Il 22 settembre è stata una giornata storica in Italia. Decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di persone di tutte le età hanno partecipato allo sciopero nazionale, probabilmente il più importante degli ultimi decenni, in segno di solidarietà con gli abitanti di Gaza. Le proteste sono state organizzate dai sindacati di base, tra cui l’Unione sindacale di base (Usb) e altre sigle sindacali più piccole.

La mobilitazione è il frutto di un risveglio civile in tutta Italia, alimentato dalla frustrazione e dalla rabbia dopo quasi due anni di genocidio portato avanti da Israele a Gaza, anche con la complicità del governo italiano.

Negli ultimi giorni la pressione dei manifestanti ha spinto il governo Meloni ad agire: la marina italiana ha annunciato l’invio della fregata Alpino per assistere la Global sumud flotilla, dopo gli attacchi alle imbarcazioni compiuti con dei droni (presumibilmente israeliani), a dimostrazione del fatto che il movimento di protesta sta innescando risposte concrete da parte delle autorità.

Azioni immediate

La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni è stata in silenzio di fronte alle manifestazioni pacifiche in tutto il paese e ha scelto di evidenziare solo i disordini scoppiati a Milano, definendo le proteste “inutili e vergognose”. Il governo di destra ha subito demonizzato i manifestanti, definendoli “estremisti che seminano violenza mentre invocano la pace a Gaza”.

Una reazione non sorprendente, visto che dalle piazze sono state richieste azioni immediate del governo contro Israele: sanzioni, sospensione degli accordi militari e commerciali relativi alle armi, riconoscimento dello stato di Palestina, cessate il fuoco immediato e aumento degli aiuti umanitari attraverso l’apertura di canali istituzionali. Se è vero che circa il 70 per cento delle armi inviate a Israele arriva dagli Stati Uniti, non passando per i porti italiani, va sottolineato che l’Italia è il terzo fornitore mondiale di armi a Tel Aviv, soprattutto grazie alla Leonardo, l’azienda di armamenti controllata dallo stato italiano. Nonostante l’Italia abbia sospeso l’invio di armi a Israele, le esportazioni previste da contratti firmati prima della sospensione sono proseguite.

Meloni ha cercato di guadagnare credibilità con l’amministrazione Trump e con il governo Netanyahu sfruttando l’ondata di islamofobia e arabofobia tra i partiti di destra europei e non ha mai messo in discussione il sostegno a Israele. Da quando è al governo ha promosso misure islamofobe, amplificando teorie del complotto sull’“islamizzazione” dell’Europa e mettendo sotto controllo moschee e organizzazioni. Ha inoltre represso le voci in favore della Palestina.

Le minacce non ci spaventano

La reazione di Roma agli attacchi israeliani dello scorso novembre contro il contingente italiano della forza di pace delle Nazioni Unite nel sud del Libano è stata estremamente timida. In quell’occasione Meloni non ha detto nulla, e ha mostrato una sorprendente indifferenza alle minacce e alle sanzioni senza precedenti di Stati Uniti e di Israele contro la cittadina italiana Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati.

L’opinione
I legami del Mediterraneo

◆ “I sindacati di base”, scrive Michael Leonardi sulla rivista online statunitense di sinistra CounterPunch, “rappresentano il vasto e crescente malcontento delle classi lavoratrici e il rifiuto della grande maggioranza della popolazione italiana di restare a guardare mentre il popolo palestinese viene sterminato sotto i nostri occhi dalle forze genocide di Stati Uniti e Israele, con la persistente complicità di buona parte del mondo occidentale”.

Nel suo articolo appassionato e militante, Leonardi scrive: “Questo risveglio non riguarda solo le grandi città, è ovunque. È quasi impossibile trovare una piccola città o un paese che non abbia esposto pubblicamente qualche simbolo di solidarietà con la Palestina”.

Il giornalista spiega perché proprio in Italia ci sia stata una risposta così forte di fronte a quello che succede a Gaza: “Ci sono un grande senso di solidarietà e legami quasi di tipo familiare tra le culture e le regioni del Mediterraneo. In Spagna come in Italia le persone stanno mettendo in chiaro che non resteranno mute e docili di fronte a questo genocidio”. “In Italia”, osserva ancora Leonardi, “la mobilitazione prosegue e le proteste continuano ogni giorno, a ogni livello. Si prepara già un’altra mobilitazione di massa per bloccare tutto e impedire il normale svolgersi delle attività. Che le rivolte dei popoli del Mediterraneo e dell’Italia siano un esempio per il mondo. Il momento di insorgere è ora, ovunque, energicamente, con forza e senza paura, per il bene della nostra umanità che muore ancora e ancora sotto le macerie di Gaza”. ◆


Meloni si è opposta al riconoscimento dello stato palestinese e si è allineata con Washington, pur criticando di tanto in tanto gli attacchi israeliani, definiti sproporzionati. Sotto la crescente pressione interna, il 24 settembre ha dichiarato davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite che l’Italia sosterrà alcune sanzioni dell’Unione europea contro Israele e che la guerra ha “superato il limite”.

Dopo mesi di crescente frustrazione per il rifiuto del governo di intervenire su Gaza, con lo sciopero del 22 settembre i cittadini hanno preso in mano la situazione e guidato una mobilitazione che ha aperto un nuovo corso.

La giornalista italiana Paola Caridi, che per anni ha lavorato e condotto ricerche in Palestina ed è autrice di un libro su Hamas, ha osservato che in questa occasione ci sono stati diversi primati: il primo sciopero generale senza l’adesione ufficiale dei sindacati confederali, il primo sciopero politico e non contrattuale dai tempi del rapimento del leader della Democrazia cristiana Aldo Moro e il primo sciopero generale focalizzato su una questione internazionale.

Queste proteste sono state probabilmente ispirate anche da una serie di azioni dei portuali di Genova e di Livorno. Il 31 agosto Riccardo Rudino, portavoce e componente del Collettivo autonomo dei portuali (Calp) del porto di Genova, ha lanciato un avvertimento alle autorità israeliane durante una grande manifestazione in sostegno della flotilla: “Se perderemo i contatti con i nostri compagni della flotilla, anche solo per venti minuti, bloccheremo tutta l’Europa. Circa 14mila container lasciano la Liguria ogni anno diretti in Israele. Se succede qualcosa, da qui non uscirà nemmeno un chiodo”.

Pochi giorni dopo José Nivoi, collega di Rudino, rispondendo a una domanda del quotidiano la Repubblica ha detto: “Le minacce del governo Netanyahu non ci spaventano. Le dichiarazioni di Itamar Ben Gvir, ministro israeliano della sicurezza nazionale, dimostrano la totale impunità di cui gode Israele”. Ben Gvir aveva affermato che i componenti della flotilla sarebbero stati “trattati come terroristi, arrestati e le loro imbarcazioni sequestrate”.

I portuali di Genova, conosciuti come “camalli”, una parola derivata dall’arabo hammal (facchino), non sono nuovi a boicottaggi contro Israele e già in passato hanno preso posizione contro il genocidio che sta compiendo a Gaza. Negli ultimi anni alcuni di loro, in particolare i sindacalisti dell’Usb e gli attivisti del Calp, hanno promosso o hanno partecipato a iniziative per ostacolare il transito di armi dirette in Israele. A giugno si sono uniti ai portuali francesi per bloccare la Contship Era, una nave noleggiata dalla compagnia israeliana Zim. A Genova non è stato caricato alcun materiale militare dopo che tre container con componenti di armamenti erano già stati fermati nel porto francese di Fos-sur-Mer. Infine il 1 agosto, poco prima della partenza della Global sumud flotilla, i portuali hanno dichiarato di essere riusciti a impedire lo sbarco e il trasferimento di tre container di materiale bellico destinato a Israele.

La storia dei portuali genovesi, in particolare quelli del Calp, è fatta di solidarietà con i movimenti di resistenza e opposizione alle guerre di aggressione. Nel settembre 1973, pochi giorni dopo il colpo di stato che rovesciò il governo di Salvador Allende, si tenne a Genova una manifestazione in solidarietà con la resistenza cilena. Azioni simili furono organizzate anche contro la guerra del Vietnam.

Le proteste nelle principali città italiane hanno reso evidente il divario tra i cittadini comuni, con le loro richieste di giustizia, e chi è al potere. I portuali hanno promesso di “bloccare l’Europa” dal punto di vista logistico. Ma da un punto di vista politico e morale l’Europa è paralizzata da troppo tempo, immobilizzata dalla propria impotenza e complicità di fronte alla violenza coloniale e al genocidio. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati