Per Evan il telefono è uno strumento di lavoro fondamentale. Le chiamate automatiche dei call center e le ore passate a cercare di farsi capire dai servizi clienti automatizzati gli fanno perdere tempo prezioso e gli tengono occupata la linea. Così ha deciso di creare delle copie digitali di se stesso con l’intelligenza artificiale per mandarle nel mondo al posto suo. Prima crea un clone della sua voce, poi la aggancia a un “cervello” digitale e poi attiva i suoi agenti virtuali attraverso un programma che fa telefonate automatiche usando il suo numero di telefono reale. Shell game è un viaggio allucinante nell’identità vocale di Evan, che dopo aver ceduto alla seduzione di creare un clone digitale della sua voce comincia a scindersi in versioni di sé che lui stesso si mette ad ascoltare. All’inizio affronta i bot dei servizi clienti, per passare poi ai truffatori di criptovalute. Nella terza incredibile puntata arriva a costruire un labirinto di specchi in cui tutte le versioni di se stesso dialogano tra di loro fino a impazzire, tanto da rivolgersi poi (nella quarta puntata) a degli psicologi, ovviamente automatizzati. In questa serie il giornalista statunitense Evan Ratliff riesce a combinare magistralmente tutti i sentimenti che negli ultimi anni hanno accompagnato la narrazione sull’intelligenza artificiale: divertimento, fiducia, entusiasmo, angoscia e terrore.
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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati