Alla vigilia del vertice del 4 settembre a Washington tra Serbia e Kosovo, molti si chiedevano cosa aspettarsi da questo incontro, atteso da tempo e presentato come il culmine degli sforzi dell’amministrazione Trump per normalizzare i rapporti tra Belgrado e Pristina. Sembrava irrealistico sperare in qualcosa di più che una serie di promesse in grado di reggere abbastanza perché Trump e il suo inviato nei Balcani Richard Grenell potessero sbandierarla come un trionfo diplomatico in vista delle elezioni di novembre.

Alla fine non abbiamo ottenuto neanche quello. Non è chiaro se i presidenti di Serbia e Kosovo avessero il potere di firmare un accordo simile e se i due parlamenti dovranno ratificarlo. Alcuni hanno sottolineato che i due paesi avevano bisogno di normalizzare i loro rapporti politici piuttosto che quelli economici. L’accordo effettivamente contiene alcuni punti positivi, come l’espansione dei collegamenti stradali e ferroviari e la collaborazione in tema di energia. Ma questi progetti erano già stati approvati.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo collega serbo Aleksandar Vučić alla Casa Bianca, 4 settembre 2020 (Brendan Smialowski, Afp/Getty)

Nonostante le promesse e i dettagli siano estremamente vaghi, comunque, si possono già individuare vincitori e vinti.

L’accordo non ha imposto a nessuno di riconoscere nessuno, e di sicuro la Serbia lo presenterà come un successo. Il Kosovo ha accettato di sospendere per un anno gli sforzi per entrare nelle organizzazioni internazionali, mentre la Serbia ha accettato di sospendere per un anno il suo tentativo di convincere altri paesi a revocare il riconoscimento del Kosovo come stato indipendente.

A quanto pare Trump ha inserito nel pacchetto il riconoscimento del Kosovo da parte di Israele. Per la Serbia questo è chiaramente un duro colpo. Tra l’altro, pur mantenendo un buon rapporto con Israele, la Serbia ha coltivato le proprie relazioni con diversi stati arabi, alcuni dei quali non riconoscono il Kosovo. I diplomatici serbi non saranno stati contenti di sapere che in base all’accordo di normalizzazione economica, e parallelamente al riconoscimento del Kosovo da parte di Israele, Belgrado ha accettato di trasferire la sua ambasciata a Gerusalemme, rischiando di irritare i suoi alleati nel mondo arabo.

Anche i kosovari dovrebbero guardare con prudenza il fatto che Pristina si è impegnata a trasferire l’ambasciata a Gerusalemme. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sottolineato che il Kosovo sarà il primo paese a maggioranza musulmana ad avere un’ambasciata a Gerusalemme. È un’ottima notizia per Israele, ma in questo modo Pristina rischia di compromettere i rapporti con molti paesi musulmani e mediorientali.

I serbi, quanto meno, possono dirsi soddisfatti da un aspetto dell’accordo. Il punto 11 garantisce infatti la “protezione dei siti religiosi e l’attuazione delle sentenze giudiziarie relative alla chiesa ortodossa serba”, un chiaro riferimento ai monasteri e alle chiese in Kosovo, molto importanti per la popolazione serba.

Poi c’è il 5g. Kosovo e Serbia si sono impegnati a non usare attrezzature fornite da “venditori non fidati” per le loro reti di telecomunicazione. Nel gergo dell’amministrazione Trump, questo significa escludere l’azienda cinese Huawei. È una chiara vittoria per gli Stati Uniti, che stanno cercando di espellere la Cina e la Huawei dalle telecomunicazioni in Europa, ma è un duro colpo per i rapporti tra Belgrado e Pechino, che erano in pieno sviluppo.

Impegni fuori tema

Verrebbe da chiedersi cosa c’entri la normalizzazione dei rapporti economici e il trasferimento delle ambasciate a Gerusalemme. La risposta è “niente”. Ma è pur vero che l’accordo va fuori tema su molte altre questioni. Kosovo e Serbia, per esempio, accettano di inserire Hezbollah tre le organizzazioni terroristiche e di limitarne le operazioni finanziarie all’interno delle rispettive giurisdizioni. Inoltre promettono di lavorare con i 69 paesi che ancora puniscono l’omosessualità per convincerli a depenalizzarla.

L’aspetto più positivo è che l’accordo, privo di qualsiasi sostanza, almeno non fa grossi danni. Le sue conseguenze potrebbero farsi sentire più in Medio Oriente che nei Balcani. Oltre a garantire una vittoria diplomatica a Trump, è probabile che il secondo obiettivo di Washington fosse accontentare i sostenitori di Israele negli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali. In questo senso l’operazione potrebbe essere un vero successo per Trump, anche se molti critici sembrano averlo ignorato.

Tra pochi giorni i rappresentanti di Belgrado e Pristina torneranno alla loro routine a Bruxelles. Nessuno si aspetta un miracolo neanche dai negoziati mediati dall’Unione europea. Ma dopo questo “accordo” a Washington, per fare meglio degli Stati Uniti nel grande gioco diplomatico nei Balcani a Bruxelles basterà non fare nulla. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1375 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati