L’ingrediente magico indispensabile per diventare presidente dell’Irlanda è misterioso quanto la formula della Coca-Cola, ma a questo punto è evidente che una moltitudine di elettori è convinta che Catherine Connolly lo possegga. Il 24 ottobre la parlamentare indipendente di sinistra, caratterizzata dalla compostezza e dall’aspetto austero di una suora, ha ottenuto una vittoria schiacciante e prenderà il posto di un monumento nazionale, l’ottantaquattrenne poeta Michael D. Higgins. L’elezione di Connolly ha lasciato a bocca asciutta i due partiti di governo.

Jim Gavin, candidato del partito di centrodestra al governo Fianna fáil – scelto personalmente dal taoiseach (primo ministro) Micheál Martin per i suoi successi sportivi – si è ritirato quando si è saputo che non ha restituito 3.330 euro a un suo ex inquilino. Il nome di Gavin è comunque rimasto sulle schede elettorali, come un candidato fantasma. Di sicuro Martin ha maledetto il giorno dell’estate scorsa in cui ha rifiutato l’autocandidatura dell’organizzatore del Live aid, il musicista Bob Geldof, perché aveva già in mente Gavin.

I cinque partiti di sinistra del dáil (la camera bassa) – laburisti, socialdemocratici, People before profit, verdi e Sinn féin – hanno dato vita a un’alleanza senza precedenti per sostenere la candidatura di Connolly: la sua elezione è un’inversione di tendenza rispetto al resto dell’Unione europea, dove la destra si sta affermando sempre di più in un clima segnato da razzismo, antifemminismo e militarismo.

Connolly non era una candidata perfetta, ma aveva due grandi vantaggi. Negli ultimi 35 anni, da quando Mary Robinson è diventata la prima donna e la prima esponente della sinistra a conquistare la presidenza dell’Irlanda, l’elettorato ha espresso costantemente il desiderio di un presidente con l’audacia di un outsider. Questa aspirazione sembra legata all’immagine anticonformista che il paese ha di sé, anche se non si è mai manifestata pienamente in occasione delle elezioni parlamentari. Durante la presidenza di Higgins uno degli oggetti più venduti è stato un copriteiera fatto a maglia con le sue fattezze.

Il secondo e principale vantaggio di Connolly è stato il fattore anybody but Humphreys (chiunque tranne Humphreys). Heather Humphreys, geniale ex ministra del parlare a raffica senza dire nulla, è stata convinta a rientrare dal pensionamento per rappresentare il Fine gael (destra liberale, al governo) dopo che la prima scelta del partito, la commissaria europea Mairead McGuinness, è uscita di scena per motivi di salute. Quando si è rivelata fallimentare l’idea che Humphreys potesse unificare l’isola in quanto presbiteriana residente vicino al confine con l’Irlanda del Nord, il Fine gael ha lanciato una campagna per screditare Connolly, ma la strategia si è rivelata controproducente perché molti elettori hanno manifestato la loro ostilità per le tattiche trumpiane del partito.

Un nuovo stile

Connolly, psicologa e avvocata, ha 13 fratelli ed è cresciuta in una casa popolare di Galway. È contraria alla guerra e all’imperialismo, sostiene la riunificazione dell’Irlanda ed è particolarmente impegnata nella difesa dei diritti delle persone con disabilità.

Come il suo predecessore, ha criticato aspramente l’inerzia dell’Unione europea davanti al massacro commesso a Gaza da Israele. Le sue spericolate dichiarazioni sull’impossibilità di fidarsi della Francia e del Regno Unito alla luce della loro industria bellica e il paragone tra il riarmo attuale della Germania e quello del 1939 hanno alimentato in molti elettori il timore di cosa avrebbe potuto dire da presidente. Questo rischio, però, alla fine si è dimostrato più accettabile di un ritorno alle presidenze vecchio stile, quando i capi di stato seguivano passivamente la linea del governo sprofondando regolarmente nell’irrilevanza.

Durante la campagna elettorale Connolly è stata spesso elusiva a proposito di un suo controverso viaggio in Siria ai tempi del regime Assad e in merito alla sua assunzione all’interno del dáil di una donna arrestata per possesso di armi da fuoco. Rispetto al secondo caso, Connolly ha dichiarato che si è trattato di un esercizio del suo impegno in favore della riabilitazione degli ex detenuti.

A 68 anni Connolly è più anziana di Humphreys ma è anche più amata dai giovani, che hanno apprezzato lo stile attivista e pacifista della sua campagna elettorale. La sua padronanza del gaelico, prima lingua ufficiale dello stato, contrasta fortemente con l’incapacità di Humphreys di parlarlo in pubblico. Ma, dopo decenni di resistenza nei confronti della lingua nativa, oggi parlare irlandese è diventato “cool” per la generazione sintonizzata sui Kneecap, una band di Belfast.

A lungo termine

Mentre i sostenitori festeggiano la vittoria di Connolly, la sensazione generale è quella di un paese che trattiene il fiato. Un numero straordinariamente elevato di schede bianche fa il paio con due notti di violente proteste organizzate fuori da un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Dublino. I partiti di sinistra, uniti sotto la leadership di Connolly, torneranno presumibilmente a scontrarsi in occasione delle elezioni per assegnare il seggio parlamentare lasciato vacante dalla nuova presidente. Detto questo, sembra che siano stati piantati i semi di una futura collaborazione a sinistra in vista delle prossime legislative, in programma per il 2029, che potrebbero finalmente offrire all’elettorato una scelta plausibile tra un governo sbilanciato a destra e uno orientato a sinistra.

L’errore di valutazione commesso da Martin nella scelta del candidato del Fianna fáil si è aggiunto a quello del vicepremier Simon Harris, che per il Fine gael ha imposto Humphreys senza condurre un processo di selezione all’interno del partito. Il risultato è stata una doppia umiliazione cocente. Il malcontento in entrambi i partiti sta già alimentando i dubbi sulla possibilità che i due leader restino in carica fino alle prossime elezioni.

Nonostante il ruolo di presidente sia largamente di rappresentanza e privo di potere politico, gli effetti politici del voto di domenica si faranno sentire. ◆ as

Justine McCarthy è un’editorialista dell’Irish Times.

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati