Nel primo decennio degli anni duemila c’è stata un’esplosione di reality, programmi televisivi che univano documentario ed egocentrismo dei protagonisti. Le televisioni commerciali facevano a gara per ideare il format più assurdo. Uno di questi era I wanna marry “Harry”: dodici donne statunitensi, scelte per un prorompente aspetto fisico e per una conoscenza approssimativa della geopolitica internazionale, vengono portate nel Berk-shire, nel Regno Unito, per contendersi un posto da fidanzata di quello che allora era lo scapolo più ambito d’Inghilterra, Henry duca di Sussex, nipote della regina d’Inghilterra. Il principe arriva in elicottero e incontra le aspiranti una a una, invitandole a vivere nella sua tenuta rurale, piena di foto di famiglia e cimeli, dove deciderà chi sarà la sua futura sposa. Ma lo scapolo in realtà non è il principe Harry, è solo un biologo che arrotonda facendo il sosia, e la tenuta dei reali britannici è una messa in scena. Quasi nessuna delle partecipanti si accorge dell’inganno, e chi nutre qualche sospetto fa finta di niente, in cerca della visibilità che il reality può portare. In questo podcast l’ex critico televisivo di Buzz-feed Scott Bryan, che per lavoro doveva rimestare tra il peggio della televisione, riguarda le puntate con alcuni dei protagonisti, tra cui il finto principe Harry. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati