Nel 1982 Roberto Calvi, un banchiere legato al Vaticano, fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Aveva una corda al collo e, nelle tasche, dei mattoni e migliaia di dollari in varie valute. Dalla sua morte, che ancora oggi è avvolta nel mistero, sono passati più di quarant’anni, ma uno scandalo finanziario ogni tanto fa parte del fascino di Roma. Ad agosto un ex alto dirigente dell’ Istituto per le opere di religione (Ior, la banca vaticana) ha accusato la Santa Sede di agevolare il riciclaggio di denaro, modificando a posteriori i nomi e i numeri di conto delle transazioni.
Tuttavia durante il mandato di papa Francesco erano stati fatti vari passi avanti. Il pontefice aveva migliorato i controlli e la trasparenza, e aveva affidato incarichi di prestigio a dei tecnici, invece che a religiosi che imparavano il lavoro strada facendo. Bergoglio, però, non è riuscito a rimediare alla mancanza strutturale di soldi. Da tempo il Vaticano registra un deficit di decine di milioni di euro.
Non è un compito facile, naturalmente, bilanciare le finanze di una città stato con circa cinquemila dipendenti, una banca, investimenti all’estero, un enorme dispendio di energie dedicato alle pubbliche relazioni e una popolazione che invecchia. Il tutto senza riscuotere tasse. Si spera che il nuovo papa, Leone XIV, matematico e amministratore esperto, faccia gli interventi giusti. Lo aspettano scelte difficili, per esempio quella tra guadagnare e mantenere alti i valori cattolici.
Secondo i dati più recenti, il bilancio del Vaticano è di 1,2 miliardi di euro. La città stato, che ha circa cinque volte meno abitanti che dipendenti, ha dimensioni minuscole. Tanto per farsi un’idea: in un anno i Paesi Bassi spendono almeno 461 miliardi di euro. Il problema è che il Vaticano spende più soldi di quanti ne guadagni: nel 2023 lo scoperto era di 83,5 milioni di euro. I dati del 2024 non sono ancora disponibili, ma secondo il quotidiano La Repubblica il deficit sarebbe stato ridotto a 68 milioni.
E poi c’è la minaccia del buco nel fondo pensione, che potrebbe arrivare a 1,5 miliardi di euro. È quanto emerge da alcuni documenti interni consultati dal blog cattolico The Pillar. A quanto pare, il problema esiste almeno dal 2015, ma non è stato fatto quasi niente per risolverlo. Quali sono i punti critici per il vescovo di Roma? Certo non i proventi generati dal turismo, com’era successo durante la pandemia di covid-19. Nel 2024 i Musei vaticani, di cui fa parte la Cappella Sistina, sono stati visitati da 6,8 milioni di persone. Questo, insieme alla vendita di portachiavi, tazze e altri souvenir, ha prodotto entrate per cento milioni di euro. Quest’anno, con il giubileo e l’elezione del nuovo papa, a Roma è arrivata ancora più gente, milioni di pellegrini. Quindi è possibile che nel 2025 i cento milioni di euro saranno superati.
La secolarizzazione della società
I problemi strutturali risiedono altrove. Innanzitutto in una grande fonte d’entrate: fin dall’antichità il Vaticano riceve decine di milioni in donazioni dalle diocesi di tutto il mondo. Visto che la società si sta allontanando dalla religione, però, la cifra continua a ridursi. Dai cinque principali donatori – Stati Uniti, Germania, Italia, Francia e Corea del Sud – arrivano sempre meno soldi, racconta il vaticanista Iacopo Scaramuzzi. Un motivo è che varie diocesi negli Stati Uniti hanno dichiarato fallimento a causa dei risarcimenti versati alle vittime di abusi sessuali.
I soldi al Vaticano, tuttavia, arrivano anche da singoli fedeli, attraverso il cosiddetto obolo di San Pietro. Negli ultimi anni questo tipo di donazioni è aumentato: nel 2021 l’obolo di San Pietro ha fornito 44,4 milioni di euro e nel 2024 54,3 milioni. È una notizia che fa ben sperare, ma non basta certo a sanare il bilancio.
Dai cinque principali donatori del Vaticano arrivano sempre meno soldi
La speranza è che lo statunitense Leone XIV possa riconquistare i ricchi donatori tra i conservatori del suo paese d’origine. “Una volta versavano grosse cifre, ma non vedevano di buon occhio Francesco, a causa delle sue posizioni progressiste e delle sue dure critiche al capitalismo”, spiega Scaramuzzi. “Il problema è che anche Leone è critico verso le conseguenze estreme del capitalismo, per cui bisogna vedere se riuscirà a ottenere qualcosa”.
Ma a prescindere dalle posizioni del papa sul capitalismo, il Vaticano partecipa pienamente all’economia globale. L’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa, il gestore patrimoniale del Vaticano) si occupa di almeno cinquemila proprietà tra appartamenti, uffici, chiese e terreni, di cui più di 4.200 si trovano in Italia. Nel 2023 un tribunale del Vaticano ha condannato uno dei più importanti consulenti del papa, Angelo Becciu, per una frode immobiliare a Londra. Quell’anno l’Apsa ha registrato un utile di 45,9 milioni di euro. Ma in teoria i guadagni potrebbero essere molto più alti se le proprietà immobiliari fossero usate a scopi commerciali. Più del 70 per cento dei beni, infatti, è concesso a titolo gratuito, e circa il 10 per cento è affittato a prezzi ridotti. Secondo il portale di notizie della Santa Sede, solo il 20 per cento è affittato a prezzi di mercato.
Gli ordini religiosi, per esempio, hanno bisogno di un posto dove vivere. Alcuni di questi edifici si potrebbero vendere per guadagnare qualcosa. Tuttavia molti hanno un significato particolare per la chiesa. “Non si può vendere la basilica di San Pietro”, dice Scaramuzzi.
Inoltre gli investimenti fatti per il Vaticano devono essere in linea con i valori cattolici. Questo significa che non si possono finanziare aziende legate ad attività come il gioco d’azzardo e la pornografia. In alcuni casi le cose, però, sono andate diversamente. Per esempio, si è scoperto che i soldi del Vaticano erano stati investiti in una casa farmaceutica che produce pillole del giorno dopo. O in un film di Hollywood sul “peccaminoso” cantante Elton John. In seguito, il Vaticano ha imposto regole più rigide.
Come succede spesso in altri ambiti, gli investimenti sostenibili sono più rari e non garantiscono grandi guadagni. Lo dimostrano anche le critiche alla decisione di papa Francesco di riempire di pannelli solari un grande campo vicino a Roma. In questo modo il Vaticano diventerebbe il primo stato al mondo a impatto climatico zero, ma alcuni ritengono che il terreno dovrebbe essere usato in modo che frutti più soldi. Nel frattempo la banca vaticana registra profitti: più di trenta milioni di euro nel 2023. Tuttavia non si sa bene in cosa siano investiti i soldi dell’Apsa e dello Ior.
Una parte notevole delle entrate e delle spese della chiesa cattolica è legata ai servizi, come gli ospedali della Santa Sede. Non si capisce se lì sia possibile risparmiare o guadagnare di più, perché il Vaticano non fornisce mai resoconti dettagliati su queste strutture. Anche per questo continua a essere difficile avere un quadro completo del bilancio del Vaticano, in cui tra l’altro si sovrappongono vari istituti e flussi di denaro.
Alcune uscite sono più complesse da valutare per gli osservatori esterni. Per esempio, il Vaticano deve affrontare spese consistenti per assicurare la sua presenza in tutto il mondo e su internet. La chiesa cattolica ha almeno 180 missioni diplomatiche, dette nunziature, che costano almeno 37 milioni di euro all’anno. Un’altra grossa voce di spesa, quasi 45 milioni, è costituita dalle comunicazioni. Roma spende molto per diffondere il suo messaggio, anche attraverso i social media. Alcuni si chiedono se questa spesa non possa essere ridotta, ma diffondere il verbo fa parte della missione della chiesa.
Un altro esempio ancora sono i milioni spesi ogni anno in progetti di restauro e costruzione in tutto il mondo. Alcune chiese si trovano in zone povere. Si può risparmiare sul sostegno a quei territori, ma a scapito delle comunità.
“Il Vaticano è poco flessibile nelle sue spese”, conclude Scaramuzzi. “Ma per ridurre il deficit deve fare dei tagli. Solo che non può risparmiare sul personale, perché sarebbe in contrasto con il modello sociale della chiesa. Durante la pandemia, per esempio, non è stato licenziato nessuno. Insomma, funziona in modo diverso rispetto al settore privato”.
Il Vaticano ha provato di tutto: ridurre gli stipendi dei cardinali, bloccare le assunzioni, alzare gli affitti. “Ma sono piccole cose”, dice a The Pillar un dipendente che preferisce restare anonimo. “È come tentare di prosciugare un lago usando delle tazzine da caffè”. D’altro canto papa Leone è un amministratore navigato, sottolinea Scaramuzzi. “Presso gli agostiniani, dove ha avuto un ruolo di comando per dodici anni, ha fatto molte buone cose nella gestione del personale e delle finanze. Credo che affronterà la questione con saggezza”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati