La mattina del 23 giugno un attacco aereo israeliano ha colpito l’ingresso del carcere di Evin, danneggiando alcune parti della struttura, tra cui la sezione politica femminile in cui ho trascorso più di cinque anni. Nel carcere sono detenuti molti prigionieri politici e oppositori della Repubblica islamica. Pare che nessuno sappia cosa è successo a queste persone.

Da quando sono cominciati i bombardamenti sull’Iran il 13 giugno ho evitato le notizie e le richieste di interviste. Ero troppo triste. Poi ho saputo di Evin. Le mie mani si sono gelate e ho sentito un brivido lungo la schiena. Ho contattato le mie ex compagne di cella, che oggi sono libere, per chiedere se avessero informazioni. Erano inorridite e spaventate come me. Abbiamo provato a contattare alcune famiglie di prigionieri, ma è stato impossibile. Un soffitto era collassato, c’erano notizie di feriti e famiglie che gridavano fuori delle mura. Nel frattempo l’Iran ha avviato un giro di vite ancora più pesante sui civili, bloccando le connessioni internet e facendo altri arresti. Ho passato giornate intorpidita dal senso d’impotenza e dallo sdegno.

Nessuna via di scampo

Mentre ero in carcere ci sono stati due terremoti. Le scosse hanno fatto saltare l’elettricità e dovevamo stare sedute al buio. Le candele erano vietate e i generatori di emergenza raramente funzionavano. È stato terribile. Alcune donne pregavano insieme, altre restavano in un silenzio ossessivo. Sentivamo di non avere scampo. I detenuti non sono una priorità per il mondo esterno quando succedono i disastri, ma quelle vite contano per i loro cari.

Guardare le porte della prigione saltare in aria è stato surreale. Ho attraversato quel cancello molte volte, quando mi portavano in tribunale o in ospedale, e ho sempre sognato il giorno in cui finalmente si sarebbe aperto e tutti i prigionieri sarebbero stati liberati da quel luogo di oppressione. Vedere quei cancelli abbattuti potrebbe sembrare un atto simbolico ai giornalisti di luoghi lontani. Ma non credo che chi era dentro si sia sentito più al sicuro. Anzi, l’attacco ha ucciso diverse persone. Sembra che la stretta repressiva delle autorità iraniane, decise a riaffermare il loro controllo, sia appena cominciata. Gli iraniani hanno subìto decenni di crimini dalla Repubblica islamica, che ha violato i diritti umani basilari, ha incarcerato migliaia di persone ed eseguito le condanne a morte di chi si è difeso. Molte di quelle persone sono a Evin.

Nel 2022 ho provato una sensazione simile quando Evin era stata incendiata poco dopo la mia liberazione. Non era gioia, ma paura. Cercavo disperatamente di ottenere notizie delle mie amiche detenute, terrorizzata all’idea che potesse succedergli qualcosa di terribile. Molti miei familiari e amici ora provano la stessa paura, mentre assistiamo ai giochi di governi di cui non ci fidiamo e alle dimostrazioni di forza che mettono a tacere la difesa del diritto. Mentre l’Iran si sgretola, le persone vulnerabili sono quelle più esposte.

Per dodici giorni siamo state incollate ai telefoni, nella speranza che quello che vedevamo fosse solo un incubo. È cominciato come un bombardamento illegittimo di Israele, anche se a quanto pare nessuno l’ha definito così. Poi è degenerato con l’intervento degli Stati Uniti e la retorica del cambio di regime. L’estensione delle operazioni è stata sconcertante, anche per noi che abbiamo sofferto per mano del regime iraniano. Il silenzio della comunità internazionale è stato preoccupante.

Se c’è una cosa che mi ha insegnato Evin è che la libertà non si ottiene con le bombe e la brutalità né con astute trovate pubblicitarie a beneficio delle telecamere. La libertà sta nei rapporti umani e nell’empatia. Le persone in Iran, in tutto il Medio Oriente – in carcere e fuori – oggi avrebbero bisogno che ce ne fosse un po’ di più. ◆ fdl

Nazanin Zaghari-Ratcliffe ha la doppia nazionalità iraniana e britannica.È stata arrestata mentre era in Iran nel 2016 con l’accusa di aver cercato di rovesciare il governo, cosa che ha sempre negato. Detenuta in Iran per quasi sei anni,è stata liberata il 16 marzo 2022.

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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati