Il pino vive in simbiosi con gli italiani da millenni e gli dà pinoli, ombra, passeri cinguettanti e pigne da ardere. Arricchisce il paesaggio con la bella forma della sua chioma, che può ricordare un ombrello aperto.

Quando Plinio il Giovane descrisse in una lettera l’eruzione del Vesuvio, che quasi duemila anni fa seppellì Pompei, si servì di questa pianta come metafora. “Come da un tronco enorme la nube svettò nel cielo alto e si dilatava e quasi metteva rami”. Nel 1924 Ottorino Respighi dedicò a questa pianta un poema sinfonico, I pini di Roma. In quattro movimenti, il compositore italiano celebrò i pini della città eterna: nel parco di villa Borghese, accanto a una catacomba, sul Gianicolo e sulla via Appia. Benché sia diffuso in tutta l’area mediterranea, il legame con l’Italia è riconosciuto nel nome attribuito al pino in altri paesi. I tedeschi lo chiamano Italienische Steinkiefer, mentre la definizione inglese è Italian stone pine. Se dovessimo scegliere un simbolo per l’Italia, il pino sarebbe indubbiamente ai primi posti. Si può nascere e morire sotto lo stesso albero, che può raggiungere un’età di 250 anni. Gli esemplari più vecchi hanno più anni dello stato italiano.

Purtroppo ora nella sua corteccia squamata è entrato un insetto. Non si fa notare in modo particolare, ma la cocciniglia tartaruga, Toumeyella parvicornis, arrivata qualche anno fa probabilmente in un carico di piante da vaso importate, rappresenta una minaccia per la storia millenaria dei pini e potrebbe cambiare per sempre il volto dell’Italia.

Usare il veleno

Questo parassita si sposta con il vento e succhia la linfa dei pini, lasciando sugli aghi uno strato di melata che inibisce la fotosintesi e favorisce la proliferazione di muffe. In molti casi, gli alberi indeboliti finiscono per morire. Il danno interessa soprattutto il pino domestico, Pinus pinea, ma anche il più elegante pino marittimo, Pinus pinaster, e il meno diffuso pino d’Aleppo, Pinus halepensis. Il fenomeno interessa anche le pinete americane e canadesi, da dove proviene il parassita, ma da quelle parti gli effetti nocivi sono frenati dagli inverni freddi e da altri insetti predatori. L’Italia, invece, si presenta piuttosto indifesa all’avanzata di questo parassita. Spaventano le testimonianze di altre aree del mondo dove ha attecchito la cocciniglia tartaruga: a Puerto Rico e alle isole Turks e Caicos, per esempio, ha praticamente estirpato la specie autoctona Pinus caribaea var. bahamensis.

I primi casi della “peste dei pini” sono stati registrati nel 2014 in Campania, vicino a Napoli. Quattro anni dopo la cocciniglia tartaruga è stata rilevata a Roma, dove attualmente estrae le sostanze grasse dal patrimonio di oltre un milione di pini. È partita nelle zone sudorientali, in quartieri come Eur, Torrino e Mostacciano, e nel 2019 si era diffusa in quasi tutta la città, fino ad arrivare alla pineta di Castelfusano, alla foce del Tevere. Si stima che oggi colpisca l’80 per cento dei pini di Roma. Gli effetti distruttivi non sono ancora visibili nei principali parchi monumentali come villa Borghese e villa Pamphilj, ma secondo gli esperti è solo una questione di tempo.

“Roma ha un patrimonio in pini di enorme valore storico culturale e ambientale. E quindi questo insetto, se non contrastato, creerà molti problemi, legati alla sua rapidissima diffusione”, ha dichiarato il dottore forestale e agronomo Pierfrancesco Malandrino a Fanpage.it.

All’inizio le autorità hanno temporeggiato di fronte al problema e solo nel marzo di quest’anno è stato dato il via all’uso sperimentale e temporaneo di uno speciale veleno a base dell’insetticida abamectina. Iniettato nei tronchi, viene assorbito dai parassiti insieme alla linfa e li uccide. Sono stati fatti altri tentativi, per esempio mettendo delle coccinelle nella speranza che si sarebbero cibate di questa nuova pietanza esotica. Allo stato attuale, però, si sono ottenuti effetti tangibili solo con il veleno. Il trattamento costa intorno ai 50 euro per albero e secondo gli agronomi è probabile che debba essere ripetuto. Solo per il primo trattamento protettivo di tutti gli alberi della capitale il conto finale si aggirerà sui 50 milioni di euro.

Il comune di Roma, in perenne crisi economica e oberato da altri problemi, ha stanziato la modica somma di 350mila euro, che secondo l’amministrazione sarebbe sufficiente per trattare metà degli alberi di sua proprietà. Inoltre, l’autorizzazione al trattamento con il preparato a base di abamectina è scaduta alla fine di agosto. Con questi tempi e con questi soldi si possono forse salvare i pini più monumentali di Roma, ma la stragrande maggioranza degli esemplari sarà abbandonata a se stessa nella lotta contro la cocciniglia tartaruga. Il timore di perdere un gran numero dei pini romani ha dato origine alle proteste dei cittadini preoccupati e di Italia Nostra, un’associazione impegnata nella tutela dei valori culturali, artistici e naturali del paese.

Non c’è tempo da perdere

In un video pubblicato sul sito di Repubblica, l’architetto del paesaggio Michele Ricceri mostra una pineta parzialmente seccata, e definisce la situazione “catastrofica”. “Le piante si sono seccate e diventeranno un pericolo. L’unica cosa da fare è abbatterle e ricominciare a piantarle, altrimenti sarà il deserto. Se non si ripianteranno delle giovani piante non esisterà più la pineta, che forniva un microclima e anche protezione per la fauna. Noi non vedremo più la pineta, ma forse i nostri nipoti, sì” dice.

Tutto dipenderà dagli interventi nei prossimi anni. Non c’è tempo da perdere, se si vuole salvare il volto verde di Roma. Potrebbe sembrare una lotta persa in partenza, non solo a Roma. La peste dei pini si è diffusa anche a sud dell’area di prima infestazione, nelle vicinanze del lago Patria, a nord di Napoli, e ha raggiunto Salerno. Ci si può aspettare che la cocciniglia tartaruga continui a espandersi a nord della capitale, finché troverà pini dove attecchire.

Il pino è la seconda specie arborea italiana colpita in pochi anni da un nemico invasivo. In passato gli olivi pugliesi sono stati attaccati dal batterio Xylella fastidiosa, anche lui probabilmente arrivato in Italia con piante da vaso importate. Questo parassita uccide gli alberi, abbattendo la produzione di olio d’oliva, uno dei principali prodotti agricoli della regione. Gli olivi continuano a morire, mentre il tappeto verde che copre la regione è sempre più bucherellato. E tutto per un paio di carichi di piante da vaso. “È la globalizzazione, baby”, avrebbe forse detto Humphrey Bogart. ◆ lv

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati