Chi ha più di quarant’anni probabilmente ricorda dov’era il 15 settembre 2008, quando fallì la banca d’investimento Lehman Brothers. Fu uno dei primi momenti scioccanti dell’ultima crisi finanziaria globale, un periodo caotico segnato da corse agli sportelli, crolli e bancarotte, quando le economie di molti paesi ricchi sprofondarono in una delle più gravi recessioni dai tempi della grande depressione degli anni venti. Milioni di persone persero il lavoro, la casa e i risparmi di una vita in un disastro che polverizzò migliaia di miliardi di dollari.

Come in molte altre sciagure finanziarie, anche il mercato immobiliare fu coinvolto. Nel 2006 era scoppiata una bolla alimentata da titoli garantiti da mutui apparentemente sicuri e venduti in tutto il mondo, tra cui i cosiddetti subprime (che erano in realtà prestiti ad alto rischio). Con l’aumento delle insolvenze e dei pignoramenti, il valore di questi titoli crollò, causando gravi perdite agli investitori e scatenando il panico sui mercati finanziari.

Mesi dopo l’inizio della crisi, le iniezioni di denaro da parte dei governi e alcune riforme permisero di rimettere in piedi il sistema finanziario. Oggi le grandi banche sono più solide, i mercati sono regolati in modo più efficiente e gli investitori sono più protetti.

Nonostante questo, sentiamo continuamente allarmi che ci riportano a quel periodo buio. Cresce la paura di nuovi scossoni nel mercato immobiliare, stavolta non a causa di prestiti rischiosi ma dei disastri legati ai fenomeni atmosferici estremi, che aumentano le pressioni sulle compagnie assicurative e su altri istituzioni finanziarie. “Alla fine il valore delle proprietà crollerà come nel 2008, polverizzando la ricchezza delle famiglie”, si legge in “Next to fall”, un rapporto su cambiamenti climatici e assicurazioni pubblicato nel dicembre 2024 dalla commissione bilancio del senato degli Stati Uniti (in quel momento guidata dal Partito democratico). “Gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte a un nuovo sconvolgimento del sistema economico, simile alla crisi finanziaria del 2008 se non perfino peggiore”.

A gennaio il Financial stability board, un organismo internazionale pensato per monitorare il sistema finanziario, ha sostenuto che le assicurazioni stanno diventando più costose e meno disponibili nelle aree più vulnerabili ai disastri, e che i “turbamenti climatici” potrebbero scatenare grandi tempeste nel mercato. A inizio febbraio Jerome Powell, capo della Federal reserve, la banca centrale statunitense, ha confermato che banche e assicurazioni si stanno rifiutando di operare in aree rischiose. “È probabile che tra dieci o quindici anni ci saranno regioni degli Stati Uniti dove sarà impossibile ottenere un mutuo. Non ci saranno bancomat né filiali bancarie”, ha detto al congresso. “Non so se ci sarà un problema di stabilità finanziaria, ma di sicuro le conseguenze economiche saranno rilevanti”.

Meno di due settimane dopo l’investitore Warren Buffett ha detto agli azionisti della Berkshire Hathaway – una delle società d’investimento più grandi al mondo, che comprende anche compagnie assicurative – che i prezzi delle polizze immobiliari stavano salendo a causa dei sempre maggiori danni provocati dagli uragani. “Il cambiamento climatico forse sta annunciando il suo arrivo”, ha detto. “In futuro assisteremo a perdite catastrofiche nel mondo delle assicurazioni, forse anche più di una volta all’anno”.

Tempo dopo, mentre l’Europa viveva il marzo più caldo di sempre, Günther Thallinger, che fa parte del direttivo del gigante assicurativo tedesco Allianz, ha avvertito che le temperature stavano velocemente raggiungendo livelli in cui gli assicuratori non avrebbero potuto operare, creando le basi “per un rischio sistemico che minaccia le fondamenta del settore finanziario”. In un post su Linkedin ha scritto: “Se non ci sono più assicurazioni, non ci saranno più nemmeno altri servizi finanziari. Il valore economico di intere regioni – aride e a rischio incendi, soprattutto sulla costa – sparirà dai registri finanziari”, ha aggiunto. “I mercati fisseranno nuovi prezzi, sarà rapido e brutale”.

Nel 2024 gli investimenti mondiali nella transizione energetica hanno superato per la prima volta i duemila miliardi di dollari

Pareri scettici

Non è facile prevedere in che modo i costi delle assicurazioni sugli immobili potrebbero causare una bolla finanziaria alimentata dal cambiamento climatico. Ma parlando con investitori, analisti finanziari, esperti di regolamentazione, dirigenti assicurativi, scienziati e ricercatori mi sono fatta un’idea.

Tutto inizia quando alcune compagnie assicurative cominciano a ritirarsi dagli Stati Uniti, seguite a cascata da tante altre, e non solo negli stati più a rischio di catastrofi come la California. In tutto il paese i proprietari di case devono fare i conti con premi alle stelle e in molti casi non riescono a rinnovare la polizza, mentre le compagnie sono alle prese con ondate incessanti di incendi, tempeste e uragani.

I governi a corto di liquidità cercano di coprire le perdite con piani assicurativi d’emergenza. Ma in genere queste soluzioni costano tanto e offrono coperture inferiori, creando un’ulteriore e terribile sfida per migliaia di proprietari. Il valore dei loro immobili, che era cresciuto costantemente negli anni precedenti, comincia a calare. Visto che serve avere un’assicurazione per accedere a un mutuo, insieme alle compagnie assicurative si ritirano anche le banche, e il contagio si diffonde. Le filiali chiudono uno stato dopo l’altro. Alcuni istituti di credito escono del tutto dal settore dei mutui. Altri cominciano a perdere somme importanti. Questa dinamica non riguarda solo gli Stati Uniti: gli sconvolgimenti causati dal clima si intensificano anche nel resto del mondo, facendo tremare compagnie assicurative, banche e mercati immobiliari, dall’Australia al nord dell’Italia. Città dopo città, le persone si ritrovano ad abitare in case che valgono meno di quanto le avevano pagate.

Con un richiamo inquietante alle turbolenze finanziarie del passato, le rate sui mutui non pagate cominciano ad aumentare, insieme ai pignoramenti e alle insolvenze sulle carte di credito. Ma questa volta è diverso. Rispetto ad altri disastri, ora la causa di fondo non va rintracciata nella finanza ma nel mondo fisico, e non è chiaro come finirà.

Va detto che non tutti sono d’accordo sul fatto che il riscaldamento del pianeta possa causare questi o altri tipi di crisi finanziarie. Christopher Waller, nel consiglio della Federal reserve dal 2020, è da tempo tra gli economisti più scettici. “Il cambiamento climatico è reale, ma non credo che rappresenti un serio rischio per la sicurezza e la solidità delle grandi banche o per la stabilità finanziaria degli Stati Uniti”, ha dichiarato nel 2023 durante una conferenza a Madrid.

Pacific Palisades, California, 12 gennaio 2025 (Ivan Kashinsky, panos)

Waller nota che in alcune città, come Detroit, la perdita di abitanti ha fatto crollare il prezzo degli immobili, ma questo non ha minacciato la stabilità finanziaria. Perché dovrebbe andare diversamente in città costiere minacciate dall’innalzamento dei mari? Inoltre le simulazioni della Fed, che ipotizzano un calo di più del 25 per cento dei prezzi degli immobili negli Stati Uniti, dicono che le principali banche potrebbero farsi carico di circa cento miliardi di dollari in perdite sui mutui ipotecari, insieme ad altri 500 miliardi di perdite su altri settori.

Anche gli esperti che non la pensano come Waller precisano che i rischi causati dalla crisi climatica non porteranno automaticamente a un crollo improvviso simile a quello del 2008. Dave Jones, un politico del Partito democratico statunitense che ha fatto parte della commissione sulle assicurazioni concesse in California, mi ha detto: “Con il tempo vedremo più compagnie assicurative che non riescono a coprire le richieste di risarcimento, ulteriori aumenti dei premi e meno polizze disponibili, più insolvenze sui mutui, cali di valore degli asset (come immobili e macchinari) e blocchi del credito; ci sarà un peggioramento progressivo più che un singolo evento catastrofico o una serie di eventi in cui un gruppo di istituzioni finanziarie crolla contemporaneamente”. Eppure, ha aggiunto, “neanche questo scenario è da escludere”.

Ma tutti gli esperti sono d’accordo su un punto scoraggiante. Anche se dovesse arrivare al rallentatore, il caos finanziario causato dal clima potrebbe essere più minaccioso di qualsiasi sconvolgimento del passato. Questo perché non sarebbe provocato da fallimenti finanziari, che in genere sono seguiti da una ripresa, ma da un problema, le emissioni globali di anidride carbonica, che il mondo fatica ad affrontare da più di trent’anni.

“Questo tipo di rischio climatico non è ciclico. Si muove in una sola direzione”, dice l’economista Ben Keys, che insegna finanza ed economia immobiliare all’università della Pennsylvania. “Se il turbamento è costante non ne serve uno enorme per avere effetti seri e a lungo termine sui prezzi delle case e sul valore di altri beni”. Questa costante pressione sul settore immobiliare segna un cambiamento nel modo in cui alcuni esperti stanno ragionando sul concetto, relativamente nuovo, di instabilità finanziaria alimentata dal clima. La questione può sembrare secondaria in un momento in cui le bombe cadono in Medio Oriente e in Ucraina e si susseguono negli Stati Uniti le proteste contro l’autoritarismo. Ma nel lungo periodo potrebbe diventare centrale, se non altro perché è molto difficile immaginare come andrà a finire.

Per molti anni gli analisti hanno pensato che il riscaldamento globale influisse sulla stabilità finanziaria sostanzialmente in due modi: attraverso i rischi fisici degli eventi meteorologici estremi e con i cosiddetti rischi di transizione, cioè quelli provocati da politiche o innovazioni tecnologiche che, accelerando il passaggio a un’economia più verde, mettono in crisi gli investimenti legati ai combustibili fossili. Le due minacce sono collegate: se i rischi fisici si intensificano, potrebbero in teoria stimolare politiche climatiche più severe, aggravando i rischi di transizione. Ma, quando si è cominciato a parlare di problemi finanziari causati dal clima, spesso i pericoli fisici sembravano quelli più lontani.

Banchieri preoccupati

Mark Campanale è stato tra i primi a riflettere su un possibile crollo causato dal clima e sui rischi di transizione. Nel 2007, quando aveva quarant’anni e lavorava come analista di investimenti sostenibili a Londra, cominciò a lanciare l’allarme sul “carbonio non bruciabile”, cioè quelle riserve di combustibili fossili che, se estratte e bruciate, produrrebbero emissioni superiori al limite stabilito a livello globale per mantenere le temperature entro i livelli di guardia.

All’epoca i governi stavano cominciando ad agire. Per esempio, il Regno Unito nel 2008 approvò la Climate change act, che contiene un obiettivo legalmente vincolante per la riduzione delle emissioni. Campanale mise in guardia sulla possibilità di una “bolla di anidride carbonica” se i governi fissavano obiettivi sulle emissioni non compatibili con il numero di pozzi di petrolio, di centrali a carbone e di altri investimenti sui combustibili fossili finanziati in tutto il mondo. Se quegli obiettivi venivano tradotti in politiche concrete, notava, gli investitori che avevano continuato a iniettare denaro nei combustibili fossili rischiavano di dover fare i conti con attività bloccate e grandi perdite, in altre parole seri rischi di transizione.

In un rapporto del 2011, Campanale spiegava che il potenziale di CO2 delle compagnie di combustibili fossili registrate a Londra era dieci volte più grande di tutte le emissioni che, stando agli obiettivi del Climate change act, dovevano essere prodotte entro il 2050. La sua teoria cominciò a diffondersi. I giornalisti finanziari la riprendevano, gli esperti accademici ne parlavano nelle loro conferenze, gli attivisti climatici la rilanciavano facendo pressioni sulle autorità di regolamentazione finanziaria perché la prendessero in considerazione.

Nel settembre 2015 la bolla raggiunse il suo apice. Mark Carney, allora governatore della Banca d’Inghilterra, tenne un discorso sul rischio legato ai combustibili fossili “non bruciabili” e sulla fragilità “potenzialmente enorme” per gli investitori britannici. Carney, ora primo ministro del Canada, suggeriva alle aziende di condividere maggiori informazioni sulla loro impronta di carbonio per scongiurare un “momento di Minsky climatico”. L’espressione, dal nome dell’economista statunitense Hyman Minsky, indica un improvviso crollo del mercato dopo che una lunga fase di espansione eccessiva ha incoraggiato una crescita insostenibile dei debiti.

“Ero ovviamente contento che il governatore avesse adottato la nostra prospettiva, perché dimostrava che la nostra analisi aveva colto un punto”, racconta l’economista.

La velocità con cui l’amministrazione di Donald Trump ha cominciato a smantellare le politiche climatiche ha sorpreso tutti

Altri erano meno entusiasti. Gli scettici dei cambiamenti climatici lo videro come un tentativo d’infilare politiche climatiche nelle norme bancarie. Gli attivisti climatici temevano che Carney stesse riponendo troppa fiducia nei mercati per risolvere un problema che richiede tasse sul carbonio, limiti all’uso dei combustibili fossili e altre misure incisive. Molti erano convinti che politiche del genere non sarebbero mai state introdotte su scala sufficiente. E anche se fosse successo, il valore dei titoli e delle risorse legati ai combustibili fossili sarebbe diminuito gradualmente e non crollato di colpo, dando agli investitori tutto il tempo per trarne profitto.

E se anche ci fosse stato un crollo dei combustibili fossili e tanti investitori avessero perso i loro soldi, perché mai questo avrebbe dovuto provocare una crisi finanziaria sistemica? Non era successo, per esempio, dopo il crollo delle dot-com all’inizio degli anni duemila, che aveva lasciato parecchi azionisti in rosso.

Il discorso di Carney segnò comunque una svolta. Se un banchiere centrale prendeva sul serio il rischio finanziario legato al clima, compresa la minaccia di una transizione disordinata, come poteva essere ignorato?

E Carney non era solo. Nel 2017 otto banche centrali e autorità di vigilanza finanziaria, tra cui quelle di Cina, Germania, Francia e Regno Unito, lanciarono il Network for the greening of the financial system, una rete che promuove pratiche responsabili nella gestione dei rischi climatici a livello finanziario. Presto il gruppo arrivò a contare cento istituzioni, compresa la Federal reserve e la Banca centrale europea. Si impose l’idea che un mondo più caldo avrebbe potuto compromettere la stabilità finanziaria. All’improvviso le banche centrali cominciarono a svolgere simulazioni sui sistemi bancari valutando i rischi di transizione con la stessa serietà, se non addirittura con più serietà, dei rischi fisici.

Queste analisi sono ancora in corso. Dopo una valutazione complessiva, nel 2024 l’Onu ha dichiarato che il sistema finanziario ha buone probabilità di sostenere sia i rischi di transizione sia quelli fisici. Ma le conseguenze rischiano di essere sottostimate.

I più pessimisti notano che troppe simulazioni si basano su modelli che escludono alcuni rischi, come i punti di non ritorno climatici. Si tratta di soglie che, una volta superate, innescano cambiamenti drammatici e irreversibili, come la scomparsa della calotta glaciale nell’Antartide occidentale o della foresta amazzonica.

California, 11 gennaio 2025 (Ivan Kashinsky, panos)

I modelli continuano a essere perfezionati e le banche centrali continuano a lavorare su quello che nel 2024 la presidente della Bce Christine Lagarde ha definito un “nuovo tipo di rischio sistemico” rappresentato dalle minacce climatiche e ambientali. Ma poco dopo si è capito che c’era ancora un altro rischio da valutare: Donald Trump.

La velocità con cui l’amministrazione Trump ha cominciato a smantellare le politiche climatiche ha sorpreso tutti. Prima ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale per incrementare la produzione di combustibili fossili e ritirato di nuovo gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima. Poi ha licenziato decine di scienziati nelle agenzie per il clima e il meteo e ha elaborato piani per ridurre il monitoraggio dei gas serra. I repubblicani al congresso si sono mossi per cancellare i crediti d’imposta per l’energia pulita e altri elementi chiave della legge sul clima voluta da Joe Biden, l’Inflation reduction act. Lee Zeldin, scelto da Trump per guidare l’Agenzia per la protezione ambientale (Epa), ha definito una “setta” il movimento che combatte il cambiamento climatico, mentre il governo smantellava le norme che limitano l’inquinamento delle centrali elettriche. Chris Wright, segretario all’energia, ha detto che “l’allarmismo climatico ha avuto un impatto terribile sulla vita e sulla libertà delle persone. Appartiene al cumulo di ceneri del passato”.

Variabile impazzita

Tutto questo non significa che la transizione energetica, e i potenziali rischi per la stabilità finanziaria, sia finita. Nel 2024 gli investimenti mondiali nel settore hanno superato per la prima volta i duemila miliardi di dollari. Quasi il 40 per cento veniva dalla Cina, ormai un colosso dell’energia pulita, che ha destinato più risorse di Stati Uniti, Unione europea e Regno Unito messi insieme. Tuttavia, la crescita degli investimenti globali è stata più lenta rispetto ai tre anni precedenti, secondo il gruppo di ricerca di Bloomberg new energy finance. E il fatto che la più grande economia mondiale stia facendo di tutto per invertire il processo, crea una grande incertezza per il futuro.

Nel frattempo i segnali dei rischi climatici fisici, che in un primo momento sembravano più lontani dei rischi di transizione, sono diventati molto più evidenti. Piogge straordinarie hanno paralizzato Dubai nell’aprile 2024 e costretto migliaia di persone a lasciare le loro case in Cina. Pochi mesi dopo il tifone yagi ha provocato centinaia di vittime nel sudest asiatico. A ottobre, mentre le autorità della Florida erano ancora alle prese con le conseguenze di due enormi uragani che si erano abbattuti sullo stato a soli tredici giorni di distanza l’uno dall’altro, una terribile inondazione ha colpito la provincia spagnola di Valencia. Più di duecento persone sono morte a causa di un fiume di fango generato da un nubifragio che ha fatto cadere in poche ore l’equivalente di un anno di pioggia.

Meno di tre mesi dopo sono scoppiati incendi che hanno devastato diverse aree di Los Angeles, uccidendo decine di persone e radendo al suolo migliaia di case.

La tendenza continua nel 2025. A marzo degli incendi hanno colpito la Corea del Sud, i più gravi mai registrati nel paese, mentre il Giappone ha ordinato a migliaia di persone di lasciare altre aree invase dai roghi, i peggiori degli ultimi decenni. Anche migliaia di canadesi sono stati costretti a scappare dalle fiamme e l’Australia ha dovuto affrontare una disastrosa serie di inondazioni che, secondo le autorità, ha colpito la crescita economica. A giugno sono state diramate allerte per il caldo estremo in Nordamerica, Europa e Asia. Non ci sono segnali di tregua in un mondo che diventa sempre più caldo.

Nel 2024, per la prima volta, la temperatura media globale ha superato di 1,5 gradi i livelli preindustriali per dodici mesi consecutivi. Nei prossimi cinque anni le temperature potrebbero aumentare per la prima volta di quasi 2 gradi, secondo uno studio pubblicato a maggio.

Nessuno di questi eventi ha destabilizzato il sistema finanziario. I dazi di Trump hanno provocato scossoni sul mercato molto più violenti. Ma il numero crescente di disastri sta cambiando il modo in cui gli esperti considerano i problemi finanziari legati al clima.

“Ho sempre pensato che i rischi di transizione fossero più pericolosi per il sistema finanziario perché possono assumere la forma di sconvolgimenti molto repentini che causano enormi perdite”, sostiene Patrick Bolton, che insegna finanza ed è il principale autore di una pubblicazione del 2020, commissionata dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca di Francia, in cui si afferma che il cambiamento climatico potrebbe causare la prossima crisi finanziaria sistemica. “Ma quello che abbiamo visto con gli incendi di Los Angeles e altri disastri ambientali dimostra che siamo già nella fase in cui i rischi fisici rappresentano una minaccia per il sistema finanziario”.

Adair Turner, ex presidente della Financial services authority del Regno Unito, che ha contribuito a rivedere la regolamentazione bancaria dopo la crisi finanziaria del 2008, è arrivato a una conclusione simile, ma da un punto di partenza diverso. Non ha mai creduto che una crisi finanziaria seria potesse nascere dai rischi della transizione energetica. Ma ora pensa che possa essere provocata dai rischi fisici.

“La gravità degli eventi estremi sta aumentando a un ritmo che non avevamo immaginato e sta colpendo una categoria, il settore immobiliare, talmente grande che potrebbe lasciare gli istituti di credito con case non assicurabili che perdono valore”, spiega.

Costi in aumento
Premi medi annuali delle assicurazioni per la casa negli Stati Uniti, in dollari (consumer federation of america)

L’interesse di Turner per l’argomento non è accademico. Presiede la banca digitale britannica OakNorth e il ramo europeo del gruppo assicurativo Chubb. È stato anche il primo presidente dell’organismo consultivo del comitato per i cambiamenti climatici del Regno Unito. Un bagaglio di esperienze particolarmente utile, se si considerano le nuove informazioni che arrivano dagli Stati Uniti sull’impatto dei disastri climatici sulle assicurazioni per la casa. O meglio, le informazioni che stavano arrivando dagli Stati Uniti.

Un nuovo giorno

Il 16 gennaio, quattro giorni prima dell’insediamento di Trump, l’ufficio del dipartimento del tesoro che regolamenta il settore bancario (Fio) ha pubblicato quelli che ha definito i dati più completi sulle assicurazioni per la casa mai raccolti fino ad oggi.

L’analisi di 246 milioni di polizze stipulate tra il 2018 e il 2022 mostra che le assicurazioni stanno diventando sempre più costose e meno accessibili per milioni di americani, soprattutto per chi vive nelle aree più vulnerabili alle catastrofi.

Il costo medio dei premi pagati dagli abitanti di posti considerati a rischio era l’82 per cento superiore rispetto alle aree meno a rischio. In quelle zone sono stati molto più frequenti i mancati rinnovi, cioè i casi in cui le compagnie assicurative si sono rifiutate di rinnovare le polizze per la casa.

Il rapporto includeva dati raccolti da enti come la National oceanic and atmospheric administration (Noaa) e la Federal emergency management agency (Fema, la protezione civile statunitense). Entrambe le agenzie sono state colpite dai tagli voluti da Trump. Anche il Fio dovrebbe essere chiuso sulla base di una legge, presentata a gennaio da un deputato del Partito repubblicano, che lascerebbe agli stati il compito di regolare il settore assicurativo. La mossa è stata sostenuta da alcune compagnie assicurative, che avevano invece criticato il rapporto di gennaio, sostenendo che si concentrava troppo sul cambiamento climatico e poco su altri fattori che hanno causato l’aumento dei costi delle assicurazioni, come l’inflazione, le azioni legali e il trasferimento delle persone nelle aree a rischio.

Altre compagnie fanno notare che spesso gli eventi meteorologici estremi hanno coinciso con l’aumento dei prezzi degli immobili, cosa che finora ha fornito una protezione contro le insolvenze sui mutui. Per quanto riguarda i rischi per le compagnie, i dirigenti del settore si affrettano a sottolineare che in genere le polizze offrono una copertura per un anno e non per tutta la durata di un mutuo bancario (che può estendersi per decenni); di conseguenza è decisamente minore la loro esposizione finanziaria.

Intanto si lavora per rimodellare i mercati assicurativi e renderli più resistenti ai rischi climatici, costruire in aree meno pericolose e rendere le abitazioni più sicure in caso di eventi meteorologici estremi.

Dobbiamo sperare che questi sforzi si rivelino efficaci. Ma dobbiamo anche riconoscere che molto dipende dai dati, dalle analisi e dalle competenze condivisi sugli effetti del cambiamento climatico, tutti elementi a rischio negli Stati Uniti di oggi. Il giorno dopo la pubblicazione del rapporto del Fio, la Federal reserve ha annunciato che avrebbe lasciato il Network for the greening of the financial system, che tanto ha contribuito a studiare l’instabilità finanziaria causata dal clima. Due settimane dopo anche il Fio è uscito dal network, in linea con gli ordini esecutivi del presidente pensati per “mettere l’America al primo posto negli accordi ambientali internazionali e a liberare l’energia statunitense”. Come ha dichiarato Brooke Rollins, segretaria all’agricoltura, all’emittente Fox Business, “non ci occuperemo più di quella roba, del cambiamento climatico”. Per gli Stati Uniti, ha detto, “è un nuovo giorno”. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati