Se la guerra non si fermerà, entro dicembre il Sudan avrà perso metà della sua ricchezza. Lo afferma un gruppo di analisti, secondo i quali solo per riparare le infrastrutture si dovranno spendere 30 miliardi di dollari, circa metà del pil sudanese di prima della guerra. In uno studio pubblicato il 1 luglio sul The Journal of Development Studies gli esperti dell’International food policy research institute (Ifpri), un istituto di ricerca con sede a Washington, scrivono che il paese sta affrontando uno dei più gravi collassi economici della storia moderna in termini di perdita di vite umane, di posti di lavoro persi e di aumento della povertà e della fame. Le donne e le popolazioni rurali sono colpite in modo particolare. Se la guerra scoppiata nell’aprile 2023 tra l’esercito e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) dovesse continuare per tutto il 2025, il pil sudanese potrebbe contrarsi del 42 per cento rispetto ai livelli prima del conflitto. Il calo riguarda tutti i settori più importanti: industria (-53 per cento), servizi (-84 per cento), agricoltura (-36 per cento) e agroalimentare (-33,6 per cento). Nel dicembre 2022 il Sudan aveva registrato un pil di 52 miliardi di dollari, con proiezioni che lo davano in crescita di 3 miliardi all’anno. Oggi, tenendo conto dell’inflazione, il pil è crollato a 33,2 miliardi di dollari e potrebbe scendere a 31 miliardi di dollari se le violenze continueranno.

Secondo il nuovo studio la produzione alimentare e i settori a essa legati hanno subìto gravi contraccolpi. Nel frattempo è aumentata la richiesta di servizi alimentari tra le popolazioni sfollate.

Hassan Bashir Mohamed Nour, docente sudanese di economia politica, afferma che la guerra ha provocato un “collasso pressoché totale delle attività economiche”, con una contrazione del pil del 29,4 per cento solo nel 2023. “La guerra in corso ha causato una grave inflazione e la rapida svalutazione della sterlina sudanese”, osserva Nour. “L’inflazione al consumo ha raggiunto quasi il 170 per cento nel 2024, rispetto al 66 per cento del 2023. Entro la fine del 2025 potrebbe scendere all’89 per cento se ci sarà una buona stagione di raccolti e se, con una riduzione delle violenze, saranno lanciate delle riforme”.

L’interruzione delle attività economiche su vasta scala ha fatto aumentare il costo della vita e ha causato una disoccupazione altissima. Secondo le stime della Banca mondiale, l’estrema povertà è passata dal 33 per cento nel 2022 al 71 per cento nel 2024. Questo significa che oggi la maggior parte dei sudanesi vive con meno di 3 dollari al giorno.

Nour avverte che l’impatto della guerra sulla salute pubblica e l’istruzione è “catastrofico”, considerati i più di 12 milioni di sfollati interni e i quasi quattro milioni di profughi. La carestia tocca ormai dieci regioni del paese e il collasso delle infrastrutture sanitarie e la carenza di personale medico favoriscono le epidemie di colera e morbillo. Secondo le organizzazioni umanitarie, l’80 per cento degli ospedali nelle zone di conflitto è fuori uso. Milioni di bambini non vanno a scuola.

Tuttavia, nota Nour, l’agricoltura – che impiega circa il 40 per cento della forza lavoro e che contribuiva al 35 per cento del pil prima della guerra – potrebbe offrire un briciolo di speranza, a patto che i campi siano ripristinati, che siano distribuite le sementi e che i contadini ricevano aiuti. “Anche se alcune proiezioni indicano un debole ottimismo, se non si arriverà a un cessate il fuoco e la comunità internazionale non sosterrà gli sforzi di ricostruzione, il Sudan resterà intrappolato nel collasso economico e sociale”, dice Nour.

A stomaco vuoto
Sicurezza alimentare nelle aree rurali e urbane del Sudan, per percentuale di famiglie (International food policy research institute-Sudan)

Da dove vengono i dati

Molti danni sono visibili, come gli aeroporti distrutti, i palazzi di uffici rasi al suolo e i ponti crollati. Ma non tutti sono d’accordo con la lettura dell’Ifpri: l’economista sudanese Mohamed Elnair mette in dubbio il rapporto, accusando alcune organizzazioni di avercela con il governo militare sudanese.

“In questi studi spesso mancano fonti credibili dall’interno. I ricercatori non visitano tutti gli stati né raccolgono informazioni di prima mano. Da dove prendono i dati allora?”, si chiede. “Il paese ha più di 85 milioni di ettari di terre arabili, di cui solo il 20 per cento in uso. Anche se alcune aree come quella della Gezira fossero occupate, altre rimarrebbero sicure e coltivabili”.

In effetti il Sudan ha prodotto circa sei milioni di tonnellate di cereali nel 2025, in gran parte sorgo coltivato nelle aree al confine con l’Etiopia, e ha portato avanti i suoi commerci attraverso Port Sudan.

“Nonostante la guerra non c’è stata carenza di beni di prima necessità, ”, afferma Elnair, pur ammettendo che la crescita negativa, l’aumento della povertà, l’inflazione e la svalutazione della moneta sono grossi problemi. “L’economia si sta adattando. La produzione va avanti. Le esportazioni d’oro sono regolamentate meglio. Molti analisti vogliono fare pressioni sul governo sudanese, gonfiando i dati. Ma il Sudan non crollerà”.

Secondo il rapporto dell’Ifpri, la guerra minaccia 4,6 milioni di posti di lavoro, con un calo dell’occupazione pari al 44,7 per cento, soprattutto fuori del settore agricolo. In base alle stime quest’ultimo da solo dovrebbe perdere circa settecentomila posti di lavoro. La povertà dovrebbe aumentare di 19 punti percentuali, spingendo altri 7,5 milioni di persone nella fascia degli indigenti. Le aree rurali saranno le più colpite: lì la povertà aumenterà di oltre 32 punti percentuali, con le donne particolarmente sfavorite. “L’impatto economico della guerra è ampio e colpisce ogni aspetto della vita”, riassume Khalid Siddig, ricercatore dell’Ifpri. “Questi effetti continueranno a farsi sentire anche dopo che si saranno deposte le armi”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati