Vi ricordate i bei tempi andati del colera? Per molti, in Italia, la lentezza con cui si procede nella vaccinazione contro il covid-19 fa quasi rimpiangere il 1973, quando Napoli dovette fare i conti con un’epidemia, potenzialmente letale, di una malattia che molti credevano debellata da tempo nei paesi industrializzati.
La città fu salvata dopo una mobilitazione che portò alla vaccinazione di quasi l’80 per cento della popolazione – circa novecentomila persone – in cinque giorni. In Italia morirono in 24, grazie anche alla marina militare statunitense, al Partito comunista italiano (Pci) e all’assenza di scetticismo nei confronti dei vaccini.
Quasi cinquant’anni dopo, mentre in Italia la campagna di vaccinazioni procede a singhiozzo, la risposta all’epidemia del 1973 a Napoli è stata indicata da virologi e politici come un modello da imitare.
Matteo Renzi, che a gennaio di quest’anno ha fatto cadere il governo per divergenze sui piani di rilancio dopo la pandemia, ha definito i ritardi nel piano di vaccinazioni un “errore imperdonabile”. Da quando è cominciata la campagna vaccinale, due mesi fa, l’Italia ha somministrato appena 7,2 dosi ogni cento persone (nel Regno Unito sono state 31 su cento). A questa velocità l’obiettivo del governo di vaccinare il settanta per cento della popolazione sarà raggiunto ad aprile, ma del 2024.
I primi casi di colera a Napoli furono rilevati nell’agosto del 1973 e la causa fu attribuita a crostacei importati illegalmente dalla Tunisia. Le autorità risposero aggiungendo cloro alle riserve idriche, vietando la vendita di pesce e frutti di mare e ripulendo le strade. All’epoca l’epidemia europea di colera del 1911 – che ispirò _Morte a Venezia _di Thomas Mann e causò seimila morti a Napoli – era ancora un ricordo vivo. Per evitare che quella sciagura si ripetesse, i napoletani chiesero con forza una campagna di vaccinazioni di massa. “A Napoli la paura del colera è ancestrale. La sola parola evoca un panico di massa”, spiega a Politico Paolo Cirino Pomicino, che nel 1973 era assessore del comune. Nel giro di pochi giorni si formarono lunghe code fuori dalle decine di centri vaccinali allestiti in edifici pubblici, chiese e teatri, con le vaccinazioni somministrate in centri aperti dodici ore al giorno, racconta Pomicino. “Nessuno saltava la fila”, dice. “Una città molto disordinata diventò improvvisamente disciplinata”.
La sesta flotta della marina degli Stati Uniti, che stazionava a Napoli, svolse un ruolo importante, immunizzando migliaia di persone che si presentavano alla base. Usando le siringhe a pistola impiegate per la prima volta nella guerra del Vietnam, che consentivano una somministrazione più rapida, i militari statunitensi riuscirono a vaccinare trentamila persone in meno di cinque ore, ricorda Francesco De Lorenzo, ministro della sanità nei primi anni novanta. Nel 1973 lo stesso sindaco di Napoli, Gerardo De Michele, che era un medico, vaccinò le persone nel cortile del municipio. Anche il Pci, all’opposizione, diede un importante contributo, allestendo centri di vaccinazione nei quartieri dove aveva un consenso maggiore. Il Partito comunista “voleva dare prova delle sue capacità tecniche e organizzative, dimostrare che i comunisti non erano mangiatori di bambini come venivano dipinti negli anni cinquanta e sessanta, e che erano capaci di governare una città, se non un paese”, spiega lo storico Luigi Mascilli Migliorini dell’Università L’Orientale di Napoli.
L’efficienza dimostrata allora fu notevole, ma ci sono diverse ragioni per credere che sia difficile replicare oggi quella campagna vaccinale. Il covid-19 ha un tasso di mortalità molto più basso del colera, quindi la paura che spinge le persone a vaccinarsi è minore. Inoltre il colera era una malattia nota, per la quale esisteva già un vaccino, mentre il covid-19 è una malattia nuova. Gli italiani oggi sono più scettici nei confronti dei vaccini: solo sei su dieci dicono che si faranno vaccinare.
Il governo italiano ha accusato le case farmaceutiche per i ritardi nella distribuzione e la Commissione europea per aver firmato contratti inefficaci, ma i problemi di approvvigionamento non bastano a spiegare il rallentamento della campagna vaccinale. In Italia l’80 per cento delle dosi del vaccino AstraZeneca arrivate non è stato usato.
La mancanza di personale qualificato è uno dei problemi, e le siringhe a pistola del 1970 non possono più essere usate per il rischio di diffusione di malattie come l’hiv e l’epatite. In Italia per vaccinare una persona ci vogliono in media sei minuti. Per alcuni la riforma del sistema sanitario italiano, che nel 1992-1993 ha assegnato alle regioni la competenza sulla sanità, ha portato a una mancanza di coordinamento tra il governo nazionale e le amministrazioni locali. “Non c’è capacità organizzativa. Sapevano che i vaccini sarebbero arrivati, avrebbero potuto assumere dodicimila dottori: sapevano che sarebbero stati necessari. Invece oggi manca il personale”, dice De Lorenzo. Alcune regioni, tra cui il Veneto, hanno addirittura cercato di assicurarsi una scorta di vaccini a parte, invece di affidarsi a forniture nazionali.
Rispetto delle regole
Napoli inizialmente sembrava aver resistito bene alla crisi del covid-19. La combinazione tra una città densamente popolata, spesso mal governata, e dei cittadini descritti frequentemente come scettici nei confronti dell’autorità, molto inclini alla socialità e poco a restare a casa, poteva essere la formula ideale per un disastro. Ma durante la prima ondata dell’epidemia il rispetto delle regole è stato maggiore del previsto, forse grazie ai ricordi della crisi del colera. Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, nel 2020 il tasso di mortalità in Campania è stato dell’1,3 per cento (il più basso d’Italia), rispetto al 5,4 per cento della Lombardia.
La mortalità in eccesso (il numero di decessi complessivi, per ogni causa, rispetto a quanto previsto in condizioni normali) tra gennaio e ottobre del 2020 a Napoli è stato sotto l’1 per cento, rispetto al 60 per cento registrato nel capoluogo più colpito, quello di Cremona.
L’ospedale Cotugno a Napoli, un tempo centro dell’epidemia di colera, era diventato un modello globale per le migliori pratiche legate al covid-19, visto che nessuno tra il personale medico era stato infettato. L’ex direttore dell’ospedale, l’infettivologo Franco Faella, che aveva cominciato la sua carriera in prima linea durante la crisi del colera, è stato richiamato dalla pensione quando è cominciata la pandemia e incaricato di formare il personale alle procedure di sicurezza e di creare un ospedale da campo per i pazienti del covid-19. Ma a Napoli il rispetto delle misure di distanziamento si è progressivamente affievolito. Il distanziamento sociale è una bella pretesa quando circa due lavoratori su tre lavorano in nero, spesso con salari che non superano i venti euro al giorno. Il 26 febbraio, dopo che il numero di casi in Campania ha toccato i duemila al giorno, il presidente della regione Vincenzo De Luca ha ordinato la chiusura delle scuole. Ora che l’attenzione si è spostata sulle vaccinazioni, c’è chi dice che la Campania abbia ricevuto meno vaccini di altre regioni di grandi dimensioni.
De Luca ha promesso di vaccinare quattro dei cinque milioni di abitanti della Campania entro giugno, ma ha avvertito più volte che servirà “un miracolo” per completare la campagna vaccinale quest’anno. “Dobbiamo vaccinare cinquantamila persone al giorno ma al momento ordiniamo appena cinquantamila vaccini a settimana”, ha detto De Luca.
I napoletani amano far notare che l’ultimo caso di colera è stato diagnosticato il 19 settembre 1973, il giorno della festa di san Gennaro. Come ogni anno una fiala contenente il sangue secco del patrono della città venne esibita pubblicamente nella cattedrale della città e i fedeli pregarono per la sua liquefazione, nota come il “miracolo di san Gennaro”. Anche se il sangue non si sciolse, il merito della liberazione della città dal colera fu attribuito al santo. È probabile che il prossimo settembre i napoletani dovranno aspettare un altro miracolo.◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati