Israele non si è preoccupato di nascondere il suo coinvolgimento nell’attacco del 9 settembre a Doha: pochi minuti dopo che si sono sentite le esplosioni nella capitale del Qatar, i funzionari israeliani se ne sono assunti la responsabilità sui mezzi d’informazione. E poco dopo l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ufficialmente rivendicato l’attacco contro diversi leader di Hamas (ci sono state sei vittime, ma il gruppo sostiene che i suoi dirigenti sono sopravvissuti).

L’attacco segna l’ennesima escalation israeliana, l’ultima di una lunga serie, tra cui l’avvio di una guerra contro l’Iran, l’occupazione di altri territori in Siria, l’uccisione dei leader della milizia libanese Hezbollah e il massacro di più di 64.500 palestinesi nella Striscia di Gaza dall’inizio della sua operazione militare.

Ma segna anche un nuovo livello in quello che Israele ritiene di poter fare impunemente: si tratta infatti di un attacco diretto contro un alleato degli Stati Uniti – il Qatar ospita la più grande base militare statunitense nella regione – che ha guidato i negoziati per garantire un accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli israeliani in ostaggio a Gaza.

“Abbiamo visto che Israele spara a suo piacimento in aree densamente popolate e residenziali e nelle capitali di tutto il Medio Oriente”, dichiara Mairav Zonszein, analista per Israele dell’International crisis group. “E continuerà a farlo se nessuno prenderà serie iniziative per fermarlo”.

L’ostacolo principale

L’attacco ha colto molti di sorpresa perché è andato oltre quello che l’analista della difesa palestinese Hamze Attar definisce “il lavoro tradizionale del Mossad”, riferendosi ai servizi segreti israeliani, ovvero omicidi tramite autobombe, veleno, armi da fuoco o cecchini. “Non credo che i qatarioti si aspettassero che Israele avrebbe bombardato Doha”, aggiunge.

Finora Israele ha ricevuto dagli Stati Uniti poche critiche per le sue azioni

Cinzia Bianco, ricercatrice del Consiglio europeo per le relazioni estere, sostiene che a causa dei precedenti attacchi di Israele in tutto il mondo “i qatarioti sapevano di non essere completamente al sicuro, ma ovviamente nessuno si aspettava un attacco diretto, e la sfida e la sfrenata incoscienza di questo bombardamento hanno sorpreso, direi, tutti”.

Finora Israele ha ricevuto poche critiche dagli Stati Uniti per le sue azioni, sia con l’attuale presidente Donald Trump sia con il suo predecessore Joe Biden. Nel primo commento dopo il bombardamento a Doha, Trump ha affermato che, anche se gli Stati Uniti erano stati informati, Israele ha attaccato unilateralmente. L’attacco, ha aggiunto, non favorisce gli obiettivi israeliani o statunitensi, ma colpire Hamas è un “obiettivo lodevole”.

“Non credo che Israele avrebbe compiuto un attacco del genere senza il via libera degli Stati Uniti”, afferma Marwan Bishara, analista politico di Al Jazeera. “Se così non fosse, l’amministrazione Trump dovrebbe condannare questo comportamento del suo alleato israeliano mentre sono in corso i negoziati per il cessate il fuoco”.

I colloqui si concentrano su un accordo che Trump ha promosso personalmente, ma nel frattempo il presidente degli Stati Uniti ha cominciato a sua volta a minacciare Hamas e Gaza se non ci sarà un esito positivo. Questo atteggiamento suggerisce che il gruppo palestinese sia il principale ostacolo all’accordo, ma in realtà Hamas ha accettato le passate proposte di cessate il fuoco, solo per scoprire che Israele rifiuta quello che è stato già concordato o modifica i termini dei negoziati.

In precedenza l’amministrazione Trump ha spinto per un accordo che includesse il rilascio parziale degli ostaggi israeliani e una pausa temporanea dei combattimenti durante la quale sarebbero proseguiti i negoziati per mettere fine del tutto alla guerra. Ma Israele ha respinto la proposta dopo averla inizialmente accettata, e l’accordo ora sul tavolo prevede che Hamas rilasci tutti i prigionieri, ottenendo in cambio solo una tregua temporanea nei combattimenti.

Considerando anche l’operazione militare in corso nella città di Gaza, dove l’esercito ha ordinato a tutti i palestinesi di andarsene, e la sua insistenza sulla distruzione di Hamas, sembra probabile che Israele intenda continuare la guerra, qualunque sia l’esito dei negoziati.

“Penso che il punto fondamentale sia che Israele chiaramente non è interessato ad alcun tipo di cessate il fuoco né a proseguire i negoziati, e che la proposta di Trump di trattare con Hamas, qualunque fosse la nuova offerta rivisitata, sia stata solo una messinscena”, dice Zonszein. E aggiunge: “Naturalmente non ci si aspetta che eliminare la leadership politica di Hamas a Doha possa in qualche modo cambiare le carte in tavola nella guerra di Israele contro Gaza”. Altri analisti sono d’accordo: “Israele ha portato il suo disprezzo per i negoziati, per il diritto internazionale e per il rispetto della sovranità degli stati a un nuovo livello di trasparenza”, spiega Daniel Levy, presidente dell’Us/Middle East project ed ex negoziatore israeliano negli anni novanta e primi duemila. “Non saremmo dovuti arrivare al punto in cui una persona imparziale potesse nutrire dubbi sulla buona fede di Israele nei negoziati”.

Colpo al cuore

Il Qatar ha assunto il ruolo di mediatore regionale e internazionale, per esempio mantenendo buoni rapporti sia con gli Stati Uniti sia con l’Iran. Anche se non ha relazioni con Israele, Doha ha ospitato i negoziatori israeliani per i colloqui sul cessate il fuoco dall’inizio della guerra nell’ottobre 2023 e in precedenza ha coordinato con Israele la fornitura di aiuti a Gaza. “Il Qatar è uno dei paesi che sta facendo di più per cercare di calmare la situazione a Gaza e portare entrambe le parti fuori della guerra, ma Israele non ha riconosciuto questi sforzi”, afferma Abdullah al Imadi, scrittore e giornalista che vive nella capitale. Ma il paese ha cominciato a essere coinvolto nella violenza regionale, con un attacco dell’Iran alla base statunitense di Al Udeid a giugno – anche se Teheran ha sottolineato che non era diretto contro il Qatar – e ora con il bombardamento israeliano. Al Imadi ritiene che il Qatar cercherà di “attirare l’attenzione del mondo sulle violazioni di tutte le leggi e convenzioni internazionali compiute dal regime israeliano” durante la riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si apre il 22 settembre. Doha cercherà di “mobilitare l’opinione pubblica internazionale per esercitare pressioni su Israele affinché si sottometta e rispetti la sovranità degli stati”, aggiunge.

Kristian Coates Ulrichsen, ricercatore di Medio Oriente al Baker institute for public policy della Rice university, negli Stati Uniti, si aspetta che i funzionari del Qatar e del Consiglio di cooperazione del Golfo “chiariscano con i loro colleghi statunitensi se l’amministrazione ha dato il via libera a questo attacco”. Se fosse così, aggiunge Ulrichsen, “sarebbe un colpo al cuore dell’alleanza tra Stati Uniti e paesi del Golfo in materia di sicurezza e difesa molto più forte dell’attacco iraniano al Qatar a giugno”.

Diversi analisti suggeriscono che gli stati della regione devono unirsi per fermare Israele. “Ospitare le basi e le forze militari statunitensi era una forma efficace di deterrenza, ma ora non lo è più”, afferma Bianco. “Il Consiglio di cooperazione del Golfo potrebbe rendersi conto che le garanzie di sicurezza offerte dagli Stati Uniti hanno perso il valore di un tempo. Nessuno è davvero al sicuro e nulla è davvero fuori discussione”, conclude Bianco. “Questo, ovviamente, ha implicazioni anche per l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e così via”.

“Ogni stato della regione dovrebbe avere interesse a mettere fine a questa impunità, perché se non vi unite per fermare tutto questo, l’aviazione israeliana e le sue bombe arriveranno anche nel vostro quartiere”, avverte Levy. “La domanda va fatta e gli Stati Uniti devono scegliere: volete mantenere relazioni con il resto della regione? Oppure volete assecondare i crimini israeliani?”. ◆ fg

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati