Sembra di stare in una fiaba per bambini ormai cresciuti e invece siamo in una fumetteria di Manila, al secondo piano di un palazzone anni sessanta in vetro e marmo, pensato per ospitare uffici ormai chiusi. Le scale mobili sono ferme da tempo, ma in compenso di fronte alla fumetteria ha aperto un negozio di abbigliamento e al piano di sopra un bar. Il palazzone pullula di persone gentili in maglietta e cappello da baseball.
Manca solo Paolo Herras. La sua collega mi invita ad accomodarmi e a leggere qualcosa nell’attesa. Di materiale ce n’è in abbondanza. La fumetteria si chiama Komiket, ha un microscopico angolo di lettura e un paio di scaffali sgangherati che ospitano pile disordinate di graphic novel. Dietro gli scaffali si nasconde un piccolo ufficio in cui sono ammassati sei adulti, un lattante e tanta fantasia. La casa editrice sta prendendo il sopravvento sulla fumetteria.
La missione di Paolo Herras
Alla fine arriva Herras, direttamente dall’aeroporto. È stato a Mindanao, una delle principali isole dell’arcipelago filippino, per un workshop. Domani ne ha un altro a Manila. Herras spiega a disegnatori e sceneggiatori come dev’essere fatta una graphic novel, quanto dev’essere lunga per vendere e magari anche come si fa a guadagnarci qualche soldo. Herras è un uomo con una missione.
“Nelle Filippine le graphic novel vanno fortissimo”, dice Herras, che a 44 anni suonati sembra davvero un bambino troppo cresciuto, raccontandoci tutto contento della fiera del libro di Francoforte del 2024, quando, su 218 diritti di opere filippine venduti, ben 108 riguardavano fumetti o graphic novel. Nelle Filippine “comic” si scrive con la k al posto della c, ma Herras, che anni fa ha rinunciato a un lavoro nel marketing per dedicarsi a tempo pieno alla sua passione per i fumetti, non sa bene perché.
La casa editrice Komiket ha in catalogo circa sessanta titoli. “La nostra è un’associazione senza scopo di lucro, quindi io devo guadagnarmi da vivere con altri lavori”. Ha scritto lui i testi di una delle graphic novel di maggior successo, Strange natives, di cui sono già usciti due volumi. Il titolo della prima parte, tradotto, suona come “I ricordi dimenticati di una vecchia signora smemorata”. Con modestia Herras raccomanda tanti libri che ha in catalogo tranne il suo, che merita comunque di essere letto.
Strange natives è un fantasy ambientato in varie epoche. La signora del titolo tenta di rievocare il passato e i singoli ricordi le vengono incontro sotto forma di farfalle: sono episodi che risalgono alle invasioni, alla colonizzazione e alle varie guerre che hanno interessato il paese. Da un punto di vista narrativo i dati storici sono trattati con discreta maestria e il racconto non è mai troppo didascalico.
E anzi è particolarmente potente soprattutto grazie ai disegni dirompenti di Jerico Marte. “Può permettersi di fare il disegnatore solo perché dà una mano ai genitori nei campi”, racconta divertito Herras. I volumi ammassati nell’ufficio della Komiket costano tra i 150 e i 1.500 pesos filippini, tra i 2,20 e i 22 euro.
Di tutti le entrate, compresi i diritti internazionali, alla Komiket va il 20 per cento, pochissimo in confronto ai normali margini di guadagno editoriali. Una graphic novel di successo vende tra le duemila e le cinquemila copie. Insomma, anche se la Komiket gira gran parte dei profitti a sceneggiatori e disegnatori, di certo nessuno di loro si arricchisce.
E poi, aggiunge Herras, con i fumetti è come con i film: “Quando ne finisci uno ti blocchi per un po’ prima che ti arrivi un’altra volta l’ispirazione”. Di fatto gli artisti di maggiore successo sono quelli che s’impegnano su più progetti contemporaneamente.
I fumettisti abbastanza produttivi da riuscire a campare di questo lavoro sono pochi. La forma narrativa della graphic novel è articolata: va pensata, scritta, disegnata e colorata in un modo tutto suo che spesso ha bisogno anche di una stretta collaborazione tra le figure creative coinvolte. La grande popolarità di cui il genere gode nelle Filippine potrebbe dipendere dal fatto che qui si legge poco ma si apprezzano sempre le buone storie. Però dipende sicuramente anche dalla presenza di tanti disegnatori di talento. Una scuola che risale agli anni sessanta, quando i quotidiani pubblicavano strisce comiche sfornate rapidamente.
Da quando gli Stati Uniti comprarono le Filippine dalla Spagna, l’inglese è diventato la lingua ufficiale, il che ha reso facile l’importazione degli eroi Marvel e Dc e altrettanto facile l’esportazione di forza lavoro, risorsa presente in abbondanza nell’arcipelago, visto che negli ultimi sessant’anni la popolazione si è praticamente quadruplicata, arrivando a quasi 120 milioni di persone.
Dal convento a Hollywood
Anche sul piano culturale c’è grande affinità. Le Filippine sono un paese molto cattolico, perché prima di quella statunitense hanno avuto 300 anni di colonizzazione spagnola. E infatti, per spiegare la vicinanza alle società occidentali, qui si dice: trecento anni di convento e cinquanta di Hollywood.
Il primo eroe Marvel filippino risale agli anni novanta. Creato dall’artista Whilce Portacio, Bishop è un mutante capace di assorbire l’energia, interpretato da Omar Sy nel film X-Men del 2014. Poi c’è stata Wave, che ha avuto un ruolo nella serie animata Il vostro amichevole Spider-Man di quartiere. Herras mi racconta con orgoglio che nelle grandi case editrici statunitensi la presenza filippina è ormai una tradizione.
Una vicenda curiosa è quella di Alfredo Alcala, che negli anni settanta aveva collaborato a Batman, Conan il barbaro e Swamp Thing. Gli editori statunitensi lo avevano chiamato perché i disegnatori americani non riuscivano a star dietro ai ritmi della produzione. La leggenda vuole che, quando gli chiesero quanti disegni alla settimana sarebbe stato in grado di realizzare, Alcala avesse risposto: “Quaranta”. Convinti che si stesse sbagliando, magari per via della lingua, gli editori gli mostrarono i modelli di riferimento. Al che lui avrebbe risposto: “Ah, in questo stile qua? Allora ottanta!”.
“Purtroppo, però, anche questa è una storia di sfruttamento, come se ne vedono tante nelle Filippine”, osserva Herras. La forza lavoro filippina, infatti, manda avanti il mondo, sulle navi, nelle cucine dei ristoranti, nelle case dei ricchi. Ma, grazie ai komik con la k le cose stanno cambiando: le Filippine adesso hanno una propria cultura narrativa.
Herras non sa bene per quanto tempo ancora riuscirà a fare quello che fa: nonostante le soddisfazioni, lavora troppo e guadagna troppo poco. Però adesso le cose sono davvero cambiate. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 77. Compra questo numero | Abbonati