Fin dalla notte dei tempi c’è sempre stato il modo d’ingentilire il volto di un sovrano, esaltandone i meriti per conferirgli un’aura di santità. E già Karl Marx aveva colto le capacità del cinema di condizionare l’opinione pubblica, quando disse: “A teatro, la gente si dimentica di Dio”. E così il leader egiziano Abdel Fattah al Sisi usa i film, le serie tv e gli spettacoli teatrali per fare il lavaggio del cervello agli egiziani e cancellare il ricordo dei crimini commessi dal regime, riconosciuti come tali in tutto il mondo.

Come molti arabi ho sempre seguito l’industria cinematografica egiziana. Il paese, all’avanguardia nel settore tanto da essere soprannominato la Hollywood d’oriente, produce ormai film e serie che sembrano far parte di un sistema coordinato e politicizzato, una sorta d’industria d’intelligence finalizzata a migliorare l’immagine di Al Sisi e dello stato (l’esercito, il governo e il ministero dell’interno) facendo leva su ripetizioni martellanti e sensazionalismo emotivo.

Verifiche di qualità

Che i regimi autoritari controllino il cinema è cosa nota. Normalmente si limitano a tracciare dei confini da non oltrepassare e lasciano il mercato libero di muoversi al loro interno. Con Al Sisi, che ha imposto una “verifica” della qualità solo per sottomettere il cinema ai suoi orientamenti politici e migliorare la narrazione ufficiale degli eventi, i margini di libertà sono ancora più stretti.

Analizzando i film prodotti nell’era di Al Sisi si possono identificare alcune caratteristiche ricorrenti. In primo luogo l’immagine delle istituzioni, che sono la spina dorsale del regime nonché le sue roccaforti, è migliorata, diventando più solida. Questo vale in particolare per l’esercito, la cui rappresentazione è diventata della massima importanza da quando sono cambiate le modalità degli scontri: i militari sono stati coinvolti nella politica, sono penetrati nell’economia e il loro ruolo non è più quello di proteggere i confini e occuparsi della sicurezza nazionale, ma di spalleggiare il regime al potere, versando il sangue degli oppositori. Come è accaduto col massacro di Rabaa, nel 2013, e tanti altri. Il film Al mamar (“Il passaggio”, 2019), ambientato all’epoca della guerra del 1973 contro Israele, è uscito proprio quando le circostanze richiedevano di migliorare l’immagine dell’esercito e di ricordare a un’opinione pubblica scontenta le sue antiche glorie. Erano decenni che in Egitto non si produceva una pellicola sulla guerra d’ottobre.

Al mamar (El Massa)

Si tratta effettivamente di un lavoro ben fatto, che è riuscito a ricavarsi il suo spazio nelle case degli egiziani, ma si è rivelato anche un’esca a cui il popolo ha finito per abboccare. Al Sisi ha così ordinato di aumentare le produzioni epiche sulle forze armate. Tra queste opere che glorificano l’armata egiziana e le sue imprese nel Sinai, c’è la serie Al ekhteyar (“La scelta”, 2020), che propone una rappresentazione idealizzata dei soldati. I fatti sono completamente distorti: l’esercito egiziano è infatti presentato come neutrale negli eventi che hanno fatto seguito alla rivoluzione. Ma la realtà è tutt’altra. La serie inoltre non perde occasione per associare i Fratelli musulmani al terrorismo, in linea con la posizione ufficiale del governo.

E le trappole non sono finite per gli spettatori egiziani, perché arriveranno presto nuovi film. Tra questi ha fatto scalpore il trailer di Al serb (“La squadriglia”, 2021). Il film mette in scena i raid dell’aero­nautica egiziana contro il gruppo Stato islamico in risposta all’uccisione di alcuni copti, rimarcando così l’importanza della lotta contro il terrorismo. Questo anche se i raid hanno causato molte vittime civili.

E visto che la polizia rappresenta il braccio destro del regime di Al Sisi, il bastone che guida il popolo e mantiene l’ordine, il cinema punta a migliorare anche la sua immagine. Nei film prodotti in quest’ultimo periodo, gli ufficiali di polizia non tradiscono, non imbrogliano, non mentono. Sostengono gli oppressi e stanno dalla parte del popolo. Un perfetto esempio è la serie Kalabsh (“In manette”, 2017), travolgente per chiunque sia all’oscuro della vera natura dei rapporti della polizia con i cittadini. Ma l’attesissimo Al ekhteyar 2 (2021) va oltre glorificando il fantomatico eroismo della polizia che sgomberò con la violenza il sit-in di Rabaa: una fiction che ha l’intento specifico di cancellare i crimini commessi dal regime nel massacro del 2013. E a forza di vedere e rivedere queste cose, le persone finiscono per credere che sia la verità.

Saheb el maqam (dr)

Un’altra caratteristica ricorrente è un’immagine dell’islam politico, in particolare dei Fratelli musulmani, costruita sul collegamento costante tra la fratellanza e i gruppi terroristici takfiristi. La sensazione di pericolo, di allarme è sempre presente in questi film, sia quando è il nucleo centrale della storia sia attraverso messaggi più subliminali.

Come dio comanda

Infine, questi film canalizzano gli sforzi del regime per sviluppare un discorso religioso allineato alla sua politica, un fatto decisamente pericoloso. Questa tendenza, che può passare inosservata agli occhi di molti spettatori perché veicolata in maniera implicita, enfatizza il modello che il sistema vuole propagandare: l’islam dei sepolcri e dei mausolei, dei santi e dei miracoli; l’islam dei canti mistici. Un modello introspettivo, che non si preoccupa delle crisi e dei problemi della vita, limitandosi invece alla trascendenza spirituale. Anche se questa tendenza esisteva già prima dell’ascesa al potere di Al Sisi, all’ombra del suo regime il ritmo di questo tipo di produzione cinematografica si è fatto decisamente serrato: l’islam è presente in tutte le _soap opera _come un esempio di equilibrio e moderazione. I credenti mostrano un forte attaccamento ai santi e ai loro miracoli, chiedendone l’intercessione una volta partiti in pellegrinaggio verso le loro tombe.

La religione è dunque una pratica intima, indifferente alle conquiste materiali e alle azioni visibili, come nel film Saheb el maqam (“Il padrone del santuario”, 2020), scritto da Ibrahim Issa. Questa versione aggiornata del “curriculum islamico” è il modello che l’occidente promuove, sulla base delle raccomandazioni dei centri di ricerca sponsorizzati dal governo degli Stati Uniti.

Sono questi i caratteri più importanti del cinema egiziano nell’era di Al Sisi. Il suo scopo è annebbiare lo sguardo degli egiziani e plasmarne idee, convinzioni e visioni. Come dice il Corano: “Allah ha il predominio nei suoi disegni, ma la maggior parte degli uomini non lo sa”. ◆ ab

Ehsan al Fakeeh _ è una giornalista giordana. Collabora regolarmente con il quotidiano panarabo Al Quds al Arabi. _

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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati