Tra i tanti eventi impensabili del 2020, uno dei più strani si è verificato il 20 aprile, quando il prezzo del petrolio è sceso sotto lo zero. Quel giorno i future sul West Texas intermediate (Wti, uno dei prezzi di riferimento per il mercato petrolifero) avevano aperto le contrattazioni a 18 dollari al barile. Il prezzo, già basso di per sé, aveva continuato a scendere finché alle 14.08, ora di New York, è diventato negativo. In sostanza, chi vendeva petrolio doveva pagare il compratore per liberarsene. A quel punto il mercato del greggio è sprofondato, perdendo quasi 40 dollari in venti minuti, e ha chiuso a -38 dollari, il prezzo più basso mai raggiunto dal petrolio nei 138 anni di storia della New York mercantile exchange (Nymex, il principale mercato mondiale per i derivati sui prodotti energetici e i metalli). E con ogni probabilità il prezzo più basso da quando, millenni fa, l’essere umano cominciò a bruciare qualcosa per produrre calore e luce.

A questo spettacolo assistevano operatori di borsa, dirigenti delle aziende energetiche e dipendenti delle aziende di trasporto, cioè chiunque aveva legato la propria esistenza alle oscillazioni del prezzo del petrolio. Anche i funzionari della Commodity futures trading commission (Cftc) a Washington fissavano i monitor sbalorditi. “Lo schermo stava impazzendo”, racconta alla rivista Institutional investor Tom Kloza, analista della società di ricerca Opis. Era come guardare un film di Federico Fellini: “Riesci ad apprezzarlo, ma non si capisce bene cosa succede”.

Gregory Reid, Gallery stock

Ventiquattr’ore dopo la follia era finita: il petrolio aveva di nuovo un prezzo positivo e molti erano tentati di liquidare la faccenda come un contrattempo. Il problema, però, è che i future (contratti con cui le parti s’impegnano a scambiare un bene a un certo prezzo, ma rinviando il pagamento a una data futura) sul Wti sono al centro di un mercato che vale tremila miliardi di dollari all’anno. Il Wti è tra i fattori che determinano il prezzo mondiale del petrolio, indipendentemente dal fatto che a venderlo sia un paese mediorientale o un’azienda che estrae greggio con il fracking _nella provincia canadese dell’Alberta. Il Wti influisce anche sul prezzo dei prodotti chimici a base di petrolio. Inoltre, ci sono miliardi di dollari di prodotti finanziari, il cui valore è determinato dal prezzo del Wti, fissato quattro giorni lavorativi prima del 25 di ogni mese, alle 14.30. Per i _future che scadevano a maggio del 2020 la data della chiusura del contratto era il 20 aprile.

Quel calo improvviso dei prezzi è stato spiegato come l’effetto di una convergenza di fattori macroeconomici. La pandemia e il conseguente blocco delle economie avevano ridotto al minimo la domanda di petrolio e lo spazio per stoccare il greggio invenduto si stava esaurendo. È stato un caso da manuale di “domanda e offerta”, ha dichiarato Heath Tarbert, il presidente della Cftc, in un’intervista alla Cnbc il 21 aprile 2020. Terry Duffy, l’amministratore delegato del Cme Group, che possiede il Nymex, era dello stesso avviso: “Il mercato ha funzionato come doveva. Alla perfezione”.

Forse per i veterani del settore come Duffy tutto ha una sua logica, ma per chi è abituato a pagare la benzina al distributore, un prezzo negativo è una cosa difficile da capire. Per di più, quel giorno le vendite sono cominciate circa due ore prima della chiusura ufficiale, come se (questo è il sospetto) qualcuno avesse deciso di spingere i prezzi al ribasso. Harold Hamm, presidente dell’azienda petrolifera Continental Resources, ha chiesto poi l’apertura di un’indagine per verificare eventuali “guasti dei sistemi informatici” e “potenziali manipolazioni del mercato”.

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In effetti il 21 aprile il contratto con scadenza a maggio è tornato a dieci dollari. “Ad aprile c’erano voci di prezzi a zero o addirittura negativi, ma nessuno pensava a -40 dollari”, dice Dave Ernsberger, della S&P Global Platts, un’azienda che fa valutazioni di mercato per compratori e venditori. “Non si capisce cosa sia successo”.

Le autorità statunitensi e gli analisti del Nymex hanno esaminato i dati delle transazioni per cercare di capire chi stesse guidando le operazioni il 20 aprile e sono rimasti di stucco quando hanno scoperto che quel giorno l’azienda con il maggiore impatto sui prezzi non è stata una grande banca di Wall street o un colosso petrolifero, ma una piccola società di trading, la Vega Capital London. Quel giorno nove operatori indipendenti della Vega, tutti residenti nell’Essex, una contea a nordest di Londra, hanno guadagnato 660 milioni di dollari in poche ore lavorando dal computer di casa. Ora le autorità statunitensi stanno verificando se alcuni di loro hanno violato le regole del mercato, agendo di concerto per spingere i prezzi al ribasso, o se hanno semplicemente chiuso una delle operazioni più memorabili della storia. L’avvocato che li rappresenta ha smentito categoricamente che abbiano commesso dei reati, precisando che ognuno di loro ha operato sulla base di “inequivocabili” segnali del mercato.

**Coccole e **cockney

Paul Commins ha cominciato a fare l’operatore di borsa comprando e vendendo petrolio all’International petroleum exchange (Ipe) di Londra, l’equivalente britannico del Nymex. Lì, racconta un suo ex collega, lo chiamavano affettuosamente Cuddles (Coccole). Aveva il tipico accento cockney dei personaggi dei film di Guy Ritchie e faceva fatica a pronunciare la r. Sul suo badge invece del nome c’erano le lettere f-w-e, pronunciate “fvee”, il suono che gli usciva dalla bocca quando cercava di dire three.

Inaugurata nel 1980, l’Ipe era una specie di fossa dei leoni in cui quattrocento operatori in giacche colorate gridavano e comunicavano a gesti per chiudere accordi che poi venivano messi su carta. Molti di loro provenivano dalla classe operaia dell’Essex, famosa per l’ostentazione sfacciata e pacchiana della ricchezza (lo stereotipo del maschio dell’Essex è un appassionato di calcio con la birra in mano e la macchina costosa in garage). L’Ipe premiava la velocità di pensiero e la propensione al rischio, e Commins eccelleva in entrambe le cose. Dopo qualche anno alla società d’intermediazione Trafalgar commodities diventò “uno del posto”, cioè parte di un’élite di operatori in giacca rossa che compravano e vendevano in proprio. Un ex collega lo ricorda come uno dei primi tre operatori nel campo del gas e del petrolio.

Gli operatori di Commins riuscivano a guadagnare molti soldi in poche ore

L’ambiente dell’Ipe era informale e senza regole, una specie di zona grigia dal punto di vista etico e normativo. Se “uno del posto” veniva a sapere di un affare in cui era coinvolto un colosso petrolifero, cercava di giocare d’anticipo (una pratica vietata ma diffusissima, nota anche come front running). La sala delle contrattazioni era disseminata di telecamere, ma c’erano dei punti ciechi in cui gli operatori andavano per scambiarsi le informazioni. Un ex dirigente fatica a ricordare anche una sola riunione del comitato di vigilanza.

Uno dei trucchi era ricorrere al trade at settlement (Tas), un contratto che obbliga a comprare o vendere un future al suo prezzo di chiusura ufficiale. Era pensato per i fondi d’investimento che avevano il compito di monitorare il prezzo del petrolio nel lungo periodo. Alcuni operatori, però, avevano escogitato uno stratagemma per specularci sopra: sottoscrivevano un Tas per comprare i future e poi si mettevano d’accordo per far scendere il prezzo di chiusura e realizzare un profitto. La pratica, anche se contraria alle regole, era così efficace e diffusa che aveva perfino un soprannome: grab a grand (intasca un bigliettone).

“Era chiaro quello che stava succedendo”, dice Chris Cook, l’ex direttore dell’Ipe, che sostiene di esserne venuto a conoscenza solo dopo aver lasciato la borsa merci. Non ci sono prove, tuttavia, che Commins o i suoi colleghi fossero coinvolti in operazioni di questo tipo.

Ai tempi d’oro dell’Ipe, gli operatori più abili riuscivano a guadagnare decine o perfino centinaia di migliaia di sterline in una sola giornata e poi andavano a prendere una birra al pub alle cinque e mezza del pomeriggio. Ma con il trading online è cambiato tutto. Nel 2005 l’Ipe chiuse, costringendo Commins, che all’epoca aveva 36 anni, e centinaia di suoi colleghi a lavorare usando il computer. Molti non riuscirono ad adeguarsi e mollarono. Altri si misero al servizio di banche e aziende d’intermediazione.

L’ambiente dell’Ipe era una specie di zona grigia dal punto di vista etico e normativo

Molti ex operatori che volevano continuare a lavorare in proprio si ritrovarono nelle arcade o prop shop, piccole società di trading dove ricevevano una scrivania e una connessione veloce e in cambio davano un fisso mensile, una commissione su ogni scambio e, in alcuni casi, una percentuale sui profitti realizzati. Le arcade più importanti, ribattezzate le “cinque famiglie”, si trovavano a Londra e avevano sul libro paga decine di ex operatori dell’Ipe. Commins, però, decise di aprire una sua azienda a Loughton, nell’Essex, a mezz’ora di treno dalla capitale.

La sua squadra era composta da un misto di veterani e novellini di poco più di vent’anni, di solito figli di amici o amici dei figli. C’erano Dog (al secolo Chris
Roase), che aveva lavorato a lungo all’Ipe; Elliot Pickering, un ragazzino secco e goffo che viveva ancora con la mamma e guidava una Rolls-Royce decappottabile; e Aristos Demetriou, che si faceva chiamare Ari ed era uno di quelli che guadagnavano di più. L’ascesa di Ari era stata così repentina che tra gli operatori delle materie prime di Londra girava la voce che prima di svoltare lavorasse nel parcheggio di un supermercato. Un giorno, mentre rimetteva a posto i carrelli della spesa, aveva visto Dog e gli aveva chiesto come aveva fatto a comprarsi una macchina così costosa.

Gli operatori erano tutti indipendenti, ognuno con il suo conto d’intermediazione e la sua dichiarazione dei redditi. Ma dai documenti delle transazioni e dalle testimonianze di chi ha lavorato con loro si capisce che spesso agivano di comune accordo, comprando o vendendo tutti insieme nei momenti chiave. Alcuni di loro si vedevano anche fuori dal lavoro: andavano a giocare a golf, guardavano insieme le partite del West Ham e portavano le famiglie al mare a Marbella (il motto, per quelli più attenti alla linea, era no carbs before Marbs, niente carboidrati prima di Marbella). Alcuni abitavano addirittura nello stesso quartiere, un ricco comprensorio chiamato Theydon Bois, dove il fascino bucolico della campagna inglese si unisce alla comodità di raggiungere il centro di Londra in pochi minuti di metropolitana. Dopo il lavoro si vedevano in un bar frequentato dal cast di The only way is Essex, una specie di versione cockney e più di lusso del reality show Jersey shore.

Per diverso tempo Commins e i suoi lavorarono come affiliati esterni del Tower Trading Group, una delle “cinque famiglie”. Poi nel 2016, quando due manager della Tower, Adrian “Britney” Spires e Tommy Gaunt, se ne andarono per mettersi in proprio, Commins e altri venti operatori decisero di seguirli. Sotto l’ombrello della nuova azienda, la Vega Capital London, Commins continuò ad allargare la sua scuderia, offrendo posti a giovani provenienti dal suo ambiente sociale. Tra questi c’era Connor Younger, il figlio di un suo amico costruttore, che prima passava il tempo sui social network a parlare di musica rap e di ragazze.

Non è chiaro quali fossero gli accordi tra Commins e i suoi colleghi o con la Vega Capital, sul cui libro paga ci sono decine di persone che non c’entrano niente con i ragazzi dell’Essex. Sicuramente c’erano dei legami finanziari. Commins e Demetriou erano comproprietari della Pc & Ad Developments, mentre Commins, Demetriou e Pickering sono stati amministratori di un’entità giuridica chiamata Pat Developments. Entrambe queste società, che non hanno siti web, sono registrate come operatori del settore immobiliare.

Stabilizzare i prezzi

All’inizio del 2020 le grandi economie industriali erano in salute, gli investitori erano fiduciosi e il Wti era scambiato a circa 60 dollari al barile. I prezzi hanno cominciato a scendere a febbraio, dopo le prime avvisaglie del covid-19. La discesa ha accelerato quando l’epidemia si è trasformata in pandemia. Alla fine di marzo i future sul Wti hanno toccato i venti dollari, il prezzo più basso dopo l’11 settembre. A quel punto, dopo una serie di negoziati particolarmente tesi, i grandi paesi produttori di petrolio – guidati da Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti – hanno accettato di ridurre la produzione del 10 per cento per cercare di stabilizzare i prezzi.

Il taglio non è stato sufficiente. Tutti i future del petrolio hanno continuato a calare, compreso quello del greggio di Brent, che si basa sul petrolio estratto nel mare del Nord. Il Wti, però, ha una caratteristica: a differenza del Brent, dove compratori e venditori possono regolare le loro pendenze in contanti, chi ha un contratto Wti in scadenza alla fine del mese è obbligato a prendere in carico mille barili di greggio “dolce e leggero” di Cushing, in Oklahoma, piccola cittadina nota come “il crocevia mondiale degli oleodotti” (anche se non ha sbocchi sul mare, è diventata un centro per la raffinazione e la distribuzione dopo che gli esploratori trovarono il petrolio un secolo fa). Normalmente gli speculatori possono aggirare il problema vendendo prima della scadenza e comprando il contratto del mese successivo, una procedura nota come rolling. Il ribasso dei prezzi a marzo e all’inizio di aprile, però, ha attirato un’ondata di investitori dilettanti verso prodotti finanziari agganciati al petrolio, tra cui un grande fondo cinese chiamato Crude Oil Treasure, che si faceva pubblicità con lo slogan: “Il greggio costa meno dell’acqua”. Tutti questi fondi dovevano rinnovare contratti per miliardi di dollari ma, per colpa del covid-19, avevano difficoltà a trovare compratori.

Nel frattempo i depositi di stoccaggio a Cushing cominciavano a riempirsi. Dato il poco spazio disponibile, il costo per immagazzinare il petrolio rischiava di superare qualsiasi profitto ricavato dalle vendite. A tutto questo si aggiungeva una folla di venditori impazziti, che paralizzava un mercato già spaventato. Il 3 aprile un comunicato del Nymex avvertiva che i prezzi sarebbero potuti scendere sotto lo zero.

Il 20 aprile, giorno della chiusura del contratto Wti di maggio, era un lunedì. Nell’Essex gli operatori della Vega si erano collegati prima dell’alba per sfruttare tutta la seduta: il Regno Unito era in lockdown, e le luci accese nelle loro case e nei loro uffici punteggiavano le strade ancora immerse nel buio. Al centro della loro strategia, secondo alcune fonti informate, c’erano i contratti Tas, proprio come ai tempi dell’Ipe. Il meccanismo è questo: un operatore vede che il prezzo del Wti è a 10 dollari e prevede che a fine giornata chiuderà a 5 dollari. Allora compra 50mila barili sul mercato dei Tas, impegnandosi a pagare al prezzo di chiusura ufficiale delle 14.30. Contemporaneamente comincia a vendere futures sul Wti: diecimila barili a 10 dollari e poi, se il mercato scende come previsto, altri diecimila a 9 dollari e poi di nuovo a 8 dollari. Con l’avvicinarsi della chiusura ufficiale, l’operatore accelera le vendite: liquida altri diecimila barili a 7 dollari, quindi altri diecimila a 6 dollari, contribuendo a far calare il prezzo fin quando, come previsto, chiude a 5 dollari. A questo punto è flat, cioè ha venduto tanti barili quanti ne ha comprati e non è obbligato a prendere in carico il petrolio.

Significa che l’operatore ha vinto la sua scommessa. Il suo profitto è di 150mila dollari, cioè la differenza tra quanto ha incassato vendendo petrolio (50mila barili a un prezzo tra i 10 e i 6 dollari, per un totale di 400mila dollari) e quanto ha pagato comprandolo in contratti Tas (50mila barili a 5 dollari al barile, quindi 250mila dollari). È tutto perfettamente legale, a condizione che l’operatore non cerchi deliberatamente di spingere il prezzo di chiusura al ribasso per massimizzare i suoi profitti, perché questa sarebbe una manipolazione del mercato, un reato che per la legge statunitense è punibile con multe o divieti, ma anche con la detenzione fino a dieci anni. Un’altra pratica vietata negli Stati Uniti è fare operazioni durante o prima della chiusura ufficiale senza tenere conto “in modo intenzionale o colposo” delle conseguenze.

Alcuni colleghi raccontano che nei giorni di chiusura gli operatori di Commins riuscivano a guadagnare un sacco di soldi in poche ore vendendo o comprando secondo una strategia comune. La loro tattica, però, era molto rischiosa: a volte a fine seduta si presentava un operatore più grande e faceva la scommessa opposta alla loro, trascinandosi dietro tutto il mercato. C’erano giorni in cui Commins e i suoi perdevano milioni di dollari, racconta un operatore che li conosce. “Non avevano paura di niente. Era una cosa da non credere”, dice un altro.

Mentre il 20 aprile il fondo cinese Crude Oil Treasure e altri vendevano contratti Wti sul mercato dei Tas, i ragazzi dell’Essex compravano, impegnandosi a pagare grandi quantità di petrolio al prezzo di chiusura ufficiale. Tra le 23 del 19 aprile (ora del Regno Unito), quando il mercato ha aperto, e le 17 del giorno successivo (mezzogiorno a New York), il prezzo è passato da 18 a 10 dollari al barile. Mentre il prezzo scendeva, Commins e i suoi hanno venduto decine di migliaia di future Wti, proprio come nell’esempio fatto prima, e di calendar spread, un altro strumento finanziario che permette di scommettere sul prezzo futuro del petrolio. Bastava solo che i prezzi continuassero a scendere: più scendevano, meglio era. Con il passare delle ore, però, cresceva il nervosismo. Commins e i suoi si scambiavano messaggi con i dettagli delle operazioni e si chiedevano se non stessero correndo troppi rischi.

C.J. Burton, Getty Images

A poco più di due ore dalla chiusura ufficiale, gli scambi sul mercato dei future si sono intensificati, facendo scendere il prezzo da 10 a 5 dollari, quindi a zero. Il prezzo è diventato negativo alle 14.08. A quel punto anche gli ultimi temerari disposti a comprare petrolio nella speranza di un rimbalzo sono usciti dal mercato. Nei 22 minuti successivi il contratto di maggio è crollato sotto il peso delle vendite della Vega e di altri operatori. Il Nymex calcola il prezzo di chiusura ufficiale sulla base di una media ponderata degli scambi che avvengono tra le 14.28 e le 14.30: la “stampa” finale, come viene chiamato il prezzo di chiusura, si è collocata a -37,63 dollari. Nell’ultima mezz’ora i nove operatori della Vega Capital erano, come gruppo, di gran lunga i maggiori venditori di future e spread sul Wti, secondo i dati raccolti da Business­week. Un caso singolare in un mercato normalmente dominato da colossi come Bp, Glencore e JpMorgan Chase.

Per un paradosso delle regole della finanza, gli operatori della Vega alla fine hanno guadagnato sia sui future venduti durante la giornata, quando il prezzo del petrolio era ancora in positivo, sia su quelli che avevano comprato attraverso i Tas. A tutto questo vanno aggiunti i profitti derivanti dalle operazioni sugli spread, che hanno portato i guadagni dei nove operatori a un totale di 660 milioni di dollari, secondo i dati di borsa. Demetriou (31 anni), Pickering (25 anni), e Younger (22 anni) hanno intascato più di cento milioni di dollari a testa, Roase circa novanta milioni. Commins ha guadagnato circa trenta milioni di dollari, e suo figlio George, che ha poco più di vent’anni e scarsa esperienza nel settore, otto milioni.

Nel resto del mondo invece gli investitori subivano forti perdite. Il fondo del tesoro cinese ha dovuto comunicare ai suoi clienti che avevano perso tutto il denaro investito. “Non avevamo contemplato” che il prezzo del petrolio potesse scendere sotto lo zero, confessa a Bloomberg News A’Xiang Chen, un investitore di Shenzhen. Syed Shah, un operatore dell’area di Toronto, in Canada, che aveva cominciato a comprare future sul greggio quando il prezzo era arrivato a tre dollari al barile, è finito sotto di nove milioni di dollari. Interactive Brokers, la più grande piattaforma di trading online degli Stati Uniti, ha perso 104 milioni di dollari, perché il suo software non era in grado di gestire i prezzi negativi.

Problemi di ricezione

La voce del colpo dei ragazzi dell’Essex ha girato subito tra gli operatori e nelle chat, anche se gli interessati preferivano non sbottonarsi sull’entità dei loro profitti, racconta qualcuno che ha letto i messaggi. Quando gli hanno chiesto quanto aveva guadagnato, uno di loro ha risposto scherzando che doveva riattaccare perché sullo yacht aveva problemi di ricezione.

Commins e i suoi quel giorno probabilmente avrebbero festeggiato comunque. Ma vista l’entità del guadagno e i loro precedenti – senza contare le pressioni politiche per fare luce sull’accaduto – la Vega è finita sotto il mirino delle autorità di vigilanza. Ad agosto Sherrod Brown, senatore democratico dell’Ohio e componente della commissione bancaria del senato statunitense, ha scritto alle autorità di vigilanza dicendo che l’incidente dava “l’impressione di un mercato soggetto alla manipolazione”. Secondo alcune fonti, la Cftc sta indagando sulla Vega Capital e il procuratore del distretto sud di New York ha aperto un’inchiesta per stabilire se siano stati commessi reati.

Da sapere
In picchiata
Contratti future sul petrolio con scadenza a novembre, giugno e maggio 2020, dollari (Fonte: The Wall Street Journal)

Nessuno, comunque, ha accusato la Vega Capital o gli operatori citati in questo articolo di aver commesso illeciti. Comprare Tas e compensarli sul mercato dei future è una pratica comune e accettata, e non era un segreto che il 20 aprile i prezzi potessero scendere. Se in passato degli operatori si sono trovati nei guai è perché si è scoperto che avevano cercato d’influenzare deliberatamente il prezzo di chiusura invece di limitarsi a sfruttarlo a loro vantaggio. Nel 2012 la società di trading olandese Optiver Holding fu multata di 14 milioni di dollari e tre suoi operatori furono sospesi temporaneamente per aver tentato di manipolare i prezzi di chiusura. Dalle email e dai tabulati telefonici era emerso chiaramente che gli operatori della Optiver parlavano di “martellare” e “bullizzare” il prezzo di chiusura ufficiale dopo aver accumulato Tas. Ma trovare le prove non è sempre così facile. Da quando la Cftc è stata fondata, nel 1974, c’è stato un solo caso di manipolazione del mercato accertato in giudizio. “Ogni nostro cliente mette continuamente a rischio il suo denaro per cercare di realizzare un profitto. A volte funziona, a volte no”, dichiara lo studio legale Simkins, che rappresenta otto dei nove operatori della Vega. “Il 20 aprile una serie di segnali inequivocabili del mercato, tra cui i ripetuti avvertimenti della borsa sull’eventualità che i prezzi potessero scendere in territorio negativo, hanno portato tutti gli operatori, da quelli più piccoli alle grandi istituzioni finanziarie, a scommettere sul ribasso. Nessuno poteva prevedere fino a che punto sarebbero scesi i prezzi. I nostri clienti, come molti altri in tutto il mondo, hanno operato in base alla loro visione del mercato. E non intendono commentare illazioni sui profitti realizzati quel giorno”.

Punti deboli

A prescindere da quello che succederà alla Vega, la pazza seduta del 20 aprile ha messo a nudo i punti deboli del meccanismo dei Tas, che esiste anche nei mercati del gas, del bestiame e di altre materie prime. Craig Pirrong, professore di finanza all’università di Houston, nel 2020 ha pubblicato uno studio in cui spiega che gli operatori di mercato possono accumulare grandi quantità di Tas con un impatto minimo sui prezzi, quindi compensarli sul mercato regolare provocando forti oscillazioni: “un’asimmetria” che a suo avviso si presta alla manipolazione. La Cftc sta valutando una riforma di questo tipo di contratti. A novembre l’autorità ha pubblicato una relazione provvisoria sul 20 aprile che si concentra sulle condizioni macroeconomiche, ma non tiene conto della possibile manipolazione a causa dell’indagine in corso. Il documento è stato criticato da uno dei commissari della Cftc, Dan Berkovitz, che l’ha definito “incompleto e inadeguato”.

“La commissione deve produrre un’analisi significativa per fare tutte le correzioni necessarie a garantire l’integrità di un mercato così importante”, ha detto Berkovitz. “Quello a cui abbiamo assistito è uno degli eventi più straordinari visti sui mercati delle materie prime negli ultimi decenni”. Michael Short, un portavoce della Cftc, ha risposto che “la commissione ha delle precise limitazioni su quello ciò che può divulgare e che si tratta comunque di critiche su una relazione provvisoria”. La Cftc era preparata al 20 aprile, ha aggiunto. “Le grandi oscillazioni del mercato non sono una novità per il personale dell’agenzia”.

A Theydon Bois, intanto, Commins e i suoi cercano di non attirare l’attenzione. Alcuni hanno smesso di trattare future mensili, dice chi li conosce. Molti hanno aperto nuove società e non è chiaro cosa sia successo ai loro guadagni. Dopo il 20 aprile la Vega Capital si è separata dalla G.H. Financials, la camera di compensazione che deteneva i suoi conti di trading e aveva un certo grado di responsabilità nel monitorare le sue attività. Ha una nuova camera di compensazione e continua a operare sul mercato.

La notizia del colpo del 20 aprile è stata accolta con un misto d’incredulità e orgoglio dalla comunità finanziaria londinese. Tommy Gaunt, il cofondatore della Vega che ha lasciato l’azienda pochi mesi prima del grande giorno, si è addirittura guadagnato il soprannome di “quinto Beatle”. “La cosa buffa è che se a fare i soldi sono la Bp o la Goldman Sachs nessuno batte ciglio. Quando invece si tratta di un gruppo di ragazzi della classe operaia, allora per tutti sono degli imbroglioni”, dice un loro collega, dando voce a un sentimento diffuso. “Per quanto mi riguarda posso solo augurargli buona fortuna”. ◆ fsa

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati