Il governo non ha intenzione di adottarlo, l’opinione pubblica non lo vuole e la banca centrale preferisce mantenere il controllo sui suoi tassi d’interesse. L’impegno ad adottare l’euro era una condizione cruciale per entrare nell’Unione europea. Ma dopo quasi vent’anni dal suo ingresso la Repubblica Ceca, come altri paesi postcomunisti dell’Unione, non si è neanche avvicinata all’obiettivo. Sono invece le aziende che stanno spingendo a poco a poco l’economia verso una direzione in cui i politici e la banca centrale non hanno intenzione di andare.

I dati della banca centrale ceca mostrano che per la prima volta la metà di tutti i prestiti alle imprese concessi dalle banche locali del paese è in valuta estera, nella maggior parte dei casi in euro. Il dato è ancora più alto se si considerano anche i crediti concessi da banche straniere. Inoltre, il 20 per cento degli scambi commerciali tra aziende ceche avviene in euro, che tra l’altro molti esportatori usano al posto della corona per pagare i fornitori locali. “La corona è una valuta part-time, perché le grandi aziende che dominano l’economia sono passate all’euro”, ha dichiarato Tomas Kolar, amministratore delegato del Linet Group, un produttore di letti ospedalieri ad alta tecnologia e altre attrezzature. “Non ci sono buone ragioni per rifiutare l’euro, ma i politici hanno paura anche solo di sollevare la questione, figurarsi di spiegarla agli elettori”. Kolar ha aggiunto che quasi l’intero fatturato della Linet, pari a 360 milioni di euro, proviene dalle esportazioni verso clienti di 150 paesi. Per la maggior parte delle operazioni è passato dalla corona all’euro per ridurre le perdite dovute alle oscillazioni del cambio.

Da quando nel 2004 l’Unione europea ha cominciato a espandersi a est sono passati all’euro la Slovenia, la Slovacchia, i tre stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) e, più di recente, la Croazia. Anche la Bulgaria aspira alla moneta unica, mentre la Repubblica Ceca, insieme all’Ungheria e alla Polonia, ha rinviato più volte la questione. In Ungheria la recessione durata un anno e la crisi della valuta locale, il fiorino, hanno spinto alcune aziende a chiedere almeno una data entro cui entrare nell’euro. Dai dati emerge che il 42 per cento dei prestiti nel paese è in valuta estera. I cechi si trovano in una posizione migliore per soddisfare le condizioni richieste per la moneta unica, i famosi criteri di Maastricht. Il rapporto tra il debito pubblico e il pil è uno dei più bassi dell’Unione europea. Praga, inoltre, è in grado di soddisfare i requisiti relativi all’inflazione e al deficit di bilancio.

Beni e servizi costosi

Pochi paesi, tuttavia, sono così scettici nei confronti dell’euro come la Repubblica Ceca. Secondo l’ultimo sondaggio di Eurobarometro, tra gli stati dell’Unione europea che non hanno adottato la moneta unica, è quello dove la percentuale di persone favorevoli al passaggio all’euro è più bassa. La popolazione teme i costi di un eventuale salvataggio di un altro paese dell’eurozona e il probabile rincaro di beni e servizi. A causa dell’atteggiamento dell’opinione pubblica, l’argomento è quasi del tutto assente dal dibattito politico. Quattro dei cinque partiti dell’attuale coalizione di governo sono favorevoli all’euro, ma il partito principale, quello dei Democratici civici, ha impedito che fosse inserito negli obiettivi principali del programma. “Non rientra nella politica del governo in questo mandato elettorale”, ha dichiarato all’inizio del 2023 il ministro delle finanze e vicepresidente dei Democratici civici Zbynek Stanjura.

Secondo i funzionari della banca centrale ceca, una politica monetaria indipendente protegge dagli shock globali, mentre i vantaggi, come l’eliminazione dei costi di cambio o dei rischi valutari per le imprese, passano in secondo piano. Il vicegovernatore Jan Frait ha criticato l’obbligo di aderire all’unione bancaria europea prima di adottare la moneta comune, perché significherebbe rinunciare alla supervisione sul settore bancario – uno dei più solidi d’Europa – senza alcuna garanzia sui tempi d’ingresso nell’eurozona. “Le condizioni fissate per l’adozione dell’euro sono svantaggiose”, ha dichiarato Frait. “Non vale la pena farlo ora. Se il parlamento decidesse di entrare nell’eurozona, dovremmo negoziare condizioni migliori”.

Le aziende si trovano in una situazione complicata, dato che il paese colloca due terzi delle sue esportazioni nell’eurozona. Poiché le valute diventano più volatili a causa di fattori d’instabilità geopolitica come la guerra in Ucraina, l’integrazione in un blocco economico da tredicimila miliardi di euro offrirebbe una maggiore protezione, sostengono i dirigenti d’azienda. Le forti oscillazioni della corona negli ultimi anni hanno spinto la banca centrale a intervenire per sostenere la valuta, mentre i costi dei prestiti sono più alti rispetto a quelli dell’eurozona. L’ultimo caso di volatilità è stato provocato dal calo dei tassi d’interesse nella vicina Polonia. Questo, ha spiegato Kolar della Linet, dimostra che senza l’euro gli investitori stranieri considerano la Repubblica Ceca un “mercato emergente rischioso”. Zuzana Ceralová Petrofová, presidente dell’azienda produttrice di pianoforti Petrof, fondata dalla sua famiglia 159 anni fa, ha scritto in una rivista della confindustria ceca: “Visto che da tempo realizziamo il 90 per cento delle nostre vendite in euro o in dollari, preferiremmo avere l’euro. Siamo costretti a pagare i lavoratori, le bollette e dei materiali in corone, ma è costoso”.

Per molti aspetti questo paese di undici milioni di abitanti rappresenta una storia di successo della trasformazione postcomunista. Il boom dell’industria automobilistica ha aiutato i cechi a superare alcuni degli stati più anziani dell’Unione europea, come la Spagna e la Grecia, nel tenore di vita misurato dal pil pro capite.

Le imprese potrebbero ottenere alcune concessioni. Ci sono proposte di legge che gli permetterebbero di tenere la contabilità in una valuta estera o di pagare le tasse in euro, dollari o sterline. La Skoda Auto, l’azienda più importante del paese, chiede da anni l’introduzione dell’euro, con cui dal 2023 tiene la sua contabilità, perché lo usa per la maggior parte delle transazioni. Poiché gli esportatori costituiscono la spina dorsale dell’economia ceca, “questa tendenza all’euroizzazione spontanea” continuerà a diffondersi, ha dichiarato Radek Spicar, vicepresidente della confindustria. “Sotto l’influenza delle grandi aziende, anche altri settori dell’economia passeranno gradualmente a fare affari in euro”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati