maiale” – senza pronunciare neanche una parola. Ha solo fischiato.
In lontananza tre escursionisti di passaggio sono rimasti impietriti sentendo quel suono acuto e penetrante e la sua eco che rimbalzava tra le pareti della vallata.
Márquez, 71 anni, racconta che in passato, quando erano i pastori e non i turisti a percorrere i sentieri del posto, il suo invito sarebbe stato subito accolto con un altro fischio, forte e chiaro. Ma stavolta il messaggio non ha avuto risposta, e i giovani escursionisti hanno subito ripreso il loro trekking sull’isola della Gomera, nell’arcipelago vulcanico delle Canarie.
Márquez è un orgoglioso custode della lingua fischiata locale, che definisce “la poesia della mia isola”. E, aggiunge, “come la poesia, per essere davvero speciale e magnifico il fischio non deve per forza servire a qualcosa”. La lingua fischiata della popolazione indigena della Gomera è citata nei resoconti degli esploratori che nel quattrocento aprirono la strada alla conquista spagnola dell’arcipelago. Nel corso dei secoli la pratica fu adattata al castigliano.
Conosciuta ufficialmente come silbo gomero, la lingua sostituisce le lettere scritte con fischi che variano per intonazione e durata. Purtroppo le varianti dei fischi sono meno numerose delle lettere dell’alfabeto spagnolo, perciò un suono può avere molteplici significati, cosa che provoca incomprensioni ed equivoci. I suoni prodotti per alcune parole spagnole – come sì o ti (tu) – sono uguali, e lo stesso vale per quelli che indicano alcuni vocaboli più lunghi ma simili, per esempio gallina o ballena (balena). “All’interno di una frase è chiaro di quale animale si sta parlando, ma senza contesto è difficile distinguere”, spiega Estefanía Mendoza, insegnante di silbo.
L’unica regola
Nel 2009, l’Unesco ha inserito il silbo gomero tra i beni del Patrimonio orale e immateriale dell’umanità, definendolo “l’unica lingua fischiata al mondo a essere pienamente sviluppata e praticata da una vasta comunità”, cioè i 22mila abitanti della Gomera. Tuttavia, ora che il silbo non è più essenziale per la comunicazione, la sua sopravvivenza è legata soprattutto a una legge del 1999 che ha reso obbligatorio il suo insegnamento nelle scuole locali.
Nella cittadina portuale di Santiago, una classe di bambini di sei anni non sembra avere particolari difficoltà nell’individuare i fischi corrispondenti ai diversi colori o ai giorni della settimana. Ma le cose si complicano quando le parole sono inserite in frasi complete, per esempio: “Come si chiama il bambino con le scarpe blu?”. Un paio di ragazzini sostengono di aver sentito il fischio corrispondente a giallo.
Se interpretare un fischio non è sempre facile, emettere il suono giusto può essere ancora più complicato. La maggior parte dei fischiatori mette in bocca un dito piegato, alcuni usano la punta di un dito o di due, e solo pochi si servono di entrambe le mani. “L’unica regola è trovare un dito che permetta di fischiare con facilità. A volte però nessuna soluzione funziona”, dice Francisco Correa, coordinatore del programma scolastico per l’apprendimento del silbo. “Ci sono persone anziane che capiscono perfettamente la lingua da quando erano piccole, ma non sono mai riuscite a emettere suoni chiari e distinti”.
Il risultato è che due fischiatori possono aver difficoltà a capirsi, soprattutto durante i primi incontri, ed essere costretti a chiedere all’interlocutore di ripetere le frasi, proprio come due sconosciuti che parlano la stessa lingua con accenti diversi. Ma “dopo aver fischiato insieme per qualche tempo, la comunicazione diventa agevole, come se si parlasse spagnolo”, spiega Correa.
Al pari di altre lingue, fischiate o no, anche il silbo deve fare i conti con un divario generazionale. Ciro Mesa Niebla, un agricoltore di 46 anni, ammette che trova difficile comunicare con i giovani che hanno imparato la lingua a scuola: “Io sono un montanaro e ho cominciato a fischiare le parole che la nostra famiglia usava per lavorare la terra, non ho il vocabolario di questi ragazzi, che imparano una lingua per me un po’ troppo sofisticata”.
Alcuni anziani hanno smesso di fischiare a causa di problemi dentali. Márquez continua a farlo con la dentiera. “Ma non è facile come quando potevo premere le dita contro i miei denti veri”, dice. “E il suono non è altrettanto forte”.
Considerando la loro configurazione geografica, è facile capire perché alle Canarie si comunicava fischiando: su molte isole, valloni scoscesi sprofondano verso l’oceano da vette e altopiani, e per coprire distanze anche brevi servono tempo e impegno. La lingua fischiata si sviluppò come un efficiente sistema per trasmettere messaggi: i suoi suoni, infatti, arrivano più lontano delle grida. In certe vallate e con condizioni di vento favorevoli possono essere uditi perfino a tre chilometri di distanza.
In codice
Gli abitanti più anziani della Gomera ricordano che il silbo si usava per segnalare i pericoli, soprattutto la presenza di pattuglie della polizia alla ricerca di contrabbandieri. In un film del 2019, La Gomera. L’isola dei fischi, del regista romeno Corneliu Porumboiu, il silbo è usato da una banda di criminali come linguaggio in codice.
Anche in alcune altre isole dell’arcipelago esistono lingue fischiate, ma sono cadute in disuso. Solo El Hierro recentemente ha introdotto l’insegnamento della propria variante. “Il silbo non è stato inventato alla Gomera, ma è in quest’isola che si è conservato meglio”, dice l’etnomusicologo David Díaz Reyes.
Oggi La Gomera vive soprattutto di turismo. Il settore offre opportunità ai giovani fischiatori come Lucía Darias Herrera, 16 anni, che si esibisce in uno spettacolo settimanale di fischi in un albergo dell’isola. Normalmente Darias fischia in castigliano, ma può adattare il silbo ad altre lingue parlate dal suo pubblico, spesso turisti tedeschi, tra i primi estimatori dell’isola.
Dall’estate scorsa, però, con la pandemia di covid-19 non solo questi spettacoli sono stati cancellati, ma si sono anche dovute riorganizzare le lezioni a scuola. In un periodo di mascherine obbligatorie, un insegnante non può aiutare uno studente a cambiare la posizione delle dita in bocca per permettergli di fischiare meglio. I bambini, inoltre, “fanno sforzi enormi per espellere l’aria, quindi spesso sputano saliva invece di fischiare”, spiega Correa, il coordinatore della scuola. Il risultato è che ormai la lezione settimanale si passa ad ascoltare registrazioni di silbo.
Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dal fatto che non sempre gli studenti hanno molte occasioni per praticare la lingua fuori dalla scuola. Nella classe dei bambini di sei anni, solo cinque su 17 alzano la mano quando gli chiedo se hanno modo di fischiare a casa. “Mio fratello sa fischiare davvero forte, ma non m’insegna perché sta sempre davanti alla PlayStation o in giro con gli amici”, si lamenta Laura Mesa Mendoza.
Ma molti ragazzini amano salutarsi con i fischi quando s’incontrano in città e sono ben felici di comunicare senza che i grandi possano capirli. Alcuni hanno genitori che sono andati a scuola prima che lo studio del silbo diventasse obbligatorio o che sono arrivati sull’isola da adulti.
Erin Gerhards, 15 anni, è perennemente attaccata al cellulare, eppure sembra davvero decisa a imparare a fischiare bene, e vuole contribuire a salvare le tradizioni della sua isola. “È un modo per onorare le persone che hanno vissuto qui nel passato e per ricordarci da dove veniamo”, dice. “Non siamo nati con la tecnologia, abbiamo origini molto semplici”. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati