Nel dibattito sui danni provocati al nucleare iraniano dai bombardamenti degli Stati Uniti e di Israele una cosa è certa: il settore energetico del paese, la vera mucca da mungere del regime, ne è uscito indenne. I numeri non mentono. Secondo dati resi noti di recente, nel 2024 la produzione iraniana di petrolio ha raggiunto il punto più alto degli ultimi 46 anni, e le informazioni disponibili per i primi sei mesi del 2025 suggeriscono che anche quest’anno ci sarà un aumento della produzione.
Ogni volta che un funzionario statunitense accenna alle sanzioni sul petrolio iraniano non posso fare a meno di chiedermi di che sta parlando. Più si va avanti, più queste sanzioni esistono solo sulla carta, mentre la Casa Bianca vanta un’inesistente politica di “pressione estrema” sul settore petrolifero iraniano. Io di estremo vedo solo la produzione di petrolio. “Abbiamo le sanzioni”, ha detto il presidente statunitense Donald Trump a Fox News, come se queste misure stessero funzionando davvero. “Se riusciranno a dimostrarci di non voler fare alcun danno, toglierò queste sanzioni”. Di sicuro la repubblica islamica sarebbe felice se fossero eliminate tutte le sanzioni – non solo quelle applicate al settore energetico – ma per quanto riguarda il petrolio, Trump può esercitare un’influenza molto minore di quanto dice. E Teheran lo sa.
La storia del modo in cui l’Iran ha sconfitto le sanzioni degli Stati Uniti sul petrolio risale a decenni fa e mescola dosi di realpolitik statunitense con l’intraprendenza iraniana e la potenza della Cina. Da un lato Washington ha chiuso un occhio davanti a evidenti violazioni, preferendo mantenere i prezzi del petrolio bassi e l’inflazione sotto controllo; dall’altro ci sono la raffinatezza e la determinazione con cui Teheran e Pechino le hanno evase.
La repubblica islamica sta guadagnando più petrodollari di quanto molti avrebbero ritenuto possibile. Secondo l’azienda di consulenza Fge Energy, nel 2024 le esportazioni energetiche iraniane hanno raggiunto la cifra record di 78 miliardi di dollari, contro i 18 miliardi del 2020.
Il settore petrolifero del paese è stato oggetto di sanzioni intermittenti degli Stati Uniti fin dal novembre del 1979, quando Jimmy Carter impose le prime misure in risposta alla crisi degli ostaggi. Nel 1981 ci fu un alleggerimento dopo gli accordi di Algeri, che permisero il rilascio degli ostaggi. Poi nel 1987 Ronald Reagan impresse un nuovo giro di vite. Le sanzioni furono intensificate nel 1996, sotto la presidenza di Bill Clinton, e dal 2010 con una serie di nuovi provvedimenti voluti da Barack Obama.
Per tutto questo tempo, tuttavia, Washington ha dimostrato che la sua priorità è tenere bassi i prezzi del petrolio. Nel 1991 il dipartimento del tesoro permise a Oscar Wyatt, un importante operatore statunitense del settore petrolifero, di comprare petrolio iraniano dopo che l’Iraq aveva invaso il Kuwait (all’epoca Saddam Hussein era ritenuto una minaccia più grave dell’ayatollah Ali Khamenei).
Condensati e liquidi
Poi c’è l’evoluzione del settore petrolifero iraniano. Anche se il greggio attira l’attenzione di tutti, negli ultimi anni Teheran ha sviluppato un ramo del settore petrolifero che storicamente ha ricevuto scarsa attenzione a Washington: condensati e liquidi del gas naturale come etano, butano e propano. Negli ultimi anni Teheran ha accresciuto la quota della sua produzione petrolifera diversa dal greggio. Oggi i condensati e i liquidi del gas naturale coprono quasi un terzo del totale. Per quanto restino fuori dei radar, questi prodotti assicurano una grande quantità di petrodollari. Nel 2024 l’Iran ha prodotto 4,3 milioni di barili di greggio al giorno, più 725mila barili al giorno di altri prodotti liquidi, per un totale di 5,1 milioni di barili. Questa stima è stata pubblicata il mese scorso dallo Uk energy institute nella sua Statistical review of world energy, una pubblicazione annuale considerata la bibbia statistica del settore. Teheran non produceva più di cinque milioni di barili al giorno dal 1978, l’anno prima della rivoluzione islamica.
Sviluppare le sue vaste riserve di condensati e liquidi del gas naturale senza aiuti stranieri non è stato facile. Ma quando le sanzioni hanno bloccato le aziende europee e asiatiche, si è fatto avanti il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, una potente organizzazione militare che controlla un’ampia gamma di aziende locali. Nell’ultimo decennio Khatam al Anbiya, un gruppo edilizio gestito dai guardiani della rivoluzione, ha costruito impianti cruciali necessari per lavorare i condensati e liquidi del gas naturale e ottenere prodotti utilizzabili. È stata una scommessa vincente. Oggi, secondo quanto ha dichiarato ad aprile il ministero del petrolio iraniano, “i liquidi del gas naturale sono le esportazioni più redditizie per l’Iran dopo il greggio e il gas naturale. L’anno scorso il propano ha fruttato 3,6 miliardi di dollari, a cui si aggiungono 2,2 miliardi di dollari provenienti dal butano. “Investire nella produzione di liquidi del gas naturale non è solo un’opportunità economica, ma anche una necessità strategica per aumentare le entrate di valuta estera”, ha aggiunto il ministero.
Dopo essersi assicurato un nuovo e crescente flusso di petrolio sotto il naso di Washington, Teheran ha cercato un modo per mettere in sicurezza le sue esportazioni di greggio. Pechino ha costruito una filiera a prova di sanzioni che comprende petroliere, trasferimenti da nave a nave e l’uso di soggetti che operano al di fuori del sistema del dollaro statunitense.
Il fatto che l’amministrazione Biden abbia chiuso un occhio su tutto ha aiutato. La Casa Bianca, preoccupata di tenere bassi i prezzi del petrolio mentre colpiva la Russia con sanzioni nel settore energetico, è arrivata alla conclusione che per danneggiare Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 avrebbe dovuto avere un atteggiamento meno rigido verso il commercio petrolifero sino-iraniano. Oggi la Cina compra il 90 per cento delle esportazioni di greggio iraniano.
La guerra dei dodici giorni tra Israele e Iran, con il successivo coinvolgimento degli Stati Uniti, non ha modificato la situazione. Israele ha danneggiato solo un paio di strutture petrolifere, che sono state prontamente riparate. La Casa Bianca, invece, è intervenuta dietro le quinte per impedire che la guerra colpisse anche il settore energetico. Questo tornerà utile a Teheran durante la ricostruzione. ◆ gim
Javier Blas è un giornalista spagnolo esperto di materie prime.
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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati