Non sottomettersi alle regole della coerenza offre una grande flessibilità. Il messaggio pubblicato da Donald Trump sul suo social media Truth il 23 giugno infrange tutti i codici. Poco dopo le 18 il presidente degli Stati Uniti ha annunciato, da solo, che era stato concordato un cessate il fuoco tra Iran e Israele.
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In Medio Oriente era notte fonda. Trump ha assicurato che le due parti in conflitto – alle quali è lecito aggiungere gli Stati Uniti – avrebbero cessato le ostilità gradualmente dopo gli ultimi scontri. “Congratulazioni a tutti”, ha detto, come se si trattasse di una gara sportiva tra bambini, dove lo sforzo conta più del risultato. Nel frattempo, a Teheran ci sono state forti esplosioni prima del lancio di missili iraniani verso Israele, che hanno ucciso quattro persone a Beersheva, nel sud del paese. Ma il giorno dopo sia l’Iran sia Israele hanno accettato il cessate il fuoco annunciato a Washington.
Esattamente quarantotto ore dopo aver bombardato tre siti nucleari iraniani (Natanz, Isfahan e Fordo), Donald Trump ha fornito i dettagli della coreografia della pace, negoziata grazie alla mediazione del Qatar. A quanto risulta, l’Iran si è impegnato per primo in questo percorso, poi, dopo dodici ore in cui il cessate il fuoco è stato rispettato, Israele si è unito, mettendo così “fine ufficialmente alla guerra dei dodici giorni”.
Il presidente statunitense, infatti, pretende anche di dare un nome agli eventi per i posteri, tra i quali rivendica un posto centrale. Ammesso che Iran e Israele rispettino la sospensione dei combattimenti, Trump ha voluto “congratularsi con entrambi i paesi” per la “resistenza, il coraggio e l’intelligenza” che hanno dimostrato per arrivare a questo punto. “È una guerra che sarebbe potuta andare avanti per anni e distruggere l’intero Medio Oriente, ma non è stato così e non lo sarà mai”, ha commentato entusiasta, concludendo con un “Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran”, che ha generato ulteriore confusione.
Azione spettacolare
Da un lato, il comandante in capo delle forze armate statunitensi ha organizzato un bombardamento ad alto rischio di siti strategici iraniani, nel cuore della sovranità di questo regime ostile. Un’azione unilaterale spettacolare, in spregio del diritto internazionale e delle consultazioni con gli altri paesi coinvolti nella questione nucleare iraniana. Dall’altro, il “presidente della pace”, come si definisce, assicura che non c’è alcuna intenzione di coinvolgere il suo paese in un nuovo conflitto all’estero, come se potesse controllare tutti i parametri e i calcoli degli altri soggetti. Trump ha minacciato la guida suprema, Ali Khamenei, di un possibile omicidio, invocando apertamente il cambio di regime in Iran tanto auspicato da Israele. Ventiquattr’ore dopo il leader statunitense scherzava, esaltando le virtù della pace e delineando un Medio Oriente prospero, al quale vorrebbe associare Teheran. “Le due nazioni vedranno nel loro futuro moltissimo amore, pace e prosperità”, ha assicurato. Questo gusto per la contraddizione e l’imprevedibilità dei suoi propositi rendono il magnate indecifrabile, tanto per gli alleati quanto per gli avversari. Questo gli consente anche di dettare costantemente la narrazione del momento, in attesa che la realtà si conformi o meno.
Dato lo squilibrio delle forze in gioco, era Israele ad avere più da perdere interrompendo l’offensiva. Il costo finanziario è molto pesante da sostenere, ma i risultati ottenuti dal 13 giugno sono inestimabili per lo stato ebraico. Nel momento in cui è stato pubblicato il messaggio di Donald Trump, il vicepresidente JD Vance è apparso negli studi del canale Fox News. Sorridente, abituato all’improvvisazione, l’ex senatore dell’Ohio non ha nascosto la sua soddisfazione, pur mostrandosi ostile all’idea di un nuovo impegno militare a lungo termine all’estero. “Abbiamo distrutto il programma nucleare iraniano”, ha detto. “Nessun americano è morto. È una cosa incredibile. Tutti gli statunitensi, democratici o repubblicani, dovrebbero festeggiare”.
Solo un’esibizione
Questo ottimismo sull’esito degli attacchi non è condiviso dagli esperti. Più gli esponenti dell’amministrazione Trump rivendicano un successo totale, più si accumulano le domande sul destino dei circa 400 chili di uranio altamente arricchito di cui disponeva l’Iran. Questo materiale è facilmente trasportabile e occultabile. Se da un lato la distruzione, anche parziale, di Natanz, Isfahan e Fordo rimodellerà i termini dei negoziati con Teheran sul suo programma, dall’altro non allontanerà necessariamente la bomba, soprattutto perché la determinazione del regime potrebbe essere rafforzata da questa “guerra dei dodici giorni”.
Il rischio che il programma nucleare iraniano possa diventare completamente clandestino è reale. In nessun momento il regime è sembrato pronto ad abbandonare le attività di arricchimento, anche a favore di un eventuale consorzio internazionale che coinvolga alleati come la Russia.
“Sapete con certezza dove si trova tutto l’uranio arricchito?”, ha chiesto il conduttore di Fox News. Il vicepresidente non si è scomposto: “Non credo sia questa la domanda. L’uranio è qualcosa che esiste in quantità molto grandi. Penso che il nostro obiettivo principale fosse seppellire l’uranio, e penso che sia stato seppellito”. Non ci sono prove satellitari a sostegno del fatto che l’uranio arricchito fosse effettivamente a Natanz e Fordo, né che sia stato sepolto sotto le macerie.
La fretta di dichiarare la fine delle capacità nucleari dell’Iran e di proclamare un cessate il fuoco rifletteva una preoccupazione fondamentale dell’amministrazione Trump: non alimentare l’idea di aumentare l’instabilità in Medio Oriente. Ha anche ricordato un altro momento storico, nel giugno 2018, quando il presidente tornò a Washington dopo il discusso e molto pubblicizzato incontro con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. All’epoca, Trump proclamò: “Non c’è più minaccia nucleare da parte della Corea del Nord”. Inoltre elogiò il “grande potenziale” del paese. Oggi si stima che la Corea del Nord possieda cinquanta testate nucleari, senza contare il vasto arsenale missilistico.
Ma per l’amministrazione Trump gli slogan sono più importanti delle sfumature operative. JD Vance ha anche osservato su Fox News che le bombe statunitensi sganciate il 22 giugno erano “un po’ più grandi” dei missili esplosi in risposta dall’Iran. Il 23 giugno il regime teocratico ha attaccato la base aerea statunitense di Al Udeid, in Qatar. Secondo l’esercito, tredici missili sono stati intercettati senza difficoltà, mentre un altro, inoffensivo, si è schiantato al suolo. La base, che normalmente ospita circa diecimila soldati, era in gran parte deserta. L’intero contrattacco iraniano è stato comunicato, calibrato e privo di sorprese. Era stato progettato per essere solo un’esibizione. Questa presunta dimostrazione di forza era in realtà una confessione di debolezza.
La capacità di deterrenza dell’Iran è ridotta ai minimi termini. L’umiliazione è completa. Il paese non dispone più di sistemi di difesa aerea e non controlla più i propri cieli, ceduti ai caccia israeliani. Ma Donald Trump ha ritenuto opportuno aggiungere umiliazione alla sconfitta, congratulandosi pubblicamente con Teheran per la sua “risposta molto debole”. In un messaggio pubblicato il 23 giugno, ha scritto: “Voglio ringraziare l’Iran per averci avvertiti in anticipo, facendo in modo che non ci fossero vittime né feriti”. JD Vance ha aggiunto che gli iraniani “non sono molto bravi a fare la guerra”.
Anche se regnava l’incertezza sul rispetto del cessate il fuoco e sul reale successo dell’operazione statunitense, il movimento Maga (Make America great again) si è affrettato a reclamare sui social media gli allori per il suo leader. In particolare, il premio Nobel per la pace. È una vecchia ossessione di Donald Trump, che si era infuriato quando fu assegnato a Barack Obama nel 2009.
Il 20 giugno, sul social media Truth, il presidente statunitense si è lanciato in un lungo sfogo su tutti i suoi presunti successi diplomatici. “Non importa quello che faccio, non avrò mai un premio Nobel per la pace”, ha scritto, “soprattutto su Russia-Ucraina e Israele-Iran, qualunque sia il risultato, ma la gente lo sa, e questo è tutto ciò che conta per me!”. Evidentemente no. La sera del 23 giugno, in una classica dimostrazione di fervore, è stato organizzato il suo comitato di sostegno ufficiale. L’autore di podcast conservatore Benny Johnson, l’editorialista Batya Ungar-Sargon del sito web The Free Press e l’influente Charlie Kirk, a capo dell’organizzazione Turning Point Usa, hanno tutti chiesto il premio Nobel per il presidente.
Negli ultimi mesi vari esponenti della sua amministrazione, come il segretario al tesoro Scott Bessent e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, hanno fatto altrettanto. Il messaggio più breve pubblicato da Donald Trump il 23 giugno esprimeva il suo stato d’animo: “Congratulazioni al mondo, è il tempo della pace!”. Sembrava proprio che il presidente si stesse complimentando con se stesso. ◆ adg
◆ Il 25 giugno 2025 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che il programma nucleare iraniano è stato ritardato di “decenni” grazie all’attacco statunitense e ha sottolineato che gli impianti sono stati completamente distrutti. Il giorno prima la diffusione di un documento riservato dei servizi di sicurezza statunitensi aveva seminato dubbi sull’efficacia dell’attacco del 22 giugno contro i tre principali siti nucleari iraniani. Secondo il documento, il bombardamento degli impianti di Fordo, Natanz e Isfahan non avrebbe eliminato completamente le centrifughe e le scorte di uranio arricchito dell’Iran e non avrebbe distrutto le parti sotterranee delle strutture. Se così fosse il programma nucleare iraniano rallenterà solo di pochi mesi. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha affermato che in questa fase è impossibile valutare i danni e ha chiesto di poter visitare i siti colpiti. Il 25 giugno il parlamento iraniano ha approvato la sospensione della collaborazione con l’agenzia delle Nazioni Unite. Afp
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati