Sono state poche parole, ma l’esplosione di gioia che hanno suscitato la dice lunga sul momento storico attraversato dalla sinistra cilena. Il 29 giugno, nel suo primo discorso dopo la vittoria alle primarie del centrosinistra per le presidenziali di novembre, Jeannette Jara ha dedicato un ringraziamento speciale al Partito comunista cileno (Pcc): “I partiti della nostra coalizione sono quelli del centrosinistra allargato, ma io oggi voglio salutare in particolare il mio, quello comunista”.
La reazione appassionata provocata da questa breve dichiarazione sottolinea il carattere eccezionale dell’identità politica di Jara: è la terza volta che il Pcc presenta una candidatura alle presidenziali, dopo quella di Pablo Neruda nel 1969 e di Gladys Marín nel 1999.
Jara può contare anche sui risultati raggiunti come ministra del lavoro
All’epoca “Marín era ai margini del sistema politico, non puntava a vincere le elezioni, la sua era una candidatura di testimonianza”, dice il politologo Antoine Maillet, che insegna alla facoltà di scienze del governo e della pubblica amministrazione dell’università del Cile.
Oggi, per la prima volta nella sua storia il Pcc, che ha partecipato a molti governi, compreso quello di Salvador Allende (1970-1973), guida il centrosinistra e potrebbe essere vicino a governare il paese. Questo risultato è sintomatico della crisi dei partiti di centrosinistra, che durante la transizione democratica si sono limitati a gestire l’eredità neoliberista della dittatura militare di Augusto Pinochet (1973-1990). L’ex ministra dell’interno Carolina Tohá, sostenuta dal Partito socialista e inizialmente favorita alle primarie, ha ottenuto il 29 per cento delle preferenze, e Gonzalo Winter, del Frente amplio del presidente Gabriel Boric, appena il 9 per cento. Con questi risultati, il Pcc “subentra ai partiti che da decenni determinano la direzione della coalizione”, scrivono su Jacobin Karina Nohales e Javiera Manzi, militanti del movimento Coordinadora feminista 8M.
“Il Pcc dà garanzie di sinistra a una coalizione e a un elettorato che non erano disposti a fare campagna solo per fermare l’estrema destra”, aggiunge Maillet. Il contesto delle prossime presidenziali in effetti è delicato. Nel 2021 Boric aveva vinto grazie a una forte mobilitazione antifascista al secondo turno, in cui affrontava il candidato di estrema destra José Antonio Kast. Quattro anni dopo la speranza suscitata dal processo costituzionale si è raffreddata, il governo di Boric ha deluso e Kast è di nuovo in corsa con temi legati alla sicurezza, come la candidata di destra Evelyn Matthei.
Per la prima volta una candidata comunista, erede del partito più antico del Cile, che si è battuto contro la dittatura, “affronterà una destra che ha legami diretti con quel regime”, afferma lo storico Luis Thielemann Hernández. Il padre di Kast era un militare nazista, e la sua famiglia è “coinvolta in crimini commessi durante il regime, soprattutto nella sparizione di contadini”, continua. Ed Evelyn Matthei, figlia di un generale dell’epoca di Pinochet, “ha cercato di giustificare i crimini di quel periodo”, considerando “inevitabile” la morte degli oppositori politici.
Vicina alle persone
A differenza del 2021 quest’anno la sinistra non è sostenuta da un grande movimento come quello nato nel 2019 durante l’estallido social, l’esplosione sociale.
“L’opinione pubblica è cambiata”, spiega il politologo Maillet. Gli attacchi contro Jara probabilmente non dipendono dalla sua identità comunista, ma dal suo legame con il governo di Boric, di cui è stata ministra del lavoro. Tra le sfide più grandi che deve affrontare c’è il fatto che quest’anno il voto al primo turno delle presidenziali, che si svolgeranno insieme alle parlamentari, sarà obbligatorio, mentre nel 2021 era stato volontario. “Quattro anni fa la sinistra doveva mobilitarsi per portare al voto gli elettori. A novembre la vera difficoltà per la coalizione guidata da Jara sarà ampliare la base elettorale proprio quando il governo di Boric ha una popolarità molto bassa. Sarà complicato conquistare l’elettorato poco politicizzato, che potrà scegliere tra candidati di destra e populisti”, dice Maillet.
Il Cile ha una forte e radicata tradizione anticomunista. Molte persone, anche a sinistra, hanno criticato la scelta di candidare Jara, perché credono che non potrà vincere contro Kast. Per metterla in difficoltà i principali mezzi d’informazione del paese le hanno fatto spesso domande sui diritti umani a Cuba e in Venezuela. E in tutte le occasioni Jara ha risposto che sarà lei, non il Pcc, a stabilire la linea del suo eventuale governo in politica estera.
Dopo la vittoria del 29 giugno Jara ha detto che bisogna difendere “i diritti umani ovunque siano violati”. La trasmissione satirica Detrás del muro, dietro al muro, ha fatto la parodia di un’intervista in cui la candidata cerca di smarcarsi dal Pcc.
Per superare queste difficoltà, Jara può giocare due carte. Da un lato il suo percorso personale, che secondo Thielemann genera un “entusiasmo di classe”. È nata nel 1974 in una famiglia povera del municipio di Conchalí, nella periferia nord di Santiago, ed è cresciuta a Cortijo, una población (baraccopoli) creata nel 1970 dopo che alcune famiglie avevano occupato la zona. Rispetto a tutti gli altri candidati e candidate alla presidenza, la storia personale di Jara è un’eccezione. “La novità non è tanto che proviene dal Pcc, ma che è la prima candidata di origini umili”, afferma Thielemann.
Negli anni novanta Jara è stata dirigente di un sindacato studentesco all’università di Santiago, legata storicamente alla sinistra e alle classi popolari. Nello stesso ateneo ha poi seguito un corso di pubblica amministrazione. Inoltre, sottolinea Thielemann, Jara “non è bianca”, mentre la maggior parte dei dirigenti della sinistra cilena viene dalla classe media, che a sua volta discende dagli immigrati europei.
La storia familiare e politica di Jara ha portato a paragonarla all’ex presidente socialista Michelle Bachelet (al governo dal 2006 al 2010 e dal 2014 al 2018), che ha saputo superare le consuete divisioni politiche. È un fatto non da poco in vista di un’elezione a cui parteciperà un elettorato in parte poco motivato e politicizzato a causa del voto obbligatorio.
Jara può contare anche sui buoni risultati raggiunti come ministra del lavoro. Se da un lato il governo di Boric è impopolare, lei è l’artefice principale delle poche riforme sociali che hanno migliorato la situazione delle persone più precarie: la riduzione dell’orario di lavoro, portato gradualmente a 40 ore settimanali, una legge contro le molestie sul posto di lavoro nota come legge “Karin” e soprattutto la riforma del sistema previdenziale.
“Questa riforma ha colpito poco le amministrazioni dei fondi pensionistici, pilastri del sistema privatistico cileno, ma ha introdotto elementi di solidarietà prima inesistenti”, sottolinea Maillet.
Come ministra Jara ha dimostrato di saper negoziare con la destra per raggiungere un’intesa sulle pensioni. La riforma non è perfetta ma ha alzato le pensioni più basse. “In un contesto politico estremamente polarizzato, in cui c’è spazio per le accuse reciproche, Jara ha saputo mediare”, prosegue il ricercatore.
Promesse
Durante la campagna per le primarie, la candidata del Pcc ha messo l’accento sulle riforme economiche e sociali, rivolgendosi ai più poveri in un paese segnato dalla disuguaglianza. “A sinistra, in questo momento, c’è la tendenza a dividere le rivendicazioni materiali da quelle post-materiali, ma è una divisione artificiale. La vittoria di Jara dimostra che la lotta di classe è un punto di unificazione universale delle rivendicazioni”, dice Thielemann.
La sua promessa principale è istituire un salario “vitale” di 750mila pesos (680 euro), aumentando del 50 per cento quello minimo. Si è impegnata anche a costruire linee ferroviarie nel nord del paese (oggi ce ne sono solo al sud). La geografia del Cile è molto particolare: si estende per 4.300 chilometri in lunghezza, dal Perù a Capo Horn.
“È un impegno simbolico, ma parla di un paese più integrato e di una candidata attenta alle regioni più periferiche”, osserva Maillet. Nel 2022, durante la campagna per il referendum sulla nuova costituzione (che è stata respinta con il 62 per cento dei voti contrari), la sinistra e i movimenti sociali avevano discusso molto della difficoltà di portare avanti politiche efficaci su tutto il territorio nazionale.
“Qualunque cosa succederà, la candidatura di Jara segna un cambiamento. È importante dal punto di vista storico il fatto che una politica che viene da un contesto popolare abbia la possibilità di diventare presidente del Cile”, conclude Thielemann. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati