I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana la giornalista freelance norvegese Eva-Kristin Urestad Pedersen.
Quando ero piccola, avevo un’amica mezza francese. Era un po’ timida e, quando abbiamo cominciato ad avere i primi piccoli amori, lei diceva di avere un “fidanzato” in Francia, cosa che noi altri ovviamente non avevamo modo di verificare. Non era una cosa molto credibile, e infatti era una bugia. Ho pensato alla mia amica timida e al suo finto ragazzo quando ho letto Hello, goodbye, il romanzo di Claudio Grattacaso. Nei primi capitoli, lo scrittore introduce un personaggio chiave, un boss mafioso che per tutti i personaggi è conosciutissimo, ma per noi lettori è solo un nome. In quel preciso momento, almeno per me, lo scrittore ha perso la sua credibilità. Ha fatto come la mia amica d’infanzia, basandosi su un personaggio di cui i lettori non possono verificare né l’esistenza né le caratteristiche. Per quello lo ringrazio. Lo ringrazio perché ho imparato una cosa: le storie sono belle perché noi lettori ci sentiamo parte di quello che accade. Nel raccontare le storie, se introduci un personaggio chiave, che per tutti i protagonisti della storia è conosciuto ma per i lettori no, si rompe l’illusione, un’illusione che ci dev’essere in ogni romanzo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati