Mentre continua lo scontro tra Israele e Iran, nei due paesi cresce il numero delle vittime. Al 18 giugno almeno duecentoventi persone sono state uccise in Iran e 24 in Israele. Nonostante i morti, i funzionari israeliani continuano a sostenere che gli attacchi contro gli impianti nucleari e le strutture militari in Iran erano necessari. Ai cittadini di Israele sono state offerte varie giustificazioni, ma nessuna riguarda i veri motivi per cui il governo di Benjamin Netanyahu ha deciso di sferrare un attacco unilaterale e non provocato.
|
|
Podcast | |
Questo articolo si può ascoltare nel podcast di Internazionale A voce.
È disponibile ogni venerdì nell’app di Internazionale e su internazionale.it/podcast
|
|
Si sostiene che l’attacco è stato “preventivo”, per affrontare la minaccia immediata e inevitabile rappresentata da un Iran armato di bomba atomica. Ma non sembrano esserci prove a sostegno di quest’affermazione. L’offensiva israeliana era stata pianificata a lungo e meticolosamente. Un attacco preventivo implica un’autodifesa, che a sua volta deriva da un’emergenza. Ma non sembra questo il caso. Per Israele l’emergenza è rappresentata da un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) pubblicato il 12 giugno, che condanna Teheran per aver violato il Trattato di non proliferazione nucleare. Ma l’Aiea non la considera un’emergenza: nel rapporto non c’è scritto nulla che non fosse già noto alle parti interessate.
Tel Aviv ha dichiarato di voler “decapitare” il programma nucleare iraniano. Tuttavia studiosi e politici concordano sul fatto che Israele non è in grado di farlo, certo non da solo. E il tipo di campagna militare che ha condotto finora sembra indicare che non ha mai avuto l’intenzione di spazzare via le attività nucleari iraniane. L’aviazione israeliana bombarda obiettivi militari e governativi, dalle basi missilistiche ai giacimenti di gas, compreso un deposito di petrolio. Ha anche commesso una serie di omicidi di alti ufficiali iraniani. Tra questi ci sarebbe anche Ali Shamkhani, ex ministro della difesa, consigliere dell’ayatollah Ali Khamenei e figura chiave, secondo diversi resoconti, nei negoziati degli ultimi mesi con gli Stati Uniti. Ma i mezzi d’informazione iraniani e il governo di Teheran non hanno confermato la notizia.
Questi omicidi rispecchiano uno dei modi di agire preferiti da Israele, che spesso tenta di “eliminare” persone specifiche nella speranza di causare lo sgretolamento dei sistemi e delle istituzioni che comandano. La morte di Shamkhani può essere vista come un tentativo di sabotare i negoziati sul nucleare tra Iran e Stati Uniti. In ogni caso, le uccisioni sembrano indicare un piano per dimostrare all’Iran la forza di Israele a tutti i livelli.
Teoria sbagliata
Un altro punto riguarda la volontà di avviare un “cambio di regime a Teheran”. Netanyahu l’ha dichiarato esplicitamente, invitando il “fiero popolo dell’Iran” a combattere per “liberarsi da un regime malvagio e oppressivo”. Tuttavia, pensare che gli iraniani asseconderanno Israele mentre li bombarda è come credere che se Israele affama e stermina i palestinesi di Gaza loro finiranno per ribellarsi a Hamas. Anche se così fosse, supporre che tutti gli iraniani stessero aspettando un attacco israeliano per mobilitarsi contro il regime dimostra una scarsa comprensione delle forze che guidano la politica in quel paese. Molti iraniani si oppongono alla Repubblica islamica, ma tanti altri, di ogni orientamento politico, sono convintamente “patrioti”, pronti a sostenere la sovranità e l’indipendenza nazionale contro le ingerenze esterne.
Molti israeliani che si considerano irriducibili oppositori di Netanyahu – tra cui anche deputati dell’“opposizione” – sono scattati sull’attenti quand’è cominciato l’attacco e ora appoggiano con forza il governo. Allo stesso modo molti oppositori della Repubblica islamica si stanno mobilitando per denunciare la sovranità violata dell’Iran. Affermare che Israele con i suoi attacchi starebbe “preparando il terreno” di una rivolta popolare è, nella migliore delle ipotesi, una cinica manipolazione.
Israele non ha colpito l’Iran per queste ragioni. Quindi perché l’ha fatto? In piena campagna genocida a Gaza, Netanyahu sa bene che il suo governo sta esaurendo le opzioni. La comunità internazionale e gli alleati regionali hanno cominciato a criticarlo apertamente. Alcuni paesi si preparano ad attuare misure unilaterali, come riconoscere lo stato di Palestina. Sul premier israeliano pende un mandato d’arresto della Corte penale internazionale, e il parere della Corte internazionale di giustizia sull’illegalità dell’occupazione israeliana aspetta ancora di essere applicato. Israele e il suo esercito compiono continuamente massacri, li negano, poi si scopre che avevano mentito.
Senza dubbio Netanyahu aveva pianificato da anni l’attacco all’Iran, e aspettava solo il momento giusto, che è arrivato il 13 giugno. È un tentativo disperato di unire il mondo intorno a Israele, in un momento in cui ci si apprestava a negargli l’impunità assoluta di cui ha goduto fin dalla sua creazione.
L’Iran è considerato una minaccia da molte grandi potenze del nord del mondo. Invocando le solite giustificazioni – dalle promesse divine all’olocausto – Netanyahu sperava di far tornare tutto come prima, con Israele libero di fare ciò che vuole.
Questa è l’attuale definizione di “sicurezza” per Israele, il principio più sacro alla sua base. È la genesi all’apparenza apolitica della “israelianità”, un concetto consacrato integralmente alla supremazia ebraica, l’unico “vero” modo di assicurare l’incolumità degli ebrei. “Sicurezza” significa che Israele può uccidere chi vuole, dove vuole e quando vuole, senza pagarne il prezzo. Questa “sicurezza” ha motivato le azioni di Israele a Gaza e nello Yemen, in Libano e in Siria, e oggi in Iran. Questo “regime di sicurezza” deve poter espandersi continuamente, senza fermarsi mai. Colpendo l’Iran, Netanyahu ha giocato il tutto per tutto, avanzando la pretesa di un’impunità totale e assoluta per il suo paese e per sé, all’Aja e nei tribunali nazionali.
Riuscirà a salvarsi? L’opinione pubblica israeliana lo perdonerà per i suoi fallimenti e per le orrende violazioni dei diritti a Gaza? A giudicare dal senso di giubilo che pervade il dibattito pubblico israeliano, sembra di sì. Le lunghe code davanti ai negozi, dalle ferramenta agli alimentari, dimostrano che gli israeliani sono entrati in modalità sopravvivenza. Una popolazione docile può essere un bene per Netanyahu, ma è un pessimo segnale per qualunque tentativo di costruire e difendere una società solida. ◆ fdl
Iscriviti a Mediorientale
|
Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Mediorientale
|
Iscriviti |
Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
|
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1619 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati