E non c’è un solo giusto a Sodoma. In Israele ci sono pochi politici e personaggi pubblici che chiedono la fine della guerra. Molte persone stanno lottando coraggiosamente per la liberazione degli ostaggi. Molte altre vorrebbero la destituzione di questo governo. Ci sono persone preoccupate per la reputazione internazionale del paese, che sta diventando uno stato paria. Tanti sono preoccupati per le conseguenze della messa al bando di Israele e per i suoi costi economici e sociali.

E non c’è un solo giusto a Sodoma. In pochi si dicono pubblicamente inquieti oltre che per la reputazione e per l’integrità morale di Israele anche, e soprattutto, per la sorte degli abitanti di Gaza. Non una sola figura pubblica israeliana perde il sonno per le urla dei bambini terrorizzati e sofferenti negli ospedali, per gli anziani sballottati da un posto all’altro su carretti trainati dagli asini e per l’eliminazione di intere famiglie.

Ho mostrato a una mia parente un terribile video da Gaza e lei mi ha chiesto senza pensarci: “Sei sicuro che non sia un falso?”. Nulla infrangerà il muro protettivo che gli israeliani si sono costruiti intorno

Il dolore di Gaza è un rumore di fondo nella discussione pubblica impegnata in un dibattito totalmente diverso. Anche i migliori di noi sono interessati solo alle implicazioni che la guerra ha per Israele. Manca una voce umana; l’umanesimo è morto. È completamente assente dalla politica; la maggior parte degli intellettuali è ammutolita, e non ce n’è traccia nei mezzi d’informazione. Non ci sono intellettuali come Yeshayahu Leibowitz, Janusz Korczak o Bertrand Russell a gridare: deve finire tutto quello che Gaza sta subendo. A tutta la società israeliana manca l’umanità di fondo per essere scossa dalla sofferenza delle vittime.

Lo shock per quello che è successo il 7 ottobre 2023 non ha lasciato il posto a uno shock simile per quello che Israele fa a Gaza. Perché? Perché noi siamo ebrei e loro no? La bontà umana non può forse oltrepassare i confini e superare le affinità nazionali di fronte alla distruzione? “Per favore, non disturbate, siamo ancora al 7 ottobre”. Ma da allora abbiamo commesso mille 7 ottobre, che però non sono riusciti a toccare il cuore degli israeliani. I mezzi d’informazione sleali aiutano le persone a non vedere gli orrori. Ma anche senza di essi si può conoscere il tremendo disastro causato per opera nostra.

Qui non si sentono le proteste contro tutto questo. I motivi sono tanti, ma non ci può essere una giustificazione. È ovvio che le persone si preoccupano di più dei propri cari, e ogni stato si preoccupa prima di tutto del proprio popolo. Ma fino a che punto? Qualche giorno fa ho mostrato a una mia parente un terribile video da Gaza e lei mi ha chiesto senza pensarci: “Sei sicuro che non sia un falso?”. Nulla infrangerà il muro protettivo che gli israeliani si sono costruiti intorno. Niente di ciò che accade a Gaza suscita alcun senso di colpa. Non abbiamo neppure proteste come quelle che per anni hanno fatto tremare gli Stati Uniti, quelle contro la guerra in Vietnam. Non c’è nessun Eugene McCarthy che si candida con un programma di opposizione alla guerra.

Prendiamo l’esemplare commento di Orna Rinat pubblicato in ebraico, forse l’articolo più sconvolgente uscito in Israele sulla sofferenza dei bambini a Gaza. Per caso ha fatto scalpore? Dov’è la persona che salirà sui palchi a dire che l’orrore deve fermarsi prima di tutto in ragione della sofferenza della popolazione di Gaza, e al diavolo tutte le altre considerazioni erudite? L’ex premier israeliano Ehud Barak, uno dei leader del movimento di protesta, ha scritto un altro sferzante articolo chiedendo la fine della guerra. L’ho letto due volte. Non c’è un solo cenno di comprensione o empatia per la Striscia: le sofferenze di Gaza sono l’ultima cosa che interessa a Barak. Offre molte spiegazioni sul perché la guerra debba essere fermata. Sottolinea perfino la necessità degli “aiuti umanitari”, soprattutto allo scopo di placare il mondo. Ma dov’è l’indignazione per la distruzione?

Il commento dell’ex primo ministro Ehud Olmert è stato più coraggioso e umano. In Sudafrica gli ebrei bianchi parteciparono al fianco dei neri alla lotta contro l’apartheid. Furono feriti, messi in prigione per anni e alcuni morirono. La guerra deve finire innanzitutto perché è una guerra di distruzione, che sta causando sofferenze disumane alla gente di Gaza. Non c’è nessuno in Israele che lo dirà con queste parole. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati