Ci sono storie che ci trasportano in un tempo remoto, non solo cronologicamente, ma psicologicamente. Il romanzo di Laura Imai Messina è uno di questi. Ci riporta all’infanzia, ma conduce dentro un sogno. Protagonisti assoluti del romanzo sono i giocattoli. Ma non è Toy story, non ci sono avventure, persone o altri giocattoli da salvare superando i propri limiti. Questa è una storia di cura, di ferite, di lacerazioni, di giocattoli che perdono un pelo, un arto, un occhio, un sopracciglio e poi, con ago e filo, vengono curati dal dottor Fujita. È la storia di un ospedale, uno strano negozio che sembra nascere dal nulla una sera di capodanno, dove giocattoli che sarebbero stati gettati nell’immondizia o direttamente al macero trovano momenti di misericordia. La narrazione prende piede quando Airi e la sua capibara di peluche s’incuriosiscono delle luci che si accendono improvvisamente dove prima c’era buio, in quella bottega che non hanno mai visto aperta. Fanno la conoscenza del dottor Fujita, ma anche delle storie dei vari giocattoli, in bilico tra la commedia e il melodramma. Airi non sa che insieme alla sua capibara di peluche sarà anche lei al centro delle cure del dottore. Laura Imai Messina, che ci ha abituato alle sue narrazioni dal Giappone, ci regala una fiaba tenera come il fiore di loto.

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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati