Abbiamo assistito a un processo che sembrava un’apologia del sessismo, in cui l’attore francese Gérard Depardieu ha negato le accuse in tutte le udienze. Un processo in cui ha dato risposte scandalose, arrivando ad affermare di non conoscere la definizione legale di aggressione sessuale. Abbiamo dovuto ascoltare le tesi nauseanti della difesa, impostata su un sessismo anacronistico. Condannando Depardieu a diciotto mesi di carcere (con la condizionale) per aggressione sessuale a due donne durante le riprese del film Les volets verts, la giustizia ha lenito le ferite aperte dalle parole pronunciate nelle udienze.
“Una decisione giusta, un riconoscimento per le vittime”, ha dichiarato l’avvocata delle due donne. Sembrano lontani i tempi in cui la libertà d’importunare “alla francese” contrastava con l’ondata globale del movimento MeToo. Con questo processo sembra finalmente che il cinema francese si sia liberato dei suoi paraocchi. L’attrice Judith Godrèche aveva già indicato la via l’anno scorso, denunciando le violenze e gli stupri compiuti da altri due mostri sacri del cinema, i registi Benoît Jacquot e Jacques Doillon. Sono state testimonianze coraggiose che hanno evidenziato un’indispensabile combattività femminista e portato alla creazione di una commissione d’inchiesta sulle violenze commesse nel mondo della cultura.
Non passerà molto tempo prima che la condanna di Depardieu faccia tremare il festival del cinema di Cannes, dove nessuno sembra disposto a parlare delle violenze sessuali. Juliette Binoche, senza paura durante l’udienza davanti alla commissione d’inchiesta, ha avuto difficoltà (ed è un peccato) a esprimersi chiaramente su Depardieu durante la conferenza stampa a Cannes. Ma quanto meno ha riconosciuto che il mostro è stato finalmente “dissacrato”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati