Il negoziante ci tiene subito a rassicurarmi: non ha mai toccato una di quelle piante. E non è un ladro né un bugiardo. Poi mi chiede se per caso io sia una specie di spia. Magari mi hanno mandata i cinesi. O forse è stato lui in persona. Comunque sia, Rastaman mi assicura di non aver mai raccolto più di quanto gli servisse per mettere qualcosa da mangiare in tavola, esattamente come facevano i suoi antenati su queste colline sacre.

È vero, sa un bel po’ di cose sul traffico di piante rare, ma la conoscenza non è un reato. Se il caldo del suo umile negozio non mi dà troppo fastidio, potrà confidarmi alcune verità su queste piante misteriose. È una storia lunga, ma non troppo. Può condividere i dettagli che conosce e che, spiega, sono poca cosa. Tanto per cominciare, lui non capisce neppure perché qualcuno dovrebbe desiderarle.

La verità è che quelle piante hanno sconvolto la sua vita e quella di molti altri “fratelli” a Springbok, nella provincia del Capo Settentrionale, in Sudafrica. È per colpa loro se una sonnolenta cittadina di tredicimila abitanti, nella fascia arida di territorio che si dipana lungo la costa occidentale del paese, oggi è al centro di un’epidemia globale di traffici illeciti e raccolta di frodo di piante.

“Perché il conofito è così speciale? Vorrei saperlo anch’io, amica”, dice il negoziante, agitando i suoi dread­lock dai riflessi ramati. Poi guarda fuori dalla porta del suo negozio di erbe medicinali, oltre la strada principale con le vetrine dei negozi sprangate, verso il veld, la prateria sudafricana, come se la risposta si potesse trovare nelle terre selvagge là fuori, dove crescono i conofiti.

In natura o in vivaio

Dal punto di vista biologico la risposta alla sua domanda è abbastanza semplice. I conofiti sono piante succulente, tra le più insolite sul pianeta. Impiegano cinque anni per raggiungere la maturità, con dimensioni che vanno da quelle di una capocchia di spillo a quelle di una moneta. Le loro minuscole membra rigonfie d’acqua assumono forme psichedeliche che starebbero benissimo in un film di Miyazaki.

Osservando un conofito in fioritura è impossibile non rimanere stupiti dalla complessità della natura. Il Conophytum burgeri è una delle varietà conosciute come “sassi viventi”. Dopo le piogge invernali si libera di un sottile strato di pelle dalla consistenza quasi cartacea e assume un aspetto traslucido e gelatinoso. Altre specie sono note come “gnocchetti”, “piante a bottone” o waterblasies, “vesciche d’acqua” in lingua afrikaans. Il C. maughanii produce un unico fiore dall’aspetto selvatico racchiuso tra due minuscole labbra che sembrano avere l’aria imbronciata. Il C. concavum è particolarmente ricercato perché ricorda una pesca in miniatura. E poi c’è il C. minimum wittebergense, che – come ha scritto in modo memorabile un utente di Reddit – somiglia a un “bouquet di bulbi oculari”.

Molte piante succulente crescono vicino a rocce di quarzo bianco. (Sydelle Willow Smith)

In natura i conofiti crescono solo nelle pianure delle province sudafricane del Capo e nelle dune del deserto del Kalahari, nella vicina Namibia. L’ambiente ostile ne ha fatto delle meraviglie di adattamento. Molte specie sono così legate a un particolare territorio che si possono trovare solo in una determinata tenuta agricola, collina o parete rocciosa. In tutto il mondo tutte le piante succulente ornamentali sono al centro di traffici illegali. Ma la raccolta di frodo – un mercato stimato in 8,2 miliardi di sterline (circa 9,5 miliardi di euro) – riguarda soprattutto i conofiti. Il fatto che in molti casi queste piante rare crescano in luoghi remoti le rende estremamente ricercate dai collezionisti, sempre interessati a scoprire nuovi esemplari esotici. Questo dettaglio, unito alle loro dimensioni ridotte, che le rendono facilmente trasportabili, le ha fatte diventare una delle specie più trafficate del pianeta.

La stragrande maggioranza dei conofiti raccolti illegalmente finisce nei paesi dell’Asia orientale, dove sono diventati uno status symbol e chi le possiede pubblica le loro foto sui social media. La frenetica ricerca di queste succulente è paragonabile alla mania per i Pokémon o alla bolla delle criptovalute.

Dal 2023 più di un milione e mezzo di piante succulente sono state estirpate dal suolo del Sudafrica, che ospita un terzo di tutte le specie conosciute. Il 45 per cento oggi è a rischio estinzione. Gli scienziati sono talmente preoccupati che hanno rinunciato alla secolare tradizione di chiamare le specie appena scoperte con il nome della località in cui sono state trovate. Visto che i raccoglitori di frodo prendono informazioni da tv e giornali, in questo articolo abbiamo omesso i dettagli sui prezzi e i luoghi in cui crescono i conofiti. La distruzione dell’ambiente, tuttavia, non si limita ai conofiti, spiega Ismail Ebrahim, direttore di un programma sulla tutela delle piante selvatiche in via di estinzione presso il South african national biodiversity institute (Sanbi) di Pretoria. “Queste regioni sono molto secche, e gli ecosistemi sono estremamente complessi e fragili, a causa dell’interdipendenza tra le specie. Quando ne scompare una non si può sapere quante altre andranno perdute”.

Rastaman è d’accordo, anche se in passato è stato denunciato per la raccolta di frodo di conofiti. Fa solo una piccola obiezione su chi sia da considerare il vero responsabile del disastro ecologico in corso. In cima alla sua lista ci sono i compratori, gli intermediari e i funzionari corrotti. “Rubano la nostra magia e adesso vogliono mettere noi in carcere per questo”, dice.

Di chi è la colpa?

Nei pochi giorni che abbiamo trascorso insieme nel 2024 il negoziante mi ha raccontato una storia che solo all’apparenza riguardava un’insignificante faida di provincia. Anche se mi era stato riportato in modo confuso, contorto e molto personale, il racconto coincideva perfettamente con quanto in seguito mi hanno confidato vari esperti di traffico di conofiti, un commercio che sta letteralmente trasformando la faccia della Terra.

Guidiamo per chilometri sotto un cielo sterminato, colorato di un blu assoluto, inseguendo la tenue linea sfumata dell’orizzonte

La storia offre una testimonianza di quello che succede quando la sfida per salvare una specie si scontra con la realtà di un paese in cui una persona su tre non ha lavoro. E rivela l’oscena frivolezza del nostro presente, in cui un intero ecosistema può essere messo in pericolo da una mania scoppiata su internet.

Il negoziante con cui ho parlato è conosciuto come Rastaman, perché per quanto si possa ricordare è sempre stato vestito da capo a piedi con dei sacchi di iuta cuciti tra loro, e ha sempre portato i dreadlock. Ha rinunciato a indossare abiti decenni fa, quando da adolescente entrò a far parte dei sakmanne, che in afrikaans significa “la gente del saio”. I sakmanne seguono una corrente del rastafarianesimo influenzata dalle tradizioni delle popolazioni indigene sudafricane dei khoikhoi e dei san. Rastaman ha occhi penetranti incastonati in un volto abbronzatissimo. Cammina scalzo, fuma erba in abbondanza e cerca di vivere dei frutti della terra.

Quando l’ho incontrato, una mattina di fine gennaio del 2024, la giornata prometteva di essere lunga, afosa e monotona. Come sempre. Tra un cliente e l’altro Rastaman si rollava un’infinità di canne su un pezzo di cartone tenuto in equilibrio sulle ginocchia. Lavorava in modo metodico, alzando di tanto in tanto lo sguardo verso l’ingresso. “Bisogna stare attenti”, mi ha spiegato. “Se qualcuno entra facendo strane domande, io rispondo sempre così: ‘Tu! So chi ti ha mandato!’. E lo caccio fuori”. Poi ha sbuffato un anello di fumo e l’ha osservato mentre si avvinghiava al ventilatore guasto sul soffitto.

Stando al racconto di Rastaman, l’uomo che mandava le spie nel suo negozio era una figura di spicco della lotta ai cartelli internazionali del traffico di succulente: la nemesi personale di Rastaman, un personaggio a quanto pare tenacemente determinato a ostacolare le sue ambizioni commerciali.

A un certo punto, verso la terza canna, è entrato un suo amico e si è accomodato su una sedia. Quando la conversazione si è spostata sui conofiti ha annuito con la testa. “Tutti vogliono sopravvivere”, ha detto l’amico. Poi ha indicato un ragazzo che dormiva su un divano logoro dall’altra parte della stanza e mi ha spiegato che aveva appena scontato una condanna in carcere dopo essere stato beccato a raccogliere conofiti per alcuni stranieri che lo avevano contattato su Facebook. “Un giorno ti arriva un messaggio sul telefono che ti dice che puoi guadagnare ottomila o diecimila rand (tra 380 e 480 euro). Un uomo ti contatta e ti manda una foto. E tu pensi: ‘Che faccio, non ci vado nel deserto per una foto?’. Una foto! Diecimila rand! Di chi è la colpa in una situazione del genere?”.

“La povertà è un crimine”, ha commentato Rastaman con un cenno di approvazione.

Come nasce una bolla

I primi conofiti in vaso sono finiti in vendita su eBay circa quindici anni fa. Negli annunci non c’era niente di strano. I conofiti sono coltivati legalmente da decenni. Ma visto che hanno un lungo “periodo di dormienza”, durante il quale potrebbero sembrare morti, a lungo sono stati considerati delle piante di nicchia nella comunità dei collezionisti, d’interesse per pochi appassionati.

Steve Hammer, da cui prende il nome il minuscolo C. hammeri, grande quanto un’unghia, è una delle massime autorità nel campo delle succulente sudafricane e gestisce il più famoso vivaio legale di piante grasse del mondo, che ha sede in California.

All’inizio, ci spiega, lo zoccolo duro dei suoi clienti interessati ai conofiti consisteva “più o meno in una trentina di persone, disposte ad aspettare dai tre ai cinque anni per la maturazione delle piante”. Poi, nel 2015, sono improvvisamente arrivati migliaia di ordini da compratori cinesi che volevano tutti lo stesso conofito adulto: il C. pageae. “Così una specie piccola e carina che in negozio si vendeva a cinque dollari è arrivata a costarne anche cento o duecento”, ricorda Hammer.

La raccolta dei conofiti era vietata dagli anni settanta e i collezionisti, in gran parte statunitensi e dell’Europa dell’est, tenevano un basso profilo

Più o meno nello stesso periodo i ricercatori hanno osservato una tendenza simile online. “All’improvviso gli acquirenti offrivano cifre astronomiche, a volte migliaia di sterline, per una singola pianta”, racconta Andrew Young, professore di scienze botaniche applicate all’Università John Moores di Liverpool, nel Regno Unito, che ha contribuito a scoprire e a descrivere alcune nuove specie di succulente. “C’era chi offriva prezzi assurdi per piante relativamente facili da trovare, che si coltivano da decenni”.

Anche in Sudafrica qualcuno si era accorto del fenomeno. La raccolta dei conofiti era vietata dagli anni settanta e i collezionisti, in gran parte statunitensi e dell’Europa dell’est, tenevano un basso profilo: quando arrivavano nel paese si mettevano alla ricerca di guide locali che li portassero nei posti remoti in cui crescevano le piante. Ogni tanto qualcuno veniva sorpreso mentre cercava di spedirne un paio a casa con un corriere del posto.

“All’inizio gli arresti erano rari”, spiega Dominique Prinsloo, che lavora per Traffic, un’organizzazione per la tutela dell’ambiente. “Ma poi abbiamo cominciato a confiscare centinaia, se non migliaia, di piante”.

Nel 2015 una coppia spagnola, che in teoria si trovava nel paese per turismo, è stata arrestata con quattordici scatole di cartone piene di conofiti a rischio di estinzione. Quattro anni dopo un acquirente cinese noto come “Doctor Flower” ha ricevuto una multa di 150mila rand (circa settemila euro) per aver raccolto illegalmente dei conofiti. Nel 2020 due cittadini sudcoreani sono stati fermati con più di sessantamila piantine. Uno dei due era ricercato negli Stati Uniti per aver trafugato dalla California degli esemplari di Dudleya farinosa, un altro tipo di succulenta, per un valore totale di mezzo milione di dollari. Le forze dell’ordine, messe a dura prova dalla portata del fenomeno, hanno cercato di indagare i motivi dell’esplosione della domanda. Una piccola squadra di ricercatori dell’orto botanico nazionale Kirstenbosch di Città del Capo ha cominciato a fare gli straordinari per monitorare il commercio illegale dei conofiti. Intanto i biologi conservazionisti di tutto il paese faticavano a gestire e a trovare una collocazione alle circa tremila piante confiscate che ogni settimana avevano bisogno di essere rinvasate.

Alcuni conofiti crescono in aree così ridotte che un raccoglitore illegale potrebbe distruggerne l’intera popolazione con appena un paio di visite. “Alcuni usavano le scope e ripulivano letteralmente intere aree”, racconta Ebrahim. I bottini sempre più abbondanti hanno rivelato un’ulteriore sorpresa. “I raccoglitori di frodo trovavano tipi di piante che nemmeno noi conoscevamo”, spiega Young, dell’università John Moores.

In parte i motivi per cui è difficile proteggere queste piante sono di tipo logistico. Gran parte del karoo (la “terra della sete” nella lingua dei khoisan, in cui crescono le succulente) è un territorio selvaggio, che comprende terreni impervi e fattorie private. Le strade sono spesso chiuse da cancelli o impraticabili. “Senza contare che trovare i conofiti può essere molto difficile, perché diverse specie in natura sono sotterranee. Bisogna cercare per ore per veder spuntare dal terreno le punte delle foglie, che sono della dimensione di uno spillo”, dice Ebrahim.

Un altro fattore che ha contribuit0 a far esplodere questo commercio è stata la pandemia di covid-19. Costrette a rimanere chiuse in casa, milioni di persone in tutto il mondo si sono dedicate agli acquisti online e al collezionismo di piante da appartamento, pubblicando le foto di quelle più esotiche e rare sui social media. Non potendo viaggiare, i collezionisti hanno escogitato una soluzione semplice, anche se basata sullo sfruttamento di popolazioni lontane: assoldare abitanti del posto per la raccolta delle piante. In Sudafrica, la cui economia era stata duramente colpita dalla pandemia, per molti è stata una manna dal cielo.

Alla fine del 2021 le organizzazioni sudafricane per la tutela dell’ambiente avevano confiscato più di 300mila succulente, ma stimavano che fossero appena un quarto del bottino. Alcuni ricercatori ritengono che il mercato delle succulente oggi sia più esteso di quello dei corni di rinoceronte, e che sia controllato da boss della criminalità organizzata con ramificazioni fino all’Asia.

Prinsloo racconta di essere rimasta scioccata quando nel 2023 in una retata sono stati trovati più di quarantamila esemplari di conofiti in una casa a Città del Capo. Le piante, catalogate ed etichettate, erano pronte per essere spedite all’estero. “È stato un punto di svolta, se non altro per il numero impressionante di esemplari confiscati”, dice. “Mi sono resa conto che stava succedendo qualcosa di sconvolgente”.

Una sera di maggio ho ricevuto un messaggio criptico da Rastaman: “Un noto capitano di polizia di Springbok è stato arrestato”

Rastaman racconta

Avvolto da spirali di fumo, con un occhio sempre puntato sulla porta, Rastaman mi ha raccontato la sua storia. Anni fa c’era un “uomo bianco, alto” che conosceva la prateria quasi quanto la gente del posto.

Conosceva tutte le piante e tutti gli animali perché li aveva studiati all’università. Aveva “un tipo di conoscenza molto diversa dalla nostra, ma era comunque molto esperto”, ha detto Rastaman. L’uomo portava i turisti a osservare la meravigliosa flora del luogo. Ma secondo Rastaman alcuni di quei turisti erano in realtà collezionisti di piante in cerca di conofiti. Una volta arrivati nella prateria, provavano a coglierne qualcuno di nascosto per riportarlo a casa. Poi tornavano nel loro paese e lo raccontavano agli altri. Così si è sparsa la voce.

A un certo punto, però, circa cinque anni fa, l’interesse per le succulente ornamentali si è allargato oltre la cerchia dei collezionisti. E alcuni grandi acquirenti, soprattutto dalla Cina e dalla Corea del Sud, hanno cercato di entrare nel mercato. Così hanno contattato “l’uomo bianco”, che ben presto non è riuscito più a soddisfare le loro richieste. “Gli chiedevano di andare a cercare i conofiti in aree troppo estese”, ha continuato Rastaman. Il passo successivo è stato che i compratori hanno cominciato a rivolgersi a raccoglitori di frodo locali, contattandoli direttamente sui social media.

Questo ha fatto infuriare l’uomo bianco, spiega Rastaman. Il quale, secondo il negoziante, a quel punto avrebbe dovuto cominciare a chiedere l’aiuto degli abitanti del posto. Invece, si è messo ad arrestarli. In fondo quell’uomo non era altri che il famoso “detective dei fiori” di Spring­bok: il capitano Karel du Toit, quattro volte ispettore dell’anno della polizia della provincia del Capo Settentrionale. Du Toit, con il suo fisico imponente e la presenza imperiosa, era osannato dagli ambientalisti per aver dato implacabilmente la caccia ai trafficanti durante il suo mandato da comandante dell’unità incaricata di indagare sui furti di bestiame.

A voler dar credito alle parole di Rastaman, du Toit si era dato una nuova missione: distruggerlo. Era una specie di gioco del gatto e del topo, con Rastaman ormai convinto che per incastrarlo il poliziotto inviasse nel suo negozio degli agenti che si fingevano acquirenti. Ovviamente il negoziante sottolinea di non essere mai stato un trafficante.

Qualche dubbio l’avevo anche io, ma la mia domanda principale era un’altra: se Rastaman non era un raccoglitore di frodo, perché un noto capitano della polizia, presumibilmente già oberato di lavoro, avrebbe dovuto dedicare tutto quel tempo a dargli la caccia? La risposta definitiva l’avrei avuta nei giorni successivi trascorsi insieme, ma per il momento Rastaman ne aveva una più semplice: “Du Toit vuole indurmi in tentazione”.

Diamanti verdi

Al di là delle dispute personali in questa valle, dove ogni tre isolati c’è un negozio di alcolici e il tasso di disoccupazione è del 43 per cento, c’erano diverse strade capaci di portare alla perdizione. Si poteva spacciare droga ai poveri e ai senzatetto, per esempio. Oppure unirsi alle migliaia di zama zama (“quelli che tentano la fortuna” in zulu) armati di vanga e andare a scavare nelle miniere di diamanti abbandonate e allagate intorno alle quali un tempo prosperava la città. Un’altra opzione erano i traffici al servizio dei grandi cartelli: il commercio degli abalone, molluschi marini molto ricercati, dei rettili o delle auto rubate.

Negli ultimi anni centinaia di persone avevano cominciato a trafficare i “diamanti verdi”, come vengono chiamati i conofiti. Quel commercio illegale era il più adatto a chi cercava guadagni facili. Far crescere i conofiti in un vivaio è relativamente semplice per i coltivatori esperti, ma le piante crescono lentamente. Una vivaista della provincia del Capo Occidentale mi ha raccontato di aver smesso di venderli quando i compratori stranieri hanno cominciato a fare ordini massicci a ritmi impossibili da soddisfare.

Anche quando il loro valore sul mercato ha cominciato a crescere vertiginosamente, gli abitanti di Springbok hanno continuato a ignorare queste piante. Alcune crescevano sulle rocce intorno alla città, dove si ritrovavano gli adolescenti per ubriacarsi dopo la scuola. Altre più lontano, nel deserto. Ma nessuno le aveva mai degnate di attenzione. Come gli altri, anche Rastaman era stupito da questa esplosione di interesse. “Non sappiamo se questa roba si può mangiare o a cosa serve. Potrebbero anche dircelo…”, ha bofonchiato mentre digitava su Google: “A cosa serve il conophytum?”. Dopo aver consultato dei vecchi blog di biologi e appassionati di piante, alla fine si è girato verso di me dicendo: “Beh, almeno servono a produrre ossigeno”.

Esemplare sequestrato dalla polizia sudafricana di Conophytum pageae (Sydelle Willow Smith)

Per avere delle risposte un po’ più elaborate, sarebbe stato necessario un giro nella prateria.

Circa un miliardo di anni fa due placche continentali si scontarono e la Terra eruttò le sue viscere sotto forma di una serie di spettacolari affioramenti rocciosi oggi noti come complesso metamorfico Namaqua. Pochi posti al mondo hanno un aspetto paragonabile a questa cintura orogenica che si estende dal sud della Namibia fino a Durban. Tra qualche milione di anni, dicono i geologi, l’Himalaya avrà più o meno quell’aspetto. È uno dei luoghi con la più alta concentrazione di biodiversità al mondo. Dopo le piogge invernali, le pianure polverose si trasformano in un caleidoscopio di fiori selvatici. Delle oltre seimila specie vegetali che crescono in quest’area, il 40 per cento non esiste altrove.

È qui che Rastaman svolge gran parte del suo lavoro. Trascorre le giornate raccogliendo il buchu, un’erba profumata usate per le tisane, e l’aglio di montagna, le carote rosse e le foglie e i rami dell’Aloidendrum dichotomum (l’albero faretra), su montagne che s’innalzano e poi precipitano fino a perdersi nel deserto del Kalahari. Ci sono piante usate per curare l’asma, l’infertilità e i problemi alla cistifellea. Ultimamente Rastaman viene da queste parti per raccogliere la grasshout, usata per fare del sapone nero.

“Mi serve per allontanare la nuvola scura che aleggia su di me”, mi spiega, riferendosi alla sua faida con il capitano du Toit. Guarda caso, su molte di queste remote montagne crescono anche i conofiti. Mentre cerca le sue erbe, si offre di mostrarmi i punti in cui si trovano.

Partiamo subito dopo l’alba. Intorno a noi si estende un deserto mozzafiato. Questo paesaggio è uno dei motivi del fascino esercitato dai conofiti selvatici sui collezionisti. Perché una pianta scolpita dalla natura è più grezza, più mutevole di una cresciuta nell’ambiente controllato di un vivaio. Guidiamo per chilometri sotto un cielo sterminato, colorato di un blu assoluto, inseguendo la tenue linea sfumata dell’orizzonte, finché improvvisamente davanti a noi prende forma la visione molto concreta di un posto di blocco di polizia.

Esemplare sequestrato dalla polizia sudafricana di C. pageae (Sydelle Willow Smith)

Un agente panciuto si avvicina lentamente e bussa al mio finestrino. Con un sorriso amichevole mi chiede dove stiamo andando.

“La porto a vedere dove si trovano i cono”, risponde Rastaman, visibilmente irritato. Il poliziotto ha un sussulto. Un fremito attraversa l’aria. Almeno altri quattro agenti circondano l’auto.

Cono? Cono?”, dice uno di loro, invitandoci a scendere dall’auto per poi andare di corsa a cercare il suo superiore. I toni si fanno accesi. Mi volto verso Rastaman, che agita furiosamente il sacco di tela che porta legato a un fianco. Un poliziotto si sporge e glielo strappa dalla cintura. “Sapete che ho il permesso”, grida Rastaman. “Dieci chili! Quanto pensate che possa portare questa piccola borsa? Qui c’è il mio pane e la mia ganja. Altro che conofiti!”.

Cala il silenzio. Vediamo avanzare verso di noi a grandi passi, con le spalle larghe e gli occhiali da sole sugli occhi, il capitano du Toit in persona. Mi tende la mano e fa un cenno con il capo a Rastaman, che lo guarda in cagnesco riprendendosi il suo sacchetto.

Senza meta

È da mesi che provo a parlare con du Toit. Le tre richieste d’incontrarlo presentate al suo comandante sono state rifiutate, compresa quella fatta appena ventiquattr’ore fa. Anche le richieste di risposte scritte sono cadute nel vuoto. Du Toit si scusa per non avermi potuto parlare. Gli ordini sono arrivati dall’alto. Io rispondo che è stato un peccato, ma aggiungo che Rastaman mi sta dando una grande mano. E gli spiego che stava proprio per mostrarmi dove si trovano i conofiti.

Esemplare sequestrato dalla polizia sudafricana di C. stevensjonesianum (Sydelle Willow Smith)

“Lui sa dove trovarli”, dice du Toit. Al che lo sguardo di Rastaman si fa ancora più torvo. Poi du Toit ci lascia passare.

Mentre proseguiamo lungo la strada, Rastaman comincia a raccontare una storia poco chiara a proposito di certi suoi trascorsi con la giustizia. Mi dice che una volta du Toit si è presentato al suo negozio chiedendo informazioni su una consegna di alcuni pacchi di cannabis. In Sudafrica la compravendita di marijuana è legale, ma a quanto pare la partita ricevuta da Rastaman superava il limite consentito, perciò du Toit ha perquisito il negozio in cerca di prove per incriminarlo. In un’altra occasione, continua Rastaman, du Toit lo ha accusato di essere coinvolto nel caso del sequestro di diversi conofiti dopo una perquisizione a un posto di blocco. Rastaman sostiene che non c’entrava nulla con la vicenda. Ormai ci sono sempre di mezzo “i cono, sempre e solo i cono”, si lamenta. “Quei pacchi contenevano ganja, non conofiti”, aggiunge.

Quell’arresto gli è costato caro. Ha avuto difficoltà a continuare a pagare l’affitto del negozio. E molte delle erbe medicinali che erano state sequestrate non gli sono mai state restituite. Due processi per possesso e traffico di piante illegali, nel dicembre 2023 e nel gennaio 2024, sono stati archiviati per mancanza di prove. Rastaman non sa se ci sarà un’altra udienza. Nel frattempo, sostiene, il capitano ha cercato più volte di incastrarlo come raccoglitore di frodo.

Arrivati a un certo punto l’asfalto finisce e cominciamo a guidare sulla sabbia. Qua e là ci sono vecchie strutture fatiscenti o in rovina, relitti dell’epoca in cui la zona faceva parte della regione di estrazione dei diamanti del Sudafrica. Poi dobbiamo procedere a piedi. Il passo di Rastaman è sempre spedito, anche quando ci arrampichiamo in salita su delle rocce scivolose. Ho quasi l’impressione che stiamo vagando senza una meta. E mi rendo conto che è impensabile sorvegliare efficacemente questo deserto.

Esemplare sequestrato dalla polizia sudafricana di C. praesectum (Sydelle Willow Smith)

Per trovare i conofiti, mi spiega Rastaman, bisogna accamparsi all’aperto. Quando cala la notte, per evitare posti di blocco o sguardi indiscreti, bisogna trovare un posticino poco lontano dalla strada. “Ti prepari e parti con lo zaino. Ti muovi prima dell’alba. E quando fa troppo caldo ti fermi”, dice Rastaman, prima di aggiungere che è necessario portare anche un po’ di marijuana e una tanica d’acqua da cinque litri. Di solito gli acquirenti esperti danno alla gente del posto istruzioni dettagliate su ciò che vogliono. Si basano su testi accademici e articoli di biologi, o metadati ricavati dalle foto pubblicate inconsapevolmente sui social media. Poi, usando Google maps, inviano le coordinate gps ai raccoglitori di frodo, e gli forniscono anche telefoni satellitari per restare in contatto.

Ma i conofiti sono piante piccolissime, sparse in territori estremamente estesi, e per trovarle servono anche altri indizi. Molte specie crescono intorno alle rocce di quarzo, perché questo minerale raffredda la zona circostante riflettendo la luce solare. “Lì, dov’è quella montagna, vedi quel punto bianco? Quello è quarzo”, mi spiega Rastaman. “Se c’è il quarzo, lì dev’esserci qualcosa”. Con un po’ di fortuna, aggiunge, potresti trovare una zona intatta. “Lì non c’è mai stato nessuno prima. Non succede spesso”. In altre parole, se trovassi una specie che non si trova facilmente sul mercato, potrei ottenere un prezzo più alto. Ovviamente Rastaman parla in via del tutto ipotetica.

Dopo quasi un’ora finalmente ci fermiamo. “Questo è il valico di montagna. I cono crescono su queste rocce”, dice Rastaman, indicando dei maestosi crepacci di fronte a noi. Non troviamo nulla, ma sulla strada del ritorno, attraversando gli spazi immensi della natura, la minaccia che incombe su queste minuscole piante diventa chiaramente percepibile.

Nel corso della loro esistenza gli esseri umani hanno sempre coltivato – e trafugato – piante. Alcuni furti di piante hanno addirittura cambiato il corso della storia, come quando nell’ottocento il botanico ed esploratore britannico Robert Fortune portò dalla Cina i semi del tè e le conoscenze su come usarli.

L’orchidea scomparsa

Il commercio online, tuttavia, ha completamente trasformato il mercato. Permettendo ai venditori di condividere informazioni rapidamente e di raggiungere gli acquirenti in tutto il mondo, ha scatenato quella che gli ambientalisti chiamano “estinzione alla velocità di internet”. Un esempio piuttosto noto di questo fenomeno è il caso delle orchidee chiamate Lady’s slipper. Nel 2009 in una remota regione di montagna del Vietnam è stata scoperta la Paphiopedilum canhii. La voce si è subito diffusa online e nel giro di poche settimane da ogni parte del mondo sono arrivati i raccoglitori di frodo. Sei mesi dopo, in natura il 99 per cento di quelle orchidee era scomparso.

Ranger cercano tracce della raccolta di frodo di piante succulente nella riserva naturale di Knersvlakte, Sudafrica, 1 febbraio 2021. (Tommy Trenchard, Panos)

Andrew Young sostiene che internet ha alimentato un modello di comportamento che lui aveva già osservato in altre epidemie di raccolta abusiva di piante. “Il fenomeno si è allargato da una cerchia molto ristretta di collezionisti a un pubblico nuovo e molto più vasto. Oggi è un caos, e ognuno fa quello che vuole”.

Controllare il mercato online è impossibile, come sorvegliare il deserto. Non ci sono linee guida internazionali accettate universalmente, e gli acquirenti in buona fede non sempre possono sapere se stanno comprando piante raccolte illegalmente.

Buona parte della domanda arriva dalla Corea del Sud, dove le piante sono diventate molto popolari in una generazione di persone che “lavorano con orari prolungati, vivono in spazi piccoli e in affitto, e spesso sono costretti a cambiare appartamento”, spiega Alison Hulme, studiosa esperta di Cina dell’Università di Northampton. Questa mania si è rapidamente estesa alla Cina, dove la diffusione dell’accesso a internet, grazie agli smartphone più economici, ha ampliato la platea dei potenziali acquirenti.

Hammer, il vivaista californiano, spiega che il motivo per cui aveva ricevuto decine di migliaia di ordini dalla Cina per il Conophytum pageae era legato all’aspetto della pianta: alla sua “faccia” piatta e alla sua piccola bocca, che si prestano a vari ritocchi fotografici. “I compratori volevano la piante per pubblicare le loro stupide foto, con tanto di decorazioni scarabocchiate sopra. Sempre io, io, io”, dice.

Nonostante la devastazione senza precedenti, “le piante non sono fatte per estinguersi. Dipende solo dalla volontà politica”, afferma Tim Pearce, coordinatore del partenariato per la tutela ambientale in Africa della Millennium seed bank dei Kew Gardens, il giardino botanico di Londra.

L’ingresso di un sito di estrazione dello zinco nella provincia del Capo Settentrionale. (Sydelle Willow Smith)

Una possibile soluzione consiste nel reintrodurre in natura le specie attingendo alle banche dei semi dei Kew Gardens e dell’istituto per la biodiversità sudafricano, il Sanbi. Non è una soluzione sicura al cento per cento, ma varrebbe la pena provarla. Nella Somalia devastata da decenni di guerra, alcune varietà di piante che erano state distrutte nel conflitto sono state reintrodotte con successo grazie alle banche dei semi. Anche in Australia, dopo gli incendi degli ultimi anni, alcune specie selvatiche sono state ripiantate con lo stesso metodo.

Una notizia inaspettata

Una sera di maggio, quattro mesi dopo il mio incontro con Rastaman a Springbok, ho ricevuto un suo messaggio criptico: “Un noto capitano di polizia di Springbok è stato arrestato”.

L’8 maggio 2024 il capitano du Toit era stato arrestato dagli Hawks, l’unità speciale anticorruzione del Sudafrica. È accusato di frode, furto, intralcio alla giustizia, violazione della legge sul turismo e corruzione. La procura affermava che du Toit fermava e accusava più persone possibili per semplice interesse personale, in quanto traeva profitto da “un sistema che sfruttava le sentenze di tribunale per far guadagnare un ente privato”. Du Toit è stato anche accusato di aver accettato pagamenti da stranieri arrestati per il traffico e la raccolta non autorizzata di piante succulente.

La notizia ha fatto scalpore a Springbok. Du Toit era stato sempre coccolato dai mezzi d’informazione, compariva spesso sui giornali locali e internazionali ed era molto rispettato dai gruppi ambientalisti. Il giorno dell’udienza Rastaman è andato in tribunale: “Ho ringraziato dio onnipotente”, mi ha confessato. Du Toit avrebbe dichiarato alla stampa locale che il suo caso era una “perdita di tempo” e che lui in realtà era mosso da un’autentica “passione per la difesa dell’ambiente”. Il caso è stato aggiornato, e il giudice ha ordinato all’accusa di fornire ulteriore documentazione all’avvocato di du Toit.

L’arresto del capitano ha spaccato la comunità scientifica. Una persona che aveva lavorato con lui ha detto che la notizia “ovviamente fa vacillare la fiducia nelle persone, non si sa più su chi si può davvero contare”.

Le ricadute sono state ampie. Du Toit, originario di Springbok, aveva anche rapporti con molti agricoltori, che senza la sua mediazione avrebbero accolto con grande diffidenza gli scienziati che arrivavano nelle loro fattorie per monitorare i conofiti.

Oggi questi agricoltori sono ancora meno disposti ad aprire le porte ai ricercatori. L’ondata di arresti di raccoglitori di frodo e trafficanti che si era verificata sotto il comando di du Toit si è interrotta. Diversi ambientalisti mi hanno detto che con ogni probabilità i trafficanti stanno continuando a trafugare conofiti in grande quantità, senza che nessuno faccia controlli o provi a fermarli.

Nel settembre 2024 du Toit ha affrontato un’udienza interna alla polizia. L’istituzione non ha voluto chiarire se i casi importanti sui quali du Toit aveva lavorato – compreso quello di Rastaman – sarebbero stati archiviati alla luce delle accuse di corruzione contro il capitano. Anche dopo l’arresto du Toit si è rifiutato più volte di rispondere alle specifiche accuse riferite in questo articolo. Si è limitato a far sapere che lui e i suoi coimputati “sanno qual è la verità, e che alla fine verrà fuori”.

Ho chiesto a Rastaman cosa pensassero, lui e i suoi amici, della possibilità che la raccolta di frodo porti all’estinzione di diverse specie di piante. Lui ha scosso la testa con disappunto. Spesso i raccoglitori di frodo, mi ha detto, sono persone disperatamente povere che non hanno idea del fatto che alcune piante sono protette. “Alcuni dei nostri fratelli in prigione non sanno che una pianta non crescerà mai più se la raccogli”, mi ha detto Rastaman.

Poi mi ha raccontato che una volta aveva partecipato a una tavola rotonda sul tema organizzata dal governo. In quell’occasione si era parlato di concetti come “bioprospezione” e “biocommercio”, “etnobotanica” e “patrimonio culturale intangibile”, parole che adesso mi stava ripetendo con un certo fastidio. Si è alzato in piedi e mi ha detto che le persone come lui, che conoscono le montagne come il palmo della loro mano, potrebbero essere molto utili. Perché lo stato non le assume con il compito di occuparsi in qualche modo della tutela dell’ambiente? Nessuna iniziativa del genere ha mai visto la luce. Tutto quello che Rastaman era riuscito a ottenere era un permesso per raccogliere piante selvatiche per uso medicinale e il volantino sgualcito che gli avevano consegnato, che lui conservava da dodici anni.

“Perché non possono darci un permesso per i cono? Se c’è una domanda, perché non possono depenalizzare il commercio almeno in parte, come hanno fatto con la ganja?”, ha detto un suo amico. D’altra parte è ovvio che ci sarà sempre qualcuno abbastanza disperato da rubare, ha aggiunto.

Prima di andarmene Rastaman mi ha detto che mi voleva mostrare una cosa. Un paio di minuti dopo ci stavamo inerpicando su un sentiero cosparso di vetri rotti e mozziconi di sigarette. A un certo punto mi ha indicato una piccola fenditura in una roccia. Mi ci è voluto un minuto per rendermi conto di cosa avevo davanti agli occhi: il bocciolo marrone raggrinzito di una pianta, un Conophytum pageae nel suo periodo di riposo. Incastonato tra le rocce, sembrava assolutamente insignificante, come se fosse lì da sempre, semplicemente una normale piantina nel suo ambiente naturale. “Immagina”, mi ha detto Rastaman sottovoce, “di andare in galera per questa roba qui…”. ◆ fdl

Monika Mark è una giornalista britannico-nigeriana, corrispondente del Financial Times dall’Africa meridionale.

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Questo articolo è uscito sul numero 1625 di Internazionale, a pagina 112. Compra questo numero | Abbonati